Economia & Impresa sociale 

Così salviamo un pasto ogni 8 secondi

Eugenio Sapora, 39 anni, è country manager per l'Italia di Too Good To Go, l’app danese per la lotta allo spreco alimentare. L'Italia nel 2020 è stato il paese con la maggior crescita: «Merito del nostro impegno per incontrare le persone: non si cambia il mondo da una scrivania»

di Sara De Carli

Con 2,5 milioni di italiani che l’hanno scaricata in un anno e mezzo, più di 9mila esercizi commerciali iscritti, 1,6 milioni di pasti salvati nel 2020 (uno ogni 8 secondi), a Too Good To Go – l’app per la lotta allo spreco alimentare – non servono grandi presentazioni. Nata in Danimarca nel 2015, Too Good To Go è una B Corp presente in 15 Paesi, più di cento posizioni aperte in questo momento in tutto il mondo e un aumento di capitale di 31,1 miliardi di dollari per lo sbarco negli Usa. Nel 2020 l’Italia è stato il Paese che ha fatto registrate la miglior crescita dell’anno, più veloce di tutti gli altri Paesi. Il country manager di Too Good To Go in Italia è Eugenio Sapora, classe 1982, due lauree (di cui una in ingegneria aerospaziale al Politecnico di Torino) e un master, già fondatore de L’Alveare che Dice Sì! (il ramo italiano del movimento francese “La Ruche qui dit Oui”). Il cosa fa Too Good To Go è chiaro, l’elemento di business sta in una fee per ogni magic box venduta, mentre la fee di ingresso non risulta una barriera per nessuno.

È facile dire ex post “che ci voleva?” C’è tanto attivismo sul tema dello spreco alimentare, qual è lo specifico di TGTG?
La lotta allo spreco non l’abbiamo inventata noi, è evidente. La novità sta nel fatto che la tecnologia fa incontrare la piccola panetteria con il consumatore: sapere in tempo reale le giacenze in vari punti della città permette di recuperarle in maniera davvero efficace. È questa capillarità che fa la differenza, perché la mole dell’invenduto è davvero gigantesca, la FAO dice che un terzo del cibo prodotto al mondo finisce come spreco. Spesso le realtà che hanno provato ad affrontare lo spreco alimentare lo hanno fatto con l’ottica di andare dove c’erano grandi volumi, trascurando la piccola panetteria che a sera può dare due magic box. Capillarità permette di servire mettere cibo buonissimo a disposizione di tutta la popolazione e questo fa la differenza. L’altro elemento è incontrare le persone: non si cambia il mondo da una scrivania.

Che cosa intende?
Se vogliamo salvare cibo dobbiamo parlare con la gente… È indispensabile incontrare le persone, gli imprenditori, il singolo fornaio, pasticcere, il gestore del supermercato… In Italia abbiamo puntato moltissimo su questa prossimità con il territorio, su tutta la penisola. È importante perché l’Italia è un paese che ha ancora una forte identità regionale, è importante parlare lo stesso linguaggio delle persone… Siamo cresciuti tanto anche per questo, credo.

Qual è la mossa successiva?
L’industria. Con il Covid anche il settore HoReCa con le aperture e chiusure ha avuto rimanenze importanti. Abbiamo iniziato a dare una mano a smaltire gli invenduti di qualche le grosse azienda, per esempio Danone, sta prendendo ali anche questo progetto. È ovvio che qui bisogna provare a costruire una rete logistica significativa: significa prendere i pallet, comporli in box e portarli sul territorio. Abbiamo fatto già un test.

Perché TGTG è una BCorp?
Per Copenhagen è un must essere una BCorp, perché certifica un impegno sociale e ambientale che TGTG ha. Personalmente per me non è così necessario: siamo un’azienda che fa del salvataggio del cibo il suo core business, è nel nostro dna fare bene all’ambiente e alla società. Il nostro dna è BCorp, non soltanto le nostre azioni e il nostro modo di comportarci con i fornitori o i dipendenti.

Qual è il suo messaggio pdr i giovani?
Osate. E seguite le vostre passioni. Non è scontata nessuna delle due cose. Si tende un po’ a restare nella propria comfort zone anche quando questa non è di benessere: “mi trovo qui ed è troppo faticoso cambiare”. Io a un certo momento ho diviso il mio stipendio per 5 o 6, sono passato da una multinazionale a una startup che il primo anno non dava neanche lo stipendio. La gente mi diceva “wow, che coraggio” ma sotto sotto si capiva che pensava che fossi matto. Non rimpiango un solo giorno. Occorre agire, perché se non si agisce non si può arrivare.


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