Media, Arte, Cultura

La resurrezione per un nuovo patto con la terra e fra gli uomini

Necessitano memoria e utopia, nostalgia del passato che guarda al futuro, melanconia attiva e propositiva. Domani, speriamo presto, saranno diversi i modi di abbracciarci, farci gli auguri, darci la mano, fare festa

di Vito Teti

Nei nostri paesi e nei nostri centri abitati, già da anni vuoti e in abbandono, tutto fa pensare a un «perpetuo Venerdì Santo. E così i riti della Settimana Santa, sospesi, che non si compiono in forma comunitaria, che alimentano dolore e nostalgia, sembrano, davvero, luoghi di un impensabile The Day After, sono i luoghi di un lutto che non passa e dove la speranza non sembra trovare udienza.

I riti della Settimana Santa e del giorno di Pasqua – e le scampagnate, le forme di aggregazione e di convivialità della Pasquetta – segnavano, in maniera abbastanza omogenea l’intero territorio calabrese e presentavano una ricchezza e un’articolazione, che stupivano anche per la grande capacità organizzativa e per il lungo impegno profuso da intere comunità, soprattutto dai giovani. Più delle feste estive, più dei tanti pellegrinaggi, più delle feste natalizie, il racconto della morte e della rinascita coinvolgeva e accomunava, negli anni precedenti la pandemia, le diverse comunità, a volte sparse e frammentate, erose e dilatate, vuote o sovraffollate, della regione.

Le visite nelle chiese (per portare i germogli di grano fatti crescere al buio), quelle al cimitero per trovare i defunti, le processioni del Venerdì o del Sabato Santo, le sacre rappresentazioni della Passione e morte di Cristo, le processioni, i canti, i riti a lutto (che vedono come protagoniste le confraternite religiose), l’Affruntata del giorno di Pasqua ( o Confrunta o Confruntata o Svelata, che interessa numerose comunità delle province di Catanzaro, Vibo, Reggio Calabria) costituivano un grande ordito letterario, mitico, religioso che coinvolgeva e impegnava anziani, giovani, donne e anche bambini.

Le chiese, le strade, le piazze, i vicoli, i calvari, i cimiteri diventavano luoghi densi di sacralità, spazi scenici “eccezionali” dove veniva recitata, raccontata, rappresentata, teatralizzata, una vicenda Esemplare, antica e sempre attuale (come lo sono la morte e la vita) nella quale tutti si riconoscevano e si identificavano. I riti della Settimana Santa hanno avuto il destino e la funzione (elaborati storicamente secondo particolari modalità religiose e culturali) di rinnovare, anche in forme drammatizzate, un dolore e un lutto (e poi una gioia) immensi ed esemplari: quello di Maria, della Madre, che ha perso il Figlio, e quello di una Passione e Morte e di una Rinascita modello per tutti.

Se durante le manifestazioni della Settimana Santa Maria appariva modello di sofferenza e di dolore e Cristo riassumeva e rappresentava tutte le morti individuali, con l’Affruntata veniva celebrato il rito della Resurrezione, il trionfo della vita sulla morte. La commemorazione della morte-resurrezione di Cristo «liberava anche nell’orizzonte storico, gli uomini dalla loro precarietà e dall'angoscia ad essa connessa, inserendoli in una strategia della speranza, essenziale per la continuazione dell’esistenza» (Luigi M. Lombardi Satriani e Mariano Meligrana Il ponte di S. Giacomo, 1982). In passato, i riti della Settimana Santa e della Pasqua, in cui il cordoglio, il dolore e la gioia, conoscevano una maggiore intensità, partecipazione, pathos a seguito di catastrofi e calamità e affermavano un bisogno di presenza e di aggregazione, il desiderio di continuare ad esserci delle comunità. Le manifestazioni rituali comunitarie costituivano un forte elemento di identificazione per donne e uomini conosciuto esperienze di terremoti, alluvioni, epidemie, colera, abbandono, spopolamento, frammentazione. Lutto, cordoglio, dolore vissuti assieme erano anche manifestazioni di rinascita e di resurrezione, di rinnovamento e di rigenerazione in luoghi devastati e mortificati.

Da oltre un anno, la pandemia, con la cancellazione dei riti, ha ulteriormente fiaccato, indebolito, impoverito le nostre comunità. La “sospensione” dei riti della Settimana Santa e della Pasqua confina la paura, l’angoscia, la speranza in una dimensione privata e familiare, con modalità del tutto inedito.

Eppure, in questo spazio della desolazione, l’attesa può diventare Attesa, il dolore può aprire alla speranza, la sospensione può portare a ripensare, ad avere memoria, di quello che era e adesso non è più. Necessitano memoria e utopia, nostalgia del passato che guarda al futuro, melanconia attiva e propositiva. Ho parlato di questi riti al passato, non soltanto perché adesso sono impediti, ricordati e pensati, ma per affermare, con convinzione, che, domani, non sarà più come ieri e che quanto è accaduto non è un incidente passeggero, ma qualcosa che muterà in maniera profonda, radicale, la nostra vita, i nostri riti, le nostre maniere di incontrarci, di fare festa. Domani, speriamo presto, saranno diversi i modi di abbracciarci, farci gli auguri, darci la mano, fare festa.

Questi riti di Passione e Resurrezione, che oggi rimpiangiamo e di cui abbiamo nostalgia, invitano anche, pure nella drammaticità del periodo, a scoprire una religiosità interiore, a farci capire che Passione e Resurrezione non sono parole vuote, formali, formule ripetitive, ma sono Eventi che dobbiamo accogliere, riconoscere, interpretare, vivere nella loro verità e nella loro attualità. Giovanni Gugg su “Repubblica”, Bari-Cultura, di giovedì) ha ricordato come l’impossibilità di svolgere cerimonie e riti di presenza sta determinando «un inevitabile ripensamento di quel che significa rinuncia, penitenza, restrizione, preghiera, carità, mentre dall’altro, con il ritiro domiciliare, la ricerca della distanza e l’utilità della discrezione, ha favorito un recupero di senso per gli atti devozionali intimi, le offerte votive, i gesti di umiltà».

La nostalgia di questi riti – che, tuttavia, è bene non mitizzare il passato, spesso erano stati ridotti a colore, folklorismo, esteriorità, apparenza – ha un senso e un efficacia se accompagnata da pratiche di meditazione, riflessione, silenzio, preghiere (anche i laici possono farlo). Il “vuoto” esterno può diventare un nuovo “pieno” se riusciremo a inventare e attualizzare un vocabolario con parole, antiche e nuove, come pena, pathos, pietà, dolore, misericordia, speranza.

E potremmo, forse, cercare di guardare e di capire la “festa mesta” della Settimana Santa, quei riti spontanei, privati, intimi, fatti “a casa” (da nuove tradizioni alimentari a nuove forme di convivialità), anche “di presenza”, che magari sono stati messi in atto (Giovanni Gugg ne ha ricordato alcuni) in un periodo di incertezza e di precarietà che non annulla, ma modifica, in maniera creativa, tutta da inventare, con inevitabile riferimento al passato, il bisogno di piangere, gioire, mangiare, sorridere e stare assieme.

La Pasqua e la Resurrezione continueranno ad operare dentro di noi soltanto se sapremo pensare, davvero, alla Resurrezione, una rigenerazione vera e profonda, a un ribaltamento dell’ordine di prima, alla costruzione di un mondo in cui gli ultimi, i nuovi Cristo, le periferie, i margini, gli ammalati, i bisognosi, gli afflitti saranno collocati al centro dei nostri pensieri e del nostro operare. Lo ha ricordato, anche in questi giorni, Papa Francesco e, forse, chi si appresta a passare la Pasqua in maniera non prevista, potrebbe scoprire una nuova interiorità, nuovi legami e pratiche di amore per le persone vicine, per i familiari, per le persone vicine e lontane, con i “fratelli assenti” (come ricordano gli Statuti della mia Confraternita del SS. Crocefisso). Dobbiamo, davvero, immaginare un nuovo patto con la terra, con gli animali, con i nostri simili e, per questo nel fare a tutti gli Auguri di una Bella e Santa Pasqua, sento di potere invitare a leggere “Laudato sì’” e “Fratelli tutti”, le due encicliche (scaricabili dalla rete) di Papa Francesco, che ci ricorda che la Resurrezione (per salvare il mondo) richiede un cambiamento profondo dentro di noi che porti a pensarci tutti come fratelli.

Foto dall' archivio personale di Vito Teti. In copertina l'Affruntata di Filogaso (VV). 1. Vito Teti 2. Sabato santo a San Nicola da Crissa (VV) 3. l'Affruntata a Soriano (VV)


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