Welfare & Lavoro

Più della metà dei giovani vuole restare nelle “aree interne” dell’Italia

Sono i risultati della ricerca "Riabitare l’Italia" che stravolgono una narrazione che vede i giovani spingere per andar via. Quelli che restano - o tornano, come la storia che vi raccontiamo - sono spesso laureati, lavorano e sono attenti alla qualità della vita e alle tematiche legate alla sostenibilità

di Luca Cereda

Sono in tanti a pensare che la maggior parte dei giovani italiani emigri o pianifichi di farlo, andando via dalle aree interne dello Stivale. Che siano esse pianeggianti, collinari o montane. A rovesciare una narrazione data per scontata è l’associazione Riabitare l’Italia che ha pubblicato i risultati di una ricerca sui giovani delle “Aree interne” italiane dal titolo «Giovani Dentro».

La ricerca è una delle prime iniziative dell’associazione costituitasi nell’estate del 2020, ma nata nel solco di un laboratorio attivo già da tre anni e che coinvolge esperti, accademici, operatori, attori sociali, cittadini, organizzazioni non governative, imprese, cooperative e aziende interessate al tema della riattivazione dei territori rurali, interni, marginalizzati e montani del paese. «Abbiamo concentrato l’attenzione sui giovani che sono attenti alle risorse che ci sono nei territori in cui nascono e che definiamo sommariamente, anche se sono molto differenti tra loro “Aree interne”», spiega il professor Andrea Membretti, ricercatore per EURAC, docente di Sociologia del territorio all’Università di Pavia e coordinatore dell’indagine «Giovani Dentro».

Riabitare l’Italia “interna” o continuare e a farlo?

«Vogliamo invertire lo sguardo e guardare l’Italia dai margini invece che da quello che si presume essere il centro», continua Membretti. I dati raccolti dallo studio dell’associazione Riabitare l’Italia – cofinanziato della Fondazione Peppino Vismara e Coopfond, in partnership con il Crea per la Rrn, il Gssi, Eurac Research, Cps e l’Osservatorio Giovani dell’Università di Salerno – parlano chiaro: tra circa mille soggetti intervistati a dicembre 2020, oltre la metà dei giovani – tutti tra i 18 e 39 anni – il 67% è orientato a rimanere nel comune delle aree interne in cui vive. “In particolare, il 50% degli intervistati è orientato a restare pianificando lì la propria vita e il proprio lavoro. A pensarlo sono soprattutto per le donne, 52 per cento – spiega il professor Andrea Membretti – e circa il 15% è orientato a partire, anche se preferirebbe restare». Inoltre un dato significativo è il fatto che a rispondere così siano giovani che per oltre la metà hanno trascorso del tempo fuori dal proprio comune in cui vive per esperienze di lavoro – di cui il 44% in Italia mentre circa il 10% all’estero -, che sono durate più di un anno per il 42% dei rispondenti.

Quanti sono i giovani che restano o tornano dopo aver studiato

Dalla ricerca emergono alcune ragioni che segnano la volontà dei giovani italiani di costruire un progetto di vita e lavoro nelle Aree interne: «Tra chi resta – analizza Membretti -, i fattori a cui viene attribuito molto peso nella scelta sono: la migliore qualità della vita dal punto di vista ambientale e dello stile di vita: sono il 79 per cento. C’è poi la possibilità di avere contatti umani e sociali più gratificanti (67%), il minor costo della vita (60%) e perché il posto in cui si vive piace e offre opportunità per restare (55%)». La ricerca «Giovani dentro» considera anche le ragioni di chi decide di partire: per chi va via, invece, le motivazioni principali riguardano le opportunità in termini di qualità del lavoro e della formazione – e sono l’84% – e la possibilità di accedere a migliori condizioni di vita per l’offerta di servizi culturali, sociali, assistenziali, il 77 per cento.

La terra di montagna coltivata da “giovani ritornati”

La bellezza naturale delle Aree interne del nostro Paese raggiunge tutti i nostri sensi: si può contemplarla, annusarla, prendersene cura. E in questo caso la bellezza si può anche gustare.

Maria Cazzaniga e Giovanni Mazzucotelli – che hanno poco più di trent’anni e che si sono proprio conosciuti studiando Agraria a Milano – nei loro campi a Introbio nel cuore della Valsassina e delle prealpi lecchesi coltivano un tipo di Artemisia che sa di Coca Cola, poi l’incredibile Fiore Elettrico che dà un intenso pizzicorio alla bocca, simile a una scossa, regalando una sensazione indelebile al palato. E poi c’è lui, il re incontrastato del progetto Res Naturae: il Rabarbaro. «Il Rabarbaro è una pianta favolosa – spiega Maria. La specie che coltiviamo ha un caratteristico sapore aspro che richiama quello della mela verde. Per crescere bene ha bisogno di fresco, quindi il clima di montagna è perfetto». Attualmente ne coltivano 13 varietà, da cui si possono trarre composte e salse, ma è ideale anche per dolci e contorni.

A Res Naturae – collocato in un’Area interna della Lombardia, non si trova solo il Rabarbaro ma più di 200 varietà di piante e di fiori, rigorosamente tutti commestibili, e «coltivati nel rispetto dalla stagionalità», come racconta Giovanni. «La parte più bella, ma anche difficile, è avere a che fare con la forza della natura: un colpo di freddo o una grandinata possono spazzare via mesi di lavoro in un secondo». È la stessa natura, il ciclo del sole, che detta gli orari di lavoro di Giovanni e Maria: «D’estate ci si sveglia anche alle 4 di mattina per lavorare nei campi».

Giovani, Aree interne e sostenibilità

Giovani, come Maria e Giovanni, coltivano anche la sostenibilità nelle Aree interne. Il nome Res Naturae infatti rispecchia la filosofia su cui si fonda, ovvero un’apertura a 360° verso il mondo della natura «che non si limita alla parte vivaista», tiene a precisare Giovanni, c’è anche un’etica bio. «Abbiamo scelto di abbandonare qualunque tipo di trattamento, cresciamo e coltiviamo fiori e piante intervenendo esclusivamente su aspetti quali il dosaggio dell’acqua e la scelta del terriccio e dei concimi più adatti. Non facciamo altro che seguire, curare e custodire i normali processi naturali».


Res Naturae

L’esempio sulle prealpi lecchesi è un antipasto dello studio «Giovani dentro» che non resterà solo sulla carta, ma fornirà informazioni utili per poter implementare delle azioni proprio nelle aree interne di alcune regioni. «L’idea è quella di costruire un percorso di ricerca-azione – spiega ancora il professor Andrea Membretti -. Dopo questa analisi di dati quantitativi, andremo a fare un approfondimento qualitativo perché vogliamo capire chi sono i giovani di 18-39 anni che vivono in questi territori, che risorse rappresentano non solo per quei territori, ma per il paese, al fine di presentare un’immagine diversa rispetto alle retoriche della marginalità e isolamento delle aree interne da cui scappano tutti e che i giovani sono quelli che se ne vanno per primi».

In alcune regioni si andranno ad avviare, grazie ai dati della ricerca, anche dei percorsi che riguarderanno startup di cooperative, «grazie al progetto nazionale della scuola di pastorizia su cui stiamo lavorando con altri attori e lo sportello vivere e lavorare in montagna. Questi dati ci serviranno per attivare delle iniziative di coinvolgimento dei giovani con cui abbiamo fatto la ricerca: formazione, piccola imprenditorialità cooperativa e startup».

Le Aree interne e la pandemia

Ma la riscoperta della montagna – come per il progetto Des Naturae -, delle sue risorse e delle opportunità che offrono le Aree interne come si lega all’effetto “statico” creato dai lockdown e imposto dalla pandemia da Covid-19? «Le opportunità si cominciavano a vedere già da alcuni anni – sottolinea deciso Membretti -. Sono circa 20 anni che ci sono dei giovani che si rendono conto che le aree interne, soprattutto quelle montane, offrono risorse e progetti anche per chi ha svolto percorsi di studio specialistici». Ci sono infatti risorse ambientali, anche in termini di spazi e terreni incolti che si possono trasformare, una minore densità abitativa e la rarefazione sociale che se per certi aspetti rappresenta un problema, per altri è anche un’occasione di innovazione.

«La pandemia semplicemente forzato o accelerato questi processi, almeno dal punto di vista della percezione delle opportunità. In concomitanza con la pandemia, ma comunque negli ultimi tempi, i giovani residenti in questi territori si stanno rendendo conto di quante risorse ci sono e che sia più opportuno sfruttare quelle risorse invece che andarsene», conclude Membretti. La pandemia ha rappresentato un obbligo per molte persone a rimanere nel proprio territorio ed ha permesso loro di vedere risorse e opportunità delle Aree interne del Paese.


Foto di Marjon Besteman-Horn da Pixabay


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