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Zero. La prima serie Netflix che presenta al mondo l’Italia multiculturale

Il 21 aprile 2021 è uscita su Netflix la prima serie girata in Italia con protagonisti ragazzi neri cresciuti in Italia. Ispirata al romanzo “Non ho mai avuto la mia età” di Antonio Dikele Distefano, ci restituisce un’immagine nitida e in parte amara dell’Italia di oggi, dove le nuove generazioni faticano a costruirsi un futuro. La recensione di un'esperta

di Anna Granata

Omar, ragazzo di origine senegalese cresciuto a Milano, di mestiere fa il rider e conosce i 1937 chilometri di strade della città come le sue tasche. La sua passione è disegnare i manga e il suo sogno diventare fumettista professionista. “Se mi chiedete che cosa c’entra un ragazzo nero che disegna i Manga: niente con niente, ma quando disegno non ho bisogno di altro”, è una delle prime frasi del film. È da subito evidente come la serie non voglia occuparsi di identità e conflitti culturali, ma voglia denunciare la forte condizione di ingiustizia sociale delle nostre città, le cui prime vittime sono i giovani delle periferie. Protagonisti della storia sono, oltre ad Omar, la sorella Awa a cui è fortemente legato, il padre con cui è in conflitto, Anna, ragazza della Milano bene con cui nasce una storia d’amore appassionata e autentica. Poi ci sono i ragazzi del Barrio, vivaci e inquieti, profondamente legati al proprio quartiere che sono minacciati di dover abbandonare.

Il fil rouge dell’invisibilità

Filo conduttore della serie è il tema dell’invisibilità. Invisibile è un uomo senza fissa dimora che compare nei primi frammenti del film, invisibili sono i ragazzi del Barrio che vivono tra solitudine, disagio e assenza di prospettive, invisibile è Omar che consegna le pizze in giro per la città, “Sono uno come tanti, invisibile come i quartieri dove abitiamo. Sono quello delle pizze, un modo come un altro per dire nessuno”: è in questo modo che il protagonista, poi ribattezzato “Zero”, si presenta. La città della Madonnina e dei grattacieli, del lusso e della moda (prepandemia), è anche la città delle disuguaglianze e del tradimento delle aspettative dei più giovani.

Ma l’invisibilità è per Omar anche un super-potere. Quello che gli permette di scomparire quando viene aggredito dai ragazzi della gang del Barrio e salvarsi la pelle. Ma quello che gli permette, in seguito, di combattere con quegli stessi ragazzi contro i poteri forti del mercato immobiliare per difendere il quartiere.

La serie utilizza questo “effetto speciale” per affrontare il tema delicato di una gioventù fragile e allo stesso tempo piena di risorse, che trasforma la propria fragilità in superpotere.

Luoghi e legami

La vita al Barrio (la nostra Barona) è dura, tra palazzoni anonimi, spaccio, violenza, assenza di possibilità e di lavoro, frustrazione legata al rinnovo dei documenti anche per chi è nato in Italia. I ragazzi del Barrio vivono ogni giorno il razzismo e la violenza sulla propria pelle. Quando c’è qualche episodio di cronaca in quartiere la polizia va sempre a chiedere i documenti a loro. Omar, che fino ad allora non aveva stabilito alcun legame con quei ragazzi, viene conquistato dal loro senso di appartenenza al quartiere e dalla loro voglia di riscatto. È con loro che accantona l’idea di andare all’estero a costruirsi un nuovo futuro. La determinazione con cui i ragazzi si battono per difendere il quartiere da numerosi attacchi, che inizialmente sembrano casuali e poi si svelano parte di un progetto più ampio di svalutazione del costo delle case, cementa il legame di Omar con il suo luogo di vita.

La storia di Omar si intreccia con quella di Anna, che sempre a Milano sembra vivere in un altro mondo, passa le sue giornate tra la piscina, le feste e un futuro costruito da altri per lei in un altro Paese europeo. Nonostante le condizioni di vita agiate è scontenta e sfiduciata.

Una generazione tradita

Man mano che la storia continua, emerge sempre più chiaramente come Anna e Omar, pur appartenendo a mondi sociali e a contesti economici molto diversi, vivono la stessa contraddizione: costruirsi un futuro nonostante gli errori dei padri. “Non è colpa nostra se siamo nati da loro”, afferma Anna, che ha appena vinto una borsa di studio in Francia grazie alla raccomandazione del padre ma vedrà presto sgretolarsi i suoi progetti futuri.

La prima stagione di Zero si conclude in maniera criptica, con più domande che risposte. Attenderemo con ansia le successive. Intanto va sottolineato come questa “prima assoluta” di Netflix, inedita per temi, attori, questioni scelte, ha alcuni grandi pregi. Primo fra tutti, mettere in primo piano le questioni di giustizia sociale senza cedere alla tentazione di una visione culturalista o identitaria. In secondo luogo, non avere alcun pietismo nel presentarci ragazzi di periferia che hanno talenti, voglia di vivere, senso di ingiustizia e di riscatto. In terzo luogo, far emergere come il destino dei figli degli immigrati sia fortemente intrecciato a quello dei figli degli italiani. Il futuro è precluso spesso agli uni e agli altri. Il futuro può essere ricostruito, in quella Milano oggi segnata dalla pandemia, solo a partire dagli uni e dagli altri. Servirebbero dei superpoteri!

*Professoressa di Pedagogia interculturale, Università degli Studi di Torino


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