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Tutte le sere a cena mettiamo in tavola l’inclusione sociale

A Torino il progetto CucinAperTe, della Cooperativa Sociale Frassati, mette in network operatori, volontari, enti e supermercati della zona. «Abbiamo iniziato nel 2017, all’epoca gestivamo un solo centro di accoglienza. Poi l’anno scorso è arrivato il Covid-19 e abbiamo capito che era fondamentale implementare il nostro servizio. Così abbiamo assunto uno chef, Daniele, che ha vissuto in passato in dormitorio», spiega Stefania Vigada, coordinatrice dell’area Adulti in Difficoltà

di Diletta Grella

Daniele è concentrato a preparare la cena. Le mani si muovono in una successione inarrestabile di gesti. I coperti sono circa ottanta. Il menu prevede pasta alla carbonara, sedani con fontina per chi non mangia carne di maiale, e una gustosa frittata cotta al forno con cipolle. «Per me questa è molto più di una cena», ci spiega. «Con questa cena cerco di restituire quello che ho ricevuto, che è stato tanto». Daniele Gibin, 50 anni, è lo chef assunto nel progetto “CucinAPerTe”, della cooperativa sociale Frassati, che si occupa di servizi alla persona (inserita nel programma "Imprese Vincenti 2020" di Intesa Sanpaolo" . «È un progetto che prevede la distribuzione di cene calde all’interno di tre dormitori che abbiamo in gestione nella città di Torino», spiega Stefania Vigada, coordinatrice dell’area Adulti in Difficoltà. «Abbiamo iniziato nel 2017, all’epoca gestivamo un solo centro di accoglienza, comunemente conosciuto come “dormitorio”. Preparavamo le cene calde un paio di volte la settimana, le altre sere una rete di volontari si organizzava per portare cibo agli ospiti. Abbiamo avviato tirocini retribuiti per alcune persone che vivevano in dormitorio: erano loro a cucinare per tutti insieme ad alcuni nostri operatori. Poi l’anno scorso è arrivato il Covid-19 e abbiamo capito che era fondamentale implementare il nostro servizio. Così abbiamo assunto uno chef, Daniele, che ha vissuto in passato in dormitorio. Oggi è lui che prepara la cena, cinque volte alla settimana, nella cucina che si trova all’interno della sede centrale della cooperativa. Poi, verso le 18.30, un furgone viene a ritirare i contenitori di cibo e li porta nei tre dormitori che attualmente gestiamo. Due sono maschili, uno femminile. La cena per i nostri ospiti ha una grande valore. Mangiare insieme significa condividere».

Il valore della rete

«Crediamo moltissimo in questo progetto e abbiamo attivato una complessa rete di partner, che ci hanno dato una mano nel renderlo sostenibile, e qui sta la vera innovazione sociale», spiega Laura Gallo, progettista, «7.160 euro sono stati investiti dalla cooperativa Frassati, 6.000 euro da Fondazione Compagnia di San Paolo, 28.640 euro arrivano dalla Città di Torino, nell’ambito del Piano di inclusione sociale. Nel 2021, grazie ad una donazione di 23mila euro di Fondazione Crt, sarà possibile anche acquistare un furgone per il trasporto di pasti. Infine Fondazione Progetto Arca, da diversi anni, dona circa 350 euro mensili da spendere nell’acquisto di cibo. E poi nulla sarebbe possibile senza la rete di tirocinanti e di volontari coinvolti». La maggior parte del cibo arriva dal Banco Alimentare. «Un paio di volte alla settimana vado nella sede di Moncalieri a prendere pasta, riso, olio, caffè, zucchero biscotti…» spiega Alberto Armano, operatore della cooperativa. «Siamo in contatto anche con due supermercati della zona, che ci danno prodotti in eccedenza, o che stanno per scadere. Quello che non ci regalano lo acquistiamo»

Lo chef giramondo

I tirocinanti, oggi che in cucina c’è Daniele, non preparano più la cena, ma danno una mano ad Alberto ad andare a recuperare il cibo. Tra di loro c’è Michele Mingoia, 54 anni, che ha un percorso di circa nove anni trascorsi in un centro di prima accoglienza, e che oggi vive negli alloggi di condivisione del Comune. «Quando vivevo in dormitorio», racconta «purtroppo dovevamo uscire e andare a recuperare il cibo da qualche associazione. Oppure ci facevamo bastare una fetta di pizza portata da qualche volontario. Talvolta andavamo a letto senza cena. Io, però, all’epoca ero giovane. Purtroppo tra gli ospiti ci sono anche persone anziane e malate: per loro è fondamentale mangiare prima di andare a dormire».

Daniele, lo chef, ha trascorso tre anni in un centro di accoglienza. «Ho fatto la scuola alberghiera e poi sono stato all’estero per quindici anni, tra Francia, Spagna, Grecia e Brasile, a lavorare in ristoranti e hotel. Sono rientrato in Italia e mi sono trovato senza nulla. Sono stato prima in dormitorio e poi con una famiglia che mi ha dato una mano. So che cosa vuol dire non avere una casa, non avere nessuno. Se non l’hai provato, non puoi capire. Cosa cucino? Cucina italiana, ma ogni tanto ci metto un tocco esotico che arriva dai miei viaggi. Cerco di stare attento alle esigenze di tutti. Ci sono per esempio persone che hanno il diabete e che non possono mangiare zuccheri. Oppure ci sono musulmani che non vogliono il maiale e che chiedono solo carne halal. Per questo motivo, per esempio, stasera ho preparato sia una pasta alla carbonara, di cui vanno pazzi gli italiani, sia una pasta con un sugo di fontina, per gli ospiti musulmani».

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Daniele è attento e preciso. Tra pochi minuti arriva il furgone a ritirare i pasti, non c’è tempo da perdere, il cibo deve giungere a destinazione caldo. Prende un pennarello e scrive su un foglio il menu. Poi lo attacca con lo scotch su ogni contenitore, perché tutto sia chiaro. Ecco, è arrivata Vanessa, l’operatrice che stasera porterà il cibo nei dormitori. «Grazie Vane, vai! Anche stasera ottanta persone mangeranno qualcosa di caldo. E io me ne vado a casa tranquillo…»


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