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Il divario di cittadinanza ed il PNRR

Siamo convinti che ridurre il divario sia un obiettivo strategico del nostro governo o la coesione territoriale è considerato un vincolo posto dall’Europa per poter accedere alle risorse, a cui dobbiamo obbligatoriamente sottostare? Sarà possibile verificare le reali intenzioni del Governo guardando a come affronterà due questioni cruciali: la fragilità amministrativa che caratterizza parte della pubblica amministrazione nelle regioni del sud e la volontà di lavorare non soltanto sulla leva degli investimenti, ma di sviluppare in parallelo un’azione di riforma sul fronte della spesa corrente, rivedendo i criteri di ripartizione che spesso penalizzano fortemente le regioni del sud, introducendo i livelli essenziali delle prestazioni (LEP)

di Stefano Consiglio

Il Recovery plan, secondo il Primo Ministro Mario Draghi è “l’occasione per riprendere un percorso di crescita economica sostenibile e duraturo rimuovendo gli ostacoli che hanno bloccato la crescita italiana negli ultimi decenni”. Nella premessa al PNRR si dice che: “L’Italia deve modernizzare la sua pubblica amministrazione, rafforzare il suo sistema produttivo e intensificare gli sforzi nel contrasto alla povertà, all’esclusione sociale e alle disuguaglianze”.

Secondo la Commissione Europea i fondi stanziati devono essere impiegati per ridurre, quello che Luca Bianchi in un recente libro, definisce il “divario di cittadinanza tra i cittadini meridionali rispetto a quelli del centro nord. Uno dei pilastri del piano, secondo la Commissione Europea, deve essere, infatti, la coesione sociale e territoriale. Ciò significa che nella costruzione del Recovery plan l’Italia deve spiegare come il piano sarà in grado di alleviare la crisi e come si pensa di promuovere la coesione e la risoluzione degli squilibri territoriali, in linea con i principi del Pilastro europeo dei diritti sociali.

Su questo fronte la sfida è molto difficile, in quanto, così come evidenziato nello stesso piano: “Dopo un periodo di avvicinamento delle aree del Paese dagli anni del secondo dopoguerra fino a metà degli anni ‘70, il processo di convergenza si è arrestato. Sono ormai più di quarant’anni che il divario, in termini di Pil pro capite, è rimasto sostanzialmente inalterato, se non aumentato”.

Se guardiamo soltanto ai servizi sanitari emerge, ad esempio, che nel periodo 2014-2017 la spesa sanitaria pro capite è stata di 1.581 euro nel Mezzogiorno contro i 1.900 euro del Centro-Nord. Se confrontiamo la Lombardia con 2.230 euro con la Calabria con 1.512 euro abbiamo un differenziale di spesa di oltre 700 euro pro capite, pari al 32%. Purtroppo problematiche analoghe le riscontriamo nei servizi legati all’educazione, alla mobilità, ai servizi sociali eall’occupazione.

Riuscirà il PNRR a ridurre il divario di cittadinanza esistente in Italia? Dalla lettura del piano emergono sicuramente diversi aspetti positivi. La riduzione del divario di cittadinanza è considerata una priorità trasversale ed in un passaggio del documento si dice che: “Il PNRR costituisce un’occasione per il rilancio del Mezzogiorno e per la ripresa del processo di convergenza con le aree più sviluppate del Paese”. Nella ripartizione delle risorse si è deciso di garantire alle regioni meridionali il 40% delle risorse stanziate e se si riuscirà a raggiungere questo obiettivo forse non sarà possibileridimensionare il divario, ma è verosimile che potremmo evitare che si allarghi ancora di più. Il vero modo per riallineare sarebbe quello di investire di più nelle aree in ritardo rispetto a quelle più sviluppate.

Ma il vero nodo da considerare per verificare la reale volontà di incidere su questa storica criticità è legato al grado di committment del nostro sistema paese nei confronti della questione meridionale. Siamo convinti che ridurre il divario sia un obiettivo strategico del nostro governo o la coesione territoriale è considerato un vincolo posto dall’Europa per poter accedere alle risorse, a cui dobbiamo obbligatoriamente sottostare?

È difficile rispondere a questa domanda, si corre il rischio di fare un processo alle intenzioni, ma sarà possibile verificare le reali intenzioni del Governo guardando a come affronterà due questioni cruciali.

La prima attiene ad alcune criticità strutturali del Mezzogiorno, si pensi in particolare alla fragilità amministrativa, alla carenza degli organici e alla non adeguatezza delle competenze che caratterizza parte della pubblica amministrazione nelle regioni del sud. Questa debolezza deve essere considerata una delle problematicheche il piano è chiamato a risolvere e non, come spesso accade, un alibi per giustificare a posteriori il mancato investimento al sud.

Anche nella predisposizione dei piani operativi per ridurre il divario è necessario tener conto della situazione critica del Mezzogiorno; pensare ad esempio di puntare sui “superbonus” per rilanciare l’edilizia è una misura inefficace, in quanto non tiene conto che il diffuso abusivismo impedisce di fatto di utilizzare queste risorse al sud.

La seconda questione attiene alla volontà di lavorare non soltanto sulla leva degli investimenti, ma di sviluppare in parallelo un’azione di riforma sul fronte della spesa corrente, rivedendo i criteri di ripartizione che spesso penalizzano fortemente le regioni del sud, introducendo i livelli essenziali delle prestazioni (LEP). È inutile, infatti,costruire nuovi asili nido se poi i Comuni non hanno le risorse per assumere educatori, così come restaurare il patrimonio culturale se non si in grado di assumere personale nei musei e nei parchi archeologici. Su questo fronte è necessario un profondo ripensamento in quando i criteri di ripartizione delle risorse ancorate allo storico sonoun modo per cristallizzare lo status quo ed accentuare il divario tra chi più ha e chi ha meno.

Il principale fattore di preoccupazione, però, è il tempo. Siamo difronte ad una sfida titanica che richiede un cambio di passo straordinario e la tempistica del Recovery plan pone scadenze poco credibili. La teoria del goal setting ci insegna che porsi obiettivi sfidanti aiuta a raggiungere risultati ambiziosi, ma è anche vero che obiettivi irraggiungibili possono innescare demotivazione. La sfida per ridurre il divario di cittadinanza è cruciale e forse cinque anni sono troppo pochi, ma magari non per Super Mario.

*Stefano Consiglio presidente della Scuola delle Scienze Umane e Sociali dell'Università degli Studi di Napoli Federico II, cui afferiscono i Dipartimenti di Economia, Management e Istituzioni, Giurisprudenza, Scienze Economiche e Statistiche, Scienze Politiche, Scienze Sociali e Studi Umanistici


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