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«Lasciare l’Africa a se stessa è una follia, oltre che una gravissima ingiustizia»

«Assistiamo a un vero e proprio apartheid vaccinale», spiega Giovanni Putoto responsabile della Programmazione e dell’Area scientifica del Cuamm. La sola Inghilterra, ad esempio, ha vaccinato più persone di quante non ne siano state vaccinate nel Continente. Un paradosso di cui rischiamo di pagare il prezzo

di Marco Dotti

«Africa e Covid-19, pochi casi e decessi in un Continente fragile». Così, nel settembre scorso, titolava una nota dell'Istituto Superiore di Sanità. Poche settimane prima era stata Linda Norling, su Science, a porre la questione parlando di un «puzzle pandemico» difficile da ricomporre partendo solo dai dati ufficiali.

Giovanni Putoto è specialista in igiene e nutrizione umana, specializzato in Inghilterra in malattie tropicali. Da oltre vent'anni lavora in Africa ed è responsabile della Programmazione e dell’Area scientifica dell'ong Medici con l'Africa-Cuamm, e ha una lunga esperienza sul campo. A lui abbiamo chiesto di aiutarci a capire.

Oggi l'Africa sembra tra le zone meno colpite da morti e contagi, è così?
I dati ufficiali ci dicono che ci troviamo al cospetto di 4 milioni di casi di contagi e 122 mila morti. Per una popolazione che è quasi il 14% della popolazione mondiale questi dati rappresentano, di tutti i casi e di tutte le morti,poco meno del 3%. Chi si ferma a questa lettura non ha difficoltà ad affermare che il Covid non avrebbe avuto alcun impatto sul Continente.

Come vanno, invece, interpretati questi dati?
Vanno interpretati con estrema prudenza. Ci sono due aspetti da considerare: i casi sono legati alla capacità di testare, ovvero di fare tamponi che è drammaticamente bassa in Africa; per le morti, nei Paesi avanzati, esiste un sistema anagrafico di registrazione e di notifica (in Italia, questo sistema è gestito dall’Istat), ma in Africa solo 8 Paesi su 54 hanno una struttura deputata a questo.
Che cosa significa?
Significa che moltissimi casi e, probabilmente, molte morti non sono diagnosticate o notificate. Cosa che, peraltro, avviene per altre patologie: in Africa ci si ammala e si muore nell’oblio. Sappiamo pochissimo di ciò che accade e non possiamo, pertanto, basare il nostro giudizio sui dati africani.

Abbiamo però qualche prova indiretta di quanto sta dicendo?
Prendiamo il Sudafrica, che è il Paese che ha registrato il numero più elevato di casi e notificato il numero più elevato di morti. Perché? Perché ha un sistema di registrazione e un sistema sanitario vicino al nostro. Tramite le sue autorità, il Sudafrica ha documentato un eccesso di mortalità dall’inizio dell’epidemia fino ad oggi, contando 160 mila morti.

Lasciare l'Africa a se stessa è un gravissimo errore, oltre che una gravissima ingiustizia

Giovanni Putoto, Medici con l’Africa-Cuamm

Sono tutte morti attribuibili al Covid-19 con un nesso causale diretto?
No, ma è probabile vi sia un’associazione, un po’ come succedeva da noi nella prima fase della pandemia, quando emergevano eccessi di mortalità. I dati sudafricani devono renderci estremamente, ripeto: estremamente prudenti nel valutare l’impatto della pandemia sul Continente, perché i dati ci danno un’immagine della realtà che è largamente e gravemente sottostimata. Anche per ammissione delle agenzie internazionali, come l’Oms. All’inizio della pandemia c’era un approccio di tipo catastrofistico, adesso abbiamo un approccio di tipo minimalista sull’Africa. Dobbiamo evitare questi due estremi.

Durante la prima fase della pandemia, lei è stato in Etiopia, volando su un Boing completamente vuoto. Poi è stato in Tanzania e, a febbraio, è stato in Mozambico. Proprio quando il Mozambico è stato interessato da una fiammata epidemica proveniente dal Sudafrica…
Queste fiammate sono dovute alle varianti. Ma le varianti che cosa sono, se non il fatto che il virus non sta fermo, ma circola. Nel circolare, ovvero nel trasmettersi da persona a persona il virus muta. Ma muta per adattarsi sempre più e meglio, in modo da raggiungere sempre più velocemente altre persone che non sono state esposte. Abbiamo la variante brasiliana, quella sudafricana, la variante indiana e, prima ancora, la variante inglese. Proprio per questo, lasciare l'Africa a se stessa è un gravissimo errore, oltre che una gravissima ingiustizia.

Recentemente, l'OMS ha lanciato l'allarme sul tema dei vaccini: solo il 2% arriva nel Continente e la produzione sul territorio non è in grado di fronteggiare questa carenza. Questo a suo avviso deve farci intervenire? In che modo?
Assistiamo a un vero e proprio apartheid vaccinale.

Parole forti…
È un dato di fatto, perché mentre in Occidente si raggiungono percentuali di vaccinazione del 20-25% in Africa siamo al 2%, ma anche meno. Dipende da quale "Africa" parliamo: ci sono Paesi come la Repubblica Centrafricana o in Sud Sudan dove siamo sotto lo 0,10%… Il vero punto è che c'è uno squilibrio gravissimo.

Un dato clamoroso: l'Inghilterra, da sola, ha vaccinato più persone di quante non ne abbia vaccinate l’intero continente africano.

Giovanni Putoto, Medici con l’Africa-Cuamm

Quali sono le cause di questo squilibrio?
C’è un problema di diritti e di norme commerciali e c’è un problema di accesso al vaccino. Chi possiede le licenze e i diritti acquisiti dal brevetto vende a chi vuole. Possiamo girarci intorno finché vogliamo, ma il problema è questo.
Sono le regole…
Ma regole che hanno delle eccezioni che prevedono che in caso di necessità e calamità globale le licenze possano essere sospese. Il problema è che le licenze non sono state sospese. Dobbiamo invece chiedere la sospensione o, addirittura, l’eliminazione delle licenze. Questo per far sì che gli strumenti diagnostici e quelli terapeutici e il vaccino possano essere prodotti e raggiungere in quantità importanti i Paesi a medio e basso reddito. Porto un dato clamoroso: l’Inghilterra non ha dato nemmeno una fiala a nessuno, ma ha vaccinato più persone di quante non ne abbia vaccinate l’intero continente africano. Le regole vanno sospese subito, poi vanno riviste e riscritte. Le case farmaceutiche non possono dettare la linea. Il vaccino – che peraltro ha goduto di investimenti pubblici cospicui – è un bene comune.

Si comincia a parlare di una produzione di vaccini in Africa…
Il 99% dei vaccini usati in Africa sono prodotti fuori dal Continente. Badate: non sto parlando dei vaccini anti-Covid, ma di tutti i vaccini. Esistono solo dieci centri che potrebbero avere i requisiti tecnici, infrastrutturali, tecnologici e organizzativi per produrre vaccini in Africa. L’Africa deve essere portata ad acquisire una sua propria autonomia per il futuro, su tutti i vaccini!

Fatto il vaccino, però, c'è l'aspetto logistico…
Bisogna passare dal vaccino alla vaccinazione e, questo, è un altro aspetto del problema. Il vaccino deve raggiungere le persone e serve una logistica, un'organizzazione… basta andar fuori dalle grande arterie che nel Continente collegano le città e per raggiungere i villaggi dell'ultimo miglio – come li chiama il Cuamm – servono giorni e giorni.

Come sta rispondendo Cuamm alle sfide di questo periodo?
Sul tema delle licenze e dei brevetti, sui diritti e sulla produzione locale alza la voce, solleva il problema, richiama l'attenzione come fanno altri operatori. Sul tema dell'ultimo miglio, invece, ovvero sul passaggio dal vaccino alla vaccinazione Cuamm è già coinvolto sul campo. In Mozambico stiamo aiutando le autorità sanitarie locali a fare in modo che i pochissimi vaccini arrivati raggiungano le categorie prioritarie e, in particolar modo, gli operatori sanitari. Questi vaccini arrivano in parte da Covax, che è in ritardo gravissimo, e in parte dai cinesi. Bisogna dare una spinta ai sistemi sanitari, sapendo che per quanto riguarda lo specifico del Covid c'è un deficit di 20 miliardi di dollari per questa parte logistica e di capacitazione gestionale. In Africa ci sono Paesi che hanno tassi di copertura vaccinale del morbillo del 30%. Questo significa che non riescono a vaccinare, per problemi legati a fattori di trasporti, refrigerazione, gestione logistica… È su questo fronte che dobbiamo spingere moltissimo, con uno sforzo di concretezza, per assicurare che quel poco che c’è arrivi ai destinatari.

Se continuiamo così, però, i tempi saranno lunghi…
Con questa velocità, non sarà sufficiente nemmeno il 2022 per arrivare a vaccinare il 70% della popolazione africana. Non possiamo più inseguire le emergenze, dobbiamo lavorare tutti per formare e preparare le comunità locali.

L'allarme sul Covid ha fatto registrare una riduzione degli accessi alle cure per altre malattie?
Gli effetti indiretti della pandemia sono gravissimi. C'è stata una riduzione marcata, in alcuni contesti fino al 30-40%. Le donne, per paura, non si sono presentate alla visite prenatali, i bambini non sono stati portati alle vaccinazioni, c'è stata una riduzione delle diagnosi per pazienti affetti da HIV e tubercolosi. I malati cronici non hanno trovato i farmaci… C'è tutto un "indotto" legato a questa epidemia che dimostra la fragilità dei sistemi sanitari africani. Il Cuamm, oggi, è presente negli ospedali di 23 Paesi e sta lavorando anche su questi aspetti, facendo formazione, predisponendo dispositivi di protezione per il personale, organizzando triage, isolamento dei pazienti sospetti e, infine, lavoriamo anche sulla comunicazione. Perché in Africa, come altrove, il tema delle fake news sanitarie sta dilagando. Anche tra gli stessi sanitari. Dobbiamo, quindi, fare un'opera di discernimento con le comunità. Lavoriamo, inoltre, come è stato con ebola per prevenire gli effetti secondari: bisogna tener alta la fiducia tra sistema sanitario e popolazione. Una fiducia mai come oggi minata, soprattutto in zone come la regione del Tigray dove le guerre mischiano questione sanitaria e questione umanitaria.

Che lezione avete tratto da questi mesi?
Il Covid-19 è la prova provata che il destino dell'umanità è uno, la nostra sicurezza deve essere la sicurezza degli altri. Il nostro benessere e il nostro sviluppo devono essere anche occasione di benessere e sviluppo per gli altri. Le crisi e le pandemie sono oramai una questione globale.


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