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Welfare & Lavoro

Un nuovo paradigma di cura per gli anziani

Serve una nuova cultura del rapporto tra generazioni: non più anziani, ma anziani e giovani assieme. Una strategia di lungo periodo che rovesci la nostra concezione della "vecchiaia" e del suo rapporto con le generazioni

di Angelo Palmieri

Si va sempre più procedendo a ritmo serrato con la vaccinazione della popolazione anziana, sia pure con marcate differenze regionali, nel mentre si va discutendo, spinti dalla necessità di favorire una medicina di prossimità e più attenta alle cronicità, il come ripensarla alla luce dei finanziamenti europei del Recovery Plan.

Più volte abbiamo sottolineato i limiti di fondo di un modello organizzativo assistenziale focalizzato poderosamente sulle Rsa – strutture di indubbio valore assistenziale -, ma non sufficienti – visto l’alto numero di contagi e decessi.

A tal proposito, alcune esperienze regionali col supporto del privato sociale, sollecitano da tempo la necessità di innovare i servizi secondo modulazioni che tengano conto di una fascia sempre più diversificata in quanto a bisogni. Permane, però, una preoccupazione di fondo: dalla progettazione di modelli di gestione delle cronicità e di organizzazione della medicina territoriale, che variano a seconda dei regionalismi di bandiera, ancora siamo alle “sopravvenute impossibilità” per via del realismo burocratico o per ragioni di opportunità politica nelle sue più svariate declinazioni. Ho saldamente impressa nella memoria la sequela dei plausi in difesa di qualche primariato di provincia, a scapito di una necessaria razionalizzazione della rete ospedaliera e di un conseguente potenziamento dei servizi distrettuali, o del business di imprenditori del settore delle case di riposo che ne gestiscono accreditamenti e posizioni di privilegio sul mercato in regime di monopolio.

Recentemente il Ministro della Salute ha incaricato una commissione col preciso impegno di “formulare proposte per la riorganizzazione del modello assistenziale sanitario e sociosanitario dedicato alla popolazione anziana, al fine di favorire una transizione della residenzialità a servizi erogati sul territorio”. Sono emerse visioni e proposte capaci di mettere in essere modelli di assistenza e di cura o più in generale nuove infrastrutture sociali che, partendo da una revisione del modello residenziale, facciano dell’anziano non tanto il beneficiario di assistenza quanto il soggetto protagonista. Ma resta l’incognita di indirizzi di politica sanitaria da coniugare con le singole strategie regionali.

Sarà altresì determinante un confronto costruttivo e non dottrinale con i corpi intermedi – nel tentativo di restituirne vitalità, per un’alleanza che concorra a definire le politiche sociali e sociosanitarie.

Un ulteriore aspetto da affrontare riguarda la domiciliarità dell’assistenza e delle cure che costituiscono un forte antidoto per prevenire l’isolamento e per assicurare maggiore protezione degli anziani costretti a vivere in solitudine (si stima che l’8.9% non ha figli e vive solo). Penso a soluzioni innovative e dunque non istituzionali, già testate, quali la figura della “badante del condominio”, al recupero di spazi fisici comuni dove esperire forme nuove di socialità – comunità o l’ospitalità presso la propria abitazione di giovani da parte di pensionati – fenomeno quest’ultimo già presente nelle grandi città – tutte espressioni di una risposta comunitaria al disagio della solitudine e del confinamento. Frontiere da oltrepassare anche nelle Rsa con l’apertura progressiva ai familiari – il miglioramento della qualità passa anche attraverso la valorizzazione della risorsa – famiglia, perché torni finalmente la giusta dimensione di umanizzazione al di là della “stanza degli abbracci” e di una socialità surrogata dal tablet.

Da ultimo un’operazione culturale – diciamola sovrastrutturale – che muova dalla consapevolezza del patrimonio inestimabile dei nostri anziani, patrimonio pregiatissimo su cui poggiano le ragioni della coesione sociale e della crescita dei nostri figli e delle comunità.

“La vecchiaia – come afferma Galimberti- non è solo un destino biologico, ma anche storico culturale”. La dilagante cultura tecnicista, tutta proiettata a porre al centro del pensiero e della vita l’efficacia immediata, ci porta spesso a tenere in secondaria considerazione gli anziani, in quanto erroneamente ritenuti meno produttivi, e a spezzare quel proficuo legame intergenerazionale che produce una salda e sicura crescita umana e socioculturale.

È fondamentalmente vero che senza anziani non c’è futuro, non c’è memoria storica né esperienza e vita sociale. Importanti ancora una volta le parole del Papa, che ha voluto istituire per il 25 luglio la Giornata mondiale dei nonni e degli anziani collegandola alla memoria liturgica dei santi Gioacchino e Anna, nell’ambito delle iniziative per l’Anno speciale «Famiglia Amoris laetitia»: “Non solo i nipoti e i giovani sono chiamati a farsi presenti nella vita degli anziani, ma anche questi ultimi hanno una missione evangelizzatrice, di annuncio, di preghiera e di generazione dei giovani alla fede”.

E dunque occorre sempre più promuovere una prossimità effettiva verso i più deboli, prendersi cura delle persone fragili, partendo dagli anziani e dai piccoli, provocandone così una nuova alleanza.

*Sociologo


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