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Riforma de lasciti filantropici: prima deve crescere la consapevolezza

Cresce il dibattito sulla proposta di riforma dei lasciti e delle donazioni a favore degli enti del Terzo settore avanzata da Fondazione Italia Sociale. Un'opportunità, che per essere colta a pieno deve muoversi su un terreno di consapevolezza culturale condivisa

di Gianluca Abbate

La proposta di riforma delle successioni avanzata da Fondazione Italia Sociale è sicuramente una proposta che presenta interessanti spunti di riflessione. L’esigenza di agevolare l’erogazione di liberalità in favore degli enti gergalmente definiti “enti no profit”, che oggi possiamo annoverare nell’ambito del Terzo settore, è un’esigenza tangibile, meritevole e che necessita di una risposta concreta.

Facendo riferimento alla mia attività professionale quotidiana e non solo al ruolo istituzionale che ricopro, riscontro che la proposta di riforma si fonda su una parificazione della normativa vigente in Italia a quella operante in altri Paesi europei ed extra-europei, che prevede, per le imposte di successione, scaglioni crescenti parametrati all’entità economica dell’asse ereditario. In Italia, invece, il Testo Unico delle Successioni e delle Donazioni, che risale al 1990 con successive modifiche, prevede come percentuale massima quella dell’8%.

Credo non si possa non partire dalla premessa irrinunciabile e inconfutabile che la struttura giuridica italiana, in materia successoria, è molto differente da quella degli altri Paesi, proprio perché ancorata alla grande rilevanza anche sociale che, nel nostro ordinamento, assume il diritto di proprietà, diversamente da quando accade negli ordinamenti di stampo anglosassone, in cui non è radicato fortemente il medesimo “sentimento sociale”. Desta, pertanto, in me perplessità l’eventuale impatto mediatico di un riforma la quale preveda, per persone che non hanno parenti stretti, una imposizione fiscale così gravosa tale da arrivare a percentuali del 30% o del 40% in base all’entità del patrimonio. Una riforma di questo tipo, nel nostro tessuto socio/economico, potrebbe essere percepita come una sorta di espropriazione della proprietà privata e di negazione della facoltà di scelta delle persone in ordine alla destinazione del proprio patrimonio per il tempo successivo alla propria morte.

La proposta di riforma prevede, infatti, che la differenza che c’è tra la percentuale attuale dell’8% fino al limite del 30-40% venga poi devoluta a enti non-profit indicati dal testatore o, in mancanza di indicazione, alla Fondazione Italia Sociale.

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Questo scopo, per quanto meritevole, potrebbe essere interpretato dalla collettività come un attacco alla proprietà privata. La proposta di riforma, su questo punto, merita a parer mio un approfondimento. La possibilità di agevolare lasciti a favore di enti no-profit e, quindi, evitare che tanti patrimoni personali, in caso di successioni mortis causa apertesi in assenza di successibili legittimi o testamentari, confluiscano nelle casse dello Stato è un sicuramente un punto su cui far leva. Ma per far circolare la ricchezza inattiva bisogna studiare una riforma più ampia, tenendo conto che in Italia non sussistono solo le imposte di successione, ma anche altre imposte rafforzate (ipotecarie e catastali) che comunque incidono già in maniera proporzionale.

Per tali ragioni, credo che la proposta di riforma in oggetto necessiti di una rivisitazione e che l’esigenza di facilitare i lasciti in favore degli enti no-profit vada prima di tutto implementata con la campagna di comunicazione e sensibilizzazione su cui Fondazione Italia Sociale e il network Testamento Solidale stanno già, e bene, lavorando. Solo quando il Paese sarà culturalmente pronto per un cambiamento si potrà pensare al passo successivo.

* Consigliere Nazionale del Notariato con delega al Terzo settore


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