Welfare & Lavoro

Vanni: «Chiusura Rsa? Un visione manichea»

La presidente di LegacoopSociali interviene sul dibattito delle residenze sanitarie assistenziali. «Dobbiamo mettere a disposizione degli anziani un sistema integrato dell'offerta che al momento in Italia non esiste. La strada che si sta intraprendendo porta un grande rischio: aggravare gli accessi al sistema ospedaliero». L'intervista

di Lorenzo Maria Alvaro

Dopo l'intervento della sociologa Chiara Saraceno anche Eleonora Vanni, presidente Legacoop Sociali partecipa al dibattito sulle residenze sanitarie assistenziali. «Il fatto che una commissione parlamentare come la Paglia non sia integrata dai soggetti che gestiscono le strutture, come il mondo non profit fa capire bene come si sia di fronte ad un modo di procedere ideologico»


Chiudere le Rsa. Questo è il frame in voga in questi giorni nato dall'emergenza Covid e da alcuni casi di malagestione per cui oggi da più parti si sostiene l'idea che si debba passare ad un sistema esclusivamente domiciliare. Che ne pensa?
Non sono assolutamente d'accordo. Le Rsa non vanno smantellate. Vanno sicuramente riqualificate. Ma il tema non può essere affrontato partendo da pregiudizi o da una visione di parte del tema della cura degli anziani nella società Non si può poi non tenere conto di un progressivo indebolimento delle rete primarie. Non si può basare tutto su un welfare ancora familista che si appoggia principalmente sulla cura domestica affidata alle donne solo riconosciuta attraverso monetizzazione delle prestazioni oppure attraverso quel milione circa di badanti, di cui almeno il 60 per cento ha un rapporto di lavoro irregolare, alle quali spesso a domicilio sono chieste attività e prestazioni che nelle strutture invece sono erogate da professionisti formati. Mi sembra un modo un po' manicheo di affrontare il tema. Non si può procedere per contrapposizioni ideologiche ma mettendo la persona anziani, rispettando le sue volontà e le sue esigenze.

Per volontà dell'anziano a cosa si riferisce?
Mi riferisco a quelle del momento, quando le può esprimere, quelle espresse in precedenza, una sorta di testamento, o quelle condivise con i familiari. Se vogliamo tutelare questa volontà dobbiamo mettere a disposizione degli anziani un sistema integrato dell'offerta che al momento in Italia non esiste.

Come si spiega che questo manicheismo sia diventato il pensiero dominante, anche in sedi autorevoli come la commissione Paglia?
Certamente uno dei moventi è l'emotività sull'onda dei morti Covid. Sicuramente bisogna dire che l'assistenza domiciliare in Italia non esiste in maniera compiuta. È un ambito scoperto su cui è necessario intervenire. Non si capisce perché debba essere contrapposto alle strutture. Il fatto che una commissione parlamentare non sia integrata dai soggetti che gestiscono le strutture, come il mondo non profit. Questo è un altro motivo. Infine credo che le Rsa hanno sentito un senso di abbandono, di non essere integrati in un sistema pubblico-privato, nell'emergenza. Due sono stati i momenti dirimenti. Uno all'inizio della pandemia sul tema dei dispositivo di protezione individuale. Vorrei ricordare che i dpi ci sono stati sequestrati, come se le Rsa non fossero strutture ad alta integrazione sanitaria che avevano le stesse problematiche presenti negli ospedali. Oggi invece viviamo la difficoltà ad avere in molte strutture il personale sanitario, soprattutto gli infermieri, che sono stati dirottati nella sanità pubblica.

Insomma ci sono dei problemi legati al sistema…
Sì, abbiamo scontato alcune criticità che ci portiamo dietro da anni in un sistema deboluccio e poco integrato.

Oltre alla riforma delle Rsa c'è anche quindi una domiciliarità da costruire?
È sicuramente necessario un processo per consentire agli anziani che lo desiderano di poter essere adeguatamente assistiti a domicilio senza ricorrere alle strutture residenziali. Ma abbiamo bisogno di riflettere sulle Rsa, sopratutto sulla loro flessibilità e adattabilità in tempo reale all'evoluzione dei bisogni. Quelle che erano le case di riposo dove alcuni anziani decidevano di andare a vivere per godere anche di una serie di servizi oggi sono presidi ad alta integrazione sanitaria per persone che veramente hanno bisogno di assistenza h24 e che a domicilio sarebbe molto difficile assistere. La strada che si sta intraprendendo porta un grande rischio: aggravare gli accessi al sistema ospedaliero. Gli anziani a domicilio sono quelli che più spesso ricorrono agli ospedali perché a casa non hanno le dovute cure.

Ma sono davvero così disastrose le condizioni delle Rsa oggi?
Il Network della non autosufficienza parla di un 30 per cento di posti letto da riqualificare. Significa che il 70 per cento è adeguato. C'è una esagerata drammatizzazione. Ci sono strutture che sono state più colpite anche in relazione alle politiche adottate, penso ad esempio alla Lombardia. Quello che è successo non era in nessun modo in relazione con la qualità del servizio. Abbiamo strutture di piccola, media e grande dimensione che durante la pandemia hanno fatto un grande lavoro e sono riusciti a portare avanti le attività in sicurezza. Poi laddove ci siano stati casi di malagestio, le strutture vanno chiuse. Su questo non ci sono mezze misure.

La Comunità di Sant'Egidio ha recentemente lanciato l'allarme dicendo che gli anziani in Rsa sono isolati dal resto del mondo e in qualche modo incarcerati. Cosa c'è di vero?
Abbiamo fatto molto per permettere di incontrare i parenti con le famose stanze degli abbracci e altre idee. Noi ora dobbiamo mettere in campo tutte quelle misure atte ad evitare che ricapiti quello che è già successo. Gli anziani non sono carcerati ma protetti. Il tema è proteggerli e questo è l'obiettivo. Vedremo quale sono le modalità migliori. Non possiamo tornare a leggere tra un mese che le Rsa sono state di nuovo travolte dai contagi perché non c'è stata attenzione.


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