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La Calabria rischia di perdere l’eccellenza mondiale per l’Alzheimer

A Lamezia Terme c'è un centro che ha fatto importantissime scoperte sull'Alzheimer, richiamando pazienti anche da fuori regione. Lo guida da 25 anni, tra mille difficoltà, la dottoressa Amalia Bruni. Questa volta però il rischio di chiusura è concreto: «Sono stanca di lottare contro i mulini a vento, in un contesto che considera la ricerca come “perdita di tempo”»

di Sabina Pignataro

Non è la prima volta che la sopravvivenza del Centro Regionale di Neurogenetica di Lamezia Terme, in provincia di Catanzaro, è in bilico. «Ho come un dejà- vu, ma questa volta c’è il grandissimo rischio di non ripartire mai più», spiega in questa intervista esclusiva la dottoressa Amalia Bruni, che da 25 anni coordina questo presidio di rilevanza mondiale per lo studio delle demenze degenerative. «Fin dalla su nascita il Centro lotta per la sopravvivenza, operando in condizioni di grave precarietà economica e organizzativa», racconta con rammarico. «Ma oggi, in particolare, alcuni nodi stanno venendo al pettine portando in superficie difficoltà pregresse che minacciano l’esistenza e la sostenibilità del centro stesso».
Il problema, sottolinea la scienziata, «è fondamentalmente quello di essere inseriti in un contesto culturalmente inadatto, che considera la parola ricerca come una “pura perdita di tempo” e non l’elemento chiave su cui costruire la sanità di cui tutti (ma in particolare i calabresi) hanno bisogno».

Un centro di eccellenza mondiale

Eppure in questi laboratori sono state fatte «scoperte di straordinario valore nella conoscenza processi neurobiologici alla base della Malattia di Alzheimer e all’identificazione delle cause di altre forme di demenza». Proprio qui nel 1995 la dottoressa Bruni, con un team internazionale, ha individuato la presenilina 1, il gene più frequentemente coinvolto nel determinismo della malattia di Alzheimer nella sua variante genetica ad esordio precoce. Ma non solo. «In questi ambulatori dell’ospedale Giovanni Paolo II di Lamezia Terme sono state seguite e curate oltre 13mila persone affette da demenza, provenienti non solo dalle province calabresi ma anche da altre regioni d’Italia (il 14%) ed è stato offerto supporto anche ai loro famigliari».

L’anno scorso l’intervento del Ministro Speranza

Nel febbraio 2020, il ministro della Salute, Roberto Speranza, «consapevole del contributo scientifico e assistenziale reso dalla struttura», d’intesa con il Commissario ad acta della Sanità calabrese, Saverio Cotticelli, e con il Commissario straordinario di Catanzaro Giuseppe Zuccatelli, aveva definito un percorso per consentire al Centro di proseguire e consolidare le attività di ricerca nel delicato settore della neurogenetica. «Il Centro Regionale di Neurogenetica di Lamezia Terme continuerà il suo importante lavoro», aveva assicurato Speranza, ravvisando un percorso che potesse far evolvere la struttura del Centro all’interno dell’INRCA-IRCCS di Ancona/Cosenza, l'unico IRCCS ad occuparsi di geriatria in Italia.

L’esplodere della pandemia ha congelato tutto. E, come se non bastasse, racconta la medica, «il DCA 62 (marzo 2020) e la Delibera 496 (agosto 2020) dell’Azienda Sanitaria di Catanzaro (commissariata per mafia) che lo recepisce hanno dato il colpo di grazia, “staccando” il laboratorio di genetica molecolare dal Centro e annettendolo (sulla carta e senza atti successivi) alla Genetica medica dell’Università Magna Graecia, la quale ha dichiarato verbalmente e per iscritto che non è interessata al Centro Regionale di Neurogenetica». Come diretta conseguenza, «l’intero personale a contratto del laboratorio (quattro genetisti molecolari e un neuropatologo) sono andati via rendendo di fatto impossibile non solo l’espletamento della parte di ricerca ma anche quella relativa alla diagnostica molecolare erogabile con regolare impegnativa, e dunque perdendo notevoli risorse economiche».

Pochi giorni fa la dottoressa Bruni ha incontrato Guido Longo, attuale Commissario ad acta per l’attuazione del Piano di rientro dai disavanzi del Servizio sanitario della Regione, il quale «si è mostrato disponibile a modificare e correggere quando precedentemente deciso». Tuttavia, confessa la dottoressa con scetticismo, «io sono stanca di lottare contro i mulini a vento come Don Chisciotte. Temo che (l’ennesimo) tentativo di stabilizzare questa struttura rimanga il mio sogno incompiuto, considerato anche che dopo 25 anni alla direzione di questo centro tra qualche mese andrò in pensione».

«Una continua lotta contro i mulini a vento»

Amalia Bruni, nella cui lunga carriera rientrano collaborazione illustri con personaggi del calibro di Rita Levi Montalcini, premio Nobel per la medicina nel 1986, non è solita arrendersi, e sebbene le sia stata offerta più volte la possibilità di andare all’estero ha sempre scelto di rimanere in Calabria. «Ho sempre desiderato fare le mie ricerche qui perché credo in questa struttura», ribadisce. «Io non ho promesso di fare delle cose, ma sono riuscita a realizzarle e questa consapevolezza mi ha dato la forza di andare avanti fino ad ora». Il Centro ha prodotto, attraverso pubblicazioni scientifiche di alto livello su riviste internazionali, la definizione di modelli di studio fondamentali per la comprensione delle patologie neurodegenerative, identificando cause, forme nuove mai descritte, fattori di rischio genetici. È inserito in attività scientifiche sulle demenze assieme a centri internazionali europei, canadesi, americani, australiani. Le difficoltà di oggi, però, sembravo davvero difficili da superare.

I vaccini per i malati di Alzheimer

Tra le sue numerose battaglie, la dottoressa Bruni il mese scorso, in qualità di presidentessa della SinDem-Società Italiana di Neurologia delle Demenze, aveva chiesto che le persone affette da demenza fossero incluse tra le categorie fragili aventi diritto alla priorità per il vaccino Covid-19, indipendentemente dall’età anagrafica o dal grado di malattia, sottolineando come persone affette da queste gravi patologie siano facili target per il virus: secondo l’Istituto Superiore di Sanità, infatti, circa un terzo delle donne e quasi un quinto degli uomini morti per Covid-19 avevano una storia di demenza.