Welfare & Lavoro

L’economia sociale italiana? Vale 49 miliardi di euro

Presentato il primo rapporto Euricse-Istat sull’economia di Associazioni, cooperative, mutue, fondazioni e altre istituzioni non profit. Il comparto rappresenta il 3,4 per cento dell'economia e occupa un addetto su dieci del settore privato

di Redazione

La collaborazione tra Istat ed Euricse è nata nel 2019 per ricomporre la frammentazione statistica dei dati sulle organizzazioni dell’economia sociale. Due anni fa è stato pubblicato un primo rapporto che ha riguardato la sola componente delle imprese cooperative. La ricerca “L’economia sociale in Italia. Dimensioni, caratteristiche e settori chiave”, basata su dati 2015-2017, riguarda invece tutto il comparto delle organizzazioni nelle quali l’obiettivo è diverso dal profitto, la gestione è affidata a coloro che sono in genere i beneficiari dell'attività e il capitale ha una funzione puramente strumentale.

L’evento di presentazione

Durante l’evento online, moderato dal giornalista del Corriere della Sera Dario Di Vico, aperto dalla viceministra dell’Economia e Finanze, Laura Castelli, dal segretario generale Euricse Gianluca Salvatori e da Caterina Viviano, responsabile Servizio registri statistici Istat, si è svolta un dialogo tra il presidente di Euricse, Carlo Borzaga, e il presidente del CNEL Tiziano Treu. I principali risultati della ricerca sono stati presentati da Eddi Fontanari di Euricse e da Massimo Lori di Istat, due dei curatori del rapporto.

«Oggi serve una visione complessiva della rilevanza e della diffusione di tutte le organizzazioni centrate sulle persone e gestite di conseguenza. È fondamentale soprattutto in questo momento in cui è necessario alleviare le sofferenze sociali e contestualmente rilanciare l’economia, anche attraverso la messa a terra di molti dei progetti del Pnrr dove, anche se il Piano no dell'n lo prevede in modo esplicito, le organizzazioni dell’economia sociale avranno un ruolo determinate», ha sottolineato il presidente di Euricse, Carlo Borzaga.

Laura Castelli, vice ministra dell’Economia e delle Finanze, con delega all’economia sociale ha invece spiegato che «mettere a terra questo rapporto è l'inizio di un percorso importante, perché è solo grazie ai dati, anche con il conto satellite ad hoc che abbiamo chiesto ad Istat di realizzare, e con un nuovo ecosistema di strumenti finanziari, che come Ministero dell’Economia e delle Finanze intendiamo promuovere, che riusciremo a mettere in piedi un sistema di policy dedicato. Rientrano in questa logica la finanza d’impatto ed i social bond, su cui dobbiamo necessariamente fare presto. L’Italia, come hanno già fatto altri paesi e l'Europa stessa, ha messo l’economia sociale nell’agenda per la ripresa. È un settore fondamentale, che deve poter contare sugli strumenti giusti».

«I dati del rapporto confermano le dimensioni imponenti raggiunte in Italia dal fenomeno dell'economia sociale», ha concluso il presidente del CNEL, Tiziano Treu, «Di fronte alla sfida della ripartenza, i valori e l’entusiasmo della volontarietà dovranno ora essere sostenuti da maggiori conoscenze e professionalità dei singoli, più solide capacità organizzative, minore frammentazione delle iniziative e degli enti presenti nel variegato mondo del terzo settore».

I dati del rapporto

Entro i confini dell’economia sociale in Italia si muovono quasi 380 mila organizzazioni per un valore aggiunto complessivo di oltre 49 miliardi di euro, 1,52 milioni di addetti (che salgono rispettivamente a 51,8 miliardi di euro e a 1,58 milioni includendo anche le controllate dei gruppi cooperativi) e più di 5,5 milioni di volontari. Tre su quattro delle organizzazioni sono costituite in forma di associazione, ma sono le cooperative a impiegare oltre i tre quarti degli addetti e a contribuire maggiormente al valore aggiunto, con una quota vicina al 60%.

Le organizzazioni dell’economia sociale sono più numerose negli ambiti delle attività artistiche, sportive e di intrattenimento (37%), ma i settori più rilevanti dal punto di vista economico e dell’occupazione sono quelli dell’istruzione – con una quota in termini sia di valore aggiunto che di addetti che nel comparto privato supera il 60% – e della sanità e dell’assistenza sociale (35,9% del valore aggiunto, 45,1% degli addetti sempre del settore privato).

A livello geografico, è la Lombardia ad avere una maggiore concentrazione di organizzazioni dell’economia sociale, oltre il 15% di tutto il Paese con il 22% del valore aggiunto. Se si guarda al contributo economico, in seconda posizione c’è l’Emilia-Romagna, con l’8% delle organizzazioni e il 15% del valore aggiunto.

L’85,5% delle istituzioni dell’economia sociale è finanziata da fonti private: in controtendenza le organizzazioni della sanità che si appoggiano invece per la metà dei loro introiti alla pubblica amministrazione.

I dipendenti di associazioni, cooperative, mutue, fondazioni e altre istituzioni nonprofit sono in maggioranza donne (57,2%) e in media con un livello di istruzione superiore dei colleghi che lavorano nelle altre imprese: la percentuale di laureati è infatti del 21,4% contro il 14,6% di chi lavora nelle imprese tradizionali. Molto diffuso è il part-time: il 45,9% dei dipendenti delle organizzazioni di economia sociale è a tempo parziale contro il 26,8% delle altre imprese: un’incidenza che può essere spiegata con il maggior peso della componente femminile e la concentrazione in determinate categorie economiche.

Se si guarda all’evoluzione del comparto negli anni esaminati dal rapporto (2015-2017), il numero di organizzazioni dell’economia sociale è aumentato del 4,2%, così come è cresciuto il numero di dipendenti (+3,5%). La crescita numerica maggiore si è registrata nel Sud, con in testa il Molise (+14,1%) mentre, guardando ai settori di attività, l’aumento più sensibile è nell’ambito dell’istruzione (+16,2%) e della cultura e sport (+13,6%).

L’ultima parte del rapporto è dedicata a focus settoriali su sanità e assistenza sociale, istruzione e formazione, cultura, sport e ricreazione: l’analisi evidenzia che il processo di policy making a livello degli enti territoriali e locali ha prodotto un welfare a geometria variabile in cui cambia l’apporto di amministrazioni locali, mercato ed economia sociale e che restituisce una rappresentazione di quest’ultima che va oltre la tradizionale separazione tra Nord e Sud del Paese.


Foto di fauxels da Pexels


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