Attivismo civico & Terzo settore

Il Servizio civile una vera scossa per il lavoro giovanile

È quanto emerge da uno studio dell’INAPP. A due anni dall’esperienza occupati 6 volontari su 10 e l’occupabilità aumenta del 12%. Dal 2002, anno dell’introduzione della misura, sono oltre 500mila i volontari coinvolti su tutto il territorio nazionale. Il Pnrr va nella giusta direzione, con una ‘visione’ non sui giovani come problema, ma sui problemi dei giovani in cerca d’occupazione

di Redazione

Il Servizio civile innalza i livelli di occupazione e occupabilità, riduce il tasso di inattività, aiuta a riorientare le scelte professionali dei giovani che vi partecipano. Tutto questo a prescindere dal background familiare di provenienza. È quanto emerge da uno studio dell’INAPP in corso di pubblicazione e presentato oggi nel corso del webinar “Il Servizio civile universale: un’opportunità per i giovani” organizzato dall’Istituto per l’analisi delle politiche pubbliche in collaborazione con il Forum nazionale del Terzo settore e Arci Servizio civile.

L’INAPP ha costruito un “indice di occupabilità” ricavato da quattro macro-aree (formazione, attivazione, esperienze, mobilità), tale indice mostra un incremento del 12% per i volontari dopo il Servizio Civile.

Inoltre, il 60% dei volontari risulta occupato a due anni dall’esperienza, il 50,1% tra i volontari ex-neet (persone non impegnate nello studio, né nel lavoro né nella formazione); il tasso di inattivi scende dal 10% all’1,2% e, infine, il 67% dei volontari lo ritiene utile per il proprio progetto professionale, mentre il 20% ha cambiato idea sul proprio futuro durante tale esperienza. L’analisi dell’INAPP sembra, dunque, confortare le scelte effettuate con il recente Piano Nazionale di Ripresa e Resilienza che colloca il Servizio civile fra le misure di politica attiva del lavoro strategiche per l’occupazione giovanile tanto da investire 650 milioni di euro per il prossimo triennio. Un riconoscimento al Servizio civile che dal 2002, anno dell’introduzione della misura, ha coinvolto oltre 500mila volontari su tutto il territorio nazionale.

“Il Servizio Civile si configura come uno strumento efficace nell’ottica del potenziamento delle probabilità di trovare occupazione oltre che in termini di integrazione e riduzione del rischio di esclusione sociale – ha spiegato il prof. Sebastiano Fadda, presidente di INAPP – Gli effetti della pandemia ci dicono che sono stati soprattutto i giovani ad essere maggiormente colpiti con il tasso di disoccupazione di chi ha meno di 30 anni che è quasi tre volte maggiore rispetto a quello dei lavoratori più anziani. Il Pnrr va nella giusta direzione, con una ‘visione’ non sui giovani come problema, ma sui problemi dei giovani per i quali il servizio civile può rappresentare una vera scossa per entrare nel mondo del lavoro.”.

Sul fronte dell’occupazione si conferma l’incidenza rilevante dell’area geografica e del titolo di studio, al punto che i giovani neet del Nord arrivano a registrare un 77% di occupati a due anni di distanza. Il livello di occupabilità dopo lo svolgimento del servizio civile, invece, aumenta in modo ampio e trasversale, indipendentemente dai profili socio-anagrafici dei volontari dai livelli di occupabilità di partenza (+12%). Tuttavia, è importante evidenziare come l’aumento dei livelli di occupabilità riguardi oltre la metà dei soggetti (il 54%), poco più del 20% ha mantenuto livelli stabili e meno del 25% registra una lieve diminuzione. Inoltre, l’aumento dell’occupabilità è trasversale rispetto ai livelli di partenza, anche chi proveniva da livelli “bassi” o “molto bassi”, dopo il Servizio civile, fa registrare livelli di inserimento lavorativo piuttosto elevati. Questo risultato mostra come l’effetto positivo del Servizio civile sull’occupabilità si distribuisca in maniera abbastanza omogenea su tutti i volontari coinvolti e non dipenda dal livello di occupabilità in partenza.

In generale, l’occupabilità assume valori maggiori fra le donne, cresce al crescere dell’età, fra chi proviene da famiglie con background alto e medio-alto e, a livello geografico, si conferma la spaccatura fra Nord e Sud del Paese, così il livello generale di occupabilità, nella nostra popolazione è più alto fra i volontari del Centro e del Nord rispetto ai volontari del Sud e delle Isole. La quasi totalità dei partecipanti (97%) rifarebbe Servizio civile, il 90% pensa di aver accresciuto le proprie competenze relazionali e di aver capito meglio delle cose di sé durante tale esperienza

Identikit del volontario: donne laureate (o studentesse) e uomini diplomati.

Il profilo dei giovani che hanno partecipato al Servizi civile è caratterizzato da:

§ una forte componente femminile (65,5% del totale), che aumenta con l’aumentare dell’età, molto istruita (43% di laureate e 52% di diplomate in fase di candidatura)

§ una componente maschile più giovane e meno istruita (19% di laureati e 70% di diplomati in fase di candidatura).

Questo fa ipotizzare che le donne scelgano il servizio civile come momento di “specializzazione” e gli uomini come “occasione di attivazione”.

Si registra, inoltre, una componente meridionale che proviene da contesti familiari svantaggiati e da una componente centro-settentrionale che proviene da background familiari di livello più alto. Questo dato suggerisce una particolare attenzione alla fase di selezione dei candidati che sembra avvantaggiare profili particolarmente “performanti” nella sua selezione ordinaria a svantaggio di profili caratterizzati da un titolo di studio medio-basso e da background familiari più critici.

I Numeri del Servizio civile ordinario. Dal 2001 al 2017 il servizio civile ha coinvolto mediamente 28mila giovani l’anno, a fronte di una domanda più che doppia rispetto ai posti disponibili, con punte di circa 86mila giovani nei due anni 2016 e 2017 pari allo 0,49% e 0,77% della popolazione italiana fra i 18 e i 28 anni di ciascun anno. In prospettiva, con la Riforma del Servizio Civile Universale che mira ad avviare 100mila giovani l’anno, il servizio civile potrebbe raggiungere l’1,55% della popolazione di riferimento (2% tra quanti non lavorano), complice anche il calo demografico.


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