Welfare & Lavoro

Il nuovo turista? Non visita, trasforma

«Viaggiare ci permette di sperimentare nuove cose. Il problema della maggior parte delle esperienze turistiche, tuttavia, è che tendono ad essere relativamente passive, superficiali e individualizzate», scrive sul numero di VITA di maggio, Greg Richards, professore all’università di Breda ragionando sulla parola “trasformazione”. È una dei sette interventi che troverete sulle “parole per trovare la strada giusta”

di Greg Richards

Passeggiamo per i centri delle città scattando foto, o ci sdraiamo sulla spiaggia per abbronzarci. I turisti tendono anche ad essere relativamente prevedibili, ci ammassiamo tutti negli stessi posti allo stesso momento. Il risultato? Centri città e attrazioni culturali affollati.

Ma il Covid-19 ha cambiato radicalmente le carte in tavola. Improvvisamente, gli spazi turistici affollati sono diventati luoghi da evitare, i viaggi internazionali sono sottoposti a pesanti controlli, e i viaggi di piacere in molti casi sono stati vietati del tutto. Gran parte della recente discussione sul turismo ha ruotato intorno a come recuperare l’industria, e a come renderla resiliente di fronte alla crisi. La normalità è la grande questione la maggior parte di noi si rende conto che non torneremo al turismo di prima, ma molti altri sperano in una “nuova normalità”. L’industria del turismo per esempio si sta fondamentalmente chiedendo: quando il turismo recupererà i livelli pre-Covid?

A mio parere dobbiamo cambiare questa idea di resilienza come “rimbalzo indietro” e puntare a un “rimbalzo in avanti” sviluppando un nuovo turismo per un nuovo mondo. Serve una trasformazione radicale. Per raggiungere questo obiettivo dobbiamo anche trasformare il turista. La domanda cruciale allora diventa: come farlo? In effetti, il processo di trasformazione è un viaggio in se stesso, che si riflette in quello che Joseph Campbell (1949) ha chiamato il “viaggio dell’eroe”: un viaggio psicologico in cui si parte dal mondo conosciuto per raggiungere l’iniziazione in un nuovo mondo, che permette un ritorno a una vita più significativa. Il signor Palomar, astuto osservatore di Italo Calvino (1983), mostra che la trasformazione può trovarsi nei dettagli più banali di un luogo. Per lui, un negozio di formaggio a Parigi è un museo, che presenta la storia di una civiltà che è allo stesso tempo la creatrice e il prodotto del formaggio. Come osserva anche Carina Ren (2010) nel suo studio sul formaggio oscypek nella città polacca di Zakopane, il formaggio diventa un attore del sistema turistico, un oggetto di dibattito tra locali e visitatori, sull’autenticità, sulla qualità, sulla provenienza. Questi discorsi “attivi” sulla natura di un formaggio prodotto localmente e diffuso globalmente attraverso l’esperienza, sottolineano il fatto che il turismo non deve semplicemente cambiare i luoghi visitati: i luoghi devono anche cambiare il viaggiatore.

Nel viaggio trasformazionale, il viaggio stesso cambia il turista. Non solo attraverso la sperimentazione di cose, ma anche modificando le persone. Questa è la sfida che dobbiamo affrontare ora. Abbiamo lasciato il mondo come lo conoscevamo (la normalità pre-Covid), siamo passati attraverso il viaggio della pandemia (allontanamento sociale, divieti di viaggio, vaccinazioni), e ora abbiamo la prospettiva del ritorno. Dobbiamo assicurarci che l’esperienza della pandemia sia veramente trasformativa e che quindi il turismo abbia un effetto positivo sia sulle persone sia sui luoghi.

Come organizzare le trasformazioni giocando la carta del turismo? Abbiamo bisogno di passare da modelli più passivi fondati sul “guardare e consumare”, per arrivare a una partecipazione creativa di chi si mette in viaggio. Ma un approccio più creativo al turismo richiede una serie di elementi diversi. Le risorse di base della destinazione (sia tangibili, sia intangibili) devono avere un significato sia per i turisti sia per i residenti, e questo richiede un’attivazione da parte di tutti i soggetti in campo. Quando pensiamo alla creatività nella relazione dei turisti con il luogo, allora vediamo tre aspetti principali del design dell’esperienza creativa. I turisti devono essere coinvolti “nei” luoghi prima del loro arrivo, in modo da avere una certa comprensione della cultura, della vita e della mentalità della gente del posto, e di come questi aspetti si relazionano con le loro vite. In molte destinazioni balneari del Mediterraneo, per esempio, i turisti possono essere “collegati” al cibo e al vino e ai sani stili di vita locali. All’arrivo, i turisti devono essere introdotti ai significati più profondi del luogo: il modo di pensare di chi ci vive, quale è la loro scala di valori, quali modalità di relazione determinano la loro qualità di vita, quali sfide possono condividere con i visitatori. Questo coinvolgimento può essere ampliato attraverso diverse esperienze creative e relazionali: non solo mangiare il cibo, ma imparare a farlo, vedere come viene prodotto, presentato e consumato, per esempio. Una volta avviata, la relazione con i turisti può essere estesa, ponendo domande come «Come stanno gli amici che ho conosciuto in quel tal posto?», «Come si sta in inverno?» e via dicendo. Le nuove tecnologie possono essere uno strumento vitale, fornendo opportunità per connettere visitatori e gente del posto, anche prima e dopo il viaggio stesso…


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*Greg Richards è professore di Placemaking ed eventi all’università di Scienze Applicate di Breda e professore di studi sul tempo libero all’università di Tilburg nei Paesi Bassi
Photo by Matteo Lezzi on Unsplash


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