Politica & Istituzioni

Perché abbiamo bisogno del lobbying civico

Il lobbying civico, spiega Alberto Alemanno, è complementare e non antagonista alla democrazia rappresentativa. Contribuisce a mobilitare cittadini e organizzazioni, che troppo spesso si sentono impotenti e sfiduciati, coinvolgendoli nei processi decisionali e creando un legame nuovo tra società civile e istituzioni. La nascita di lobby civiche avrebbe inoltre il vantaggio di ridimensionare interessi sovra-esposti mediaticamente, offrendo al decisore un'immagine del Paese più aderente alla realtà

di Marco Dotti

Ammettiamolo: lobby è tra quei termini che pronunciamo sottovoce, se non per esprimere disappunto o diniego. Eppure, mai come in questi mesi emerge con forza la necessità di un dibattito, rigoroso e serio, su un fenomeno che riguarda sempre più da vicino il Terzo settore.

Un fenomeno che tocca aspetti decisivi delle dinamiche democratiche: la trasparenza. la rappresentanza d'interessi e la capacità di farli valere (advocacy) in sede di definizione dell'agenda politica. La democratizzazione del lobbying, spiega Alberto Alemanno, avvocato e autore del recente The Good lobby, in uscita giugno per i tipi delle Edizioni Tlon, è imprescindibile per creare una società più giusta, equa e democratica.

Per questo, va assolutamente considerato prioritario l'impegno per rafforzare la capacità degli enti del Terzo settore a “fare lobbying” dinanzi al potere incontrastato delle grandi aziende e, in secondo luogo, «per rendere più trasparente, responsabile e sostenibile il lobbying esercitato dalle aziende, più o meno virtuose, a cominciare dalle società benefit». Ridurre le asimmetrie informative e rendere meno opachi i processi del decision making sono presupposti ineludibili per rendere efficace un'azione di lobbying.

Tanta transizione, poca trasparenza

È notizia di queste ore "l'oscuramento" dell'agenda degli incontri con i lobbisti che avrebbe dovuto essere facilmente raggiungibile sul sito del Ministero della transizione ecologica. Da alcuni giorni, infatti, chi cercasse le agende degli incontri con i portatori di interessi sul sito del Ministero della Transizione ecologica farebbe molta fatica a trovarle. Fino a una settimana fa, non era complicato consultare gli incontri che Roberto Cingolani aveva con i rappresentanti di aziende e associazioni di categoria.

«La decisione di rendere difficilmente accessibili le agende degli incontri ci sembra un segnale grave», ha commentato Federico Anghelé, direttore The Good Lobby. Tutto questo accade mentre il Ministero della Transizione ecologica si trova a gestire la quota più consistente delle risorse messe a disposizione dal PNRR. Si tratta di fondi che, aggiunge Anghelé, « anno gola alle aziende che si sono già da tempo mobilitate moltiplicando i contatti con i decisori pubblici».

È dunque preoccupante che si abbassi la guardia sulla trasparenza, proprio in un momento come questo. Ma proprio in un momento come questo è fondamentale che, accando a chi rappresenta aziende e situazioni di categoria, ci sia anche un bilanciamento da parte di una società civile organizzata che deve sapersi organizzare sempre più e sempre meglio anche in termini di contro-potere. Detto in altri termini: deve fare lobby.

Oltre le asimmetrie informative

In conseguenza della polarizzazione dei media e del progressivo assottigliarsi dei corpi intermedi – i partiti, i sindacati e i media, che dovrebbero agire da contraltare del potere, ponte fra governo e cittadini – la società civile trova sempre meno spazio nella rappresentazione pubblica.

A questa situazione, spiega Alemanno, «di recente si è aggiunto un ulteriore restringimento degli spazi di agibilità e di iniziativa civica (shrinking space)» causato da una nuova generazione di attività di repressione delle lotte politiche, ma anche dalle inevitabili conseguenze del distanziamento sociale imposto dalla pandemia. Le organizzazioni del Terzo settore, «non sono necessariamente avvezze al lobbying, e quelle poche che lo praticano vi dedicano una parte modestissima dei propri bilanci». Altro grande problema.

A ogni modo, prosegue ancora Alemanno, «la società civile non dispone di risorse equivalenti a quelle impiegate dal settore privato per tale attività: ne deriva un forte scompenso nella rappresentanza degli interessi diffusi rispetto a quelli particolari».

La società civile stenta stenta così a trovare nel processo di formazione delle politiche pubbliche una sua voce, comparabile a quella occupata dagli interessi privatistici. Ma qualcosa, negli ultimi mesi, sembra cambiato.

La via del lobbying civico

Cresce, dinanzi al timore di finire nella spirale del silenzio, la necessità di fare squadra, trovando un nuovo peso specifico alle organizzazioni del Terzo settore. Come? Alemanno suggerisce si debba rafforzare la strada del lobbying civico, da contrapporre all’esercizio del lobbying di chi rappresenta un numero limitato di interessi particolari: «questa forma di mobilitazione e pressione dal basso si differenzia dal lobbying aziendale poiché persegue obiettivi di interesse pubblico, che trascendono quelli meramente privati di una lobby tradizionale».

Intesa come forma di partecipazione volta a informare il decisore, precisa Alemanno, «il lobbying civico è complementare e non antagonista alla democrazia rappresentativa. Contribuisce semmai a mobilitare cittadini e organizzazioni, che troppo spesso si sentono impotenti e sfiduciati, coinvolgendoli nei processi decisionali e creando un legame nuovo tra società civile e istituzioni. I cittadini lobbisti aiutano – e non ostacolano – il lavoro dei nostri rappresentanti politici, informandoli e portando dei punti di vista potenzialmente non meno rilevanti di quelli delle aziende e di altri gruppi d’interesse, siano essi sindacati, associazioni di categorie o altri corpi intermedi. Il lobbying è, come tale, una forma di controllo dell’esercizio della rappresentanza dei politici e un contributo costruttivo al loro operare».

Una volta divenuti consapevoli di questo ruolo, in un contesto come quello italiano che sovra-rappresenta gli interessi di parte e sotto-rappresenta quelli generali, la diffusione di lobby civiche nel mondo del Terzo settore avrebbe un indubbio vantaggio: offrire al decisore politico una fotografia del sociale più aderente alla realtà, fornendogli indicazioni utili prima di adottare una nuova politica pubblica o intraprendere una riforma.

La speranza è che il tempo dei "tavoli di lavoro", dei selfie agli "stati generali" di qualsiasi cosa e delle task force moltiplicatesi più degli evangelici pani e pesci sia definitivamente tramontato. D'altronde, insegnava Hannah Arendt, si inizia a incidere davvero sulla realtà quando e solo quando si impara a non chiudere gli occhi sulle modeste verità di fatto che dobbiamo impegnarci a comprendere e cambiare.


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