Famiglia & Minori

Patti educativi di comunità: mettere a sistema il processo, senza standardizzare il prodotto

Due anni e mezzo di progetto, 19 territori coinvolti in sette regioni, 16 patti educativi di comunità firmati: e ora? Unicef e Arciragazzi fanno il punto su Lost in Education, consegnando alle istituzioni gli apprendimenti e le criticità. Marco Rossi Doria: «Questo è il tempo di essere militanti del comma 2 articolo 3 della Costituzione, quello che dice che è compito della Repubblica rimuovere gli ostacoli. Anche se ciò implica conflitto. Non basta più offrire a tutti, no, dobbiamo a arrivare a ciascuno»

di Sara De Carli

Uno, scommettere con decisione e non in maniera di episodica o “decorativa” sulla partecipazione dei ragazzi (che significa sia cedere potere da parte degli adulti sia non fare l’errore di ascoltare i ragazzi e poi non realizzare ciò che loro hanno espresso). Due, istituzionalizzare questo processo di partecipazione, che è ascolto e coprogettazione, mantenendolo un processo appunto e non riducendolo a un prodotto (nella sfida rientra anche il superare le innegabili resistenze di scuole, enti locali e adulti in generale). Tre, passare dalla logica degli stakeholder a quella dei rightsholder, rispettando la biodiversità delle persone e dei territori. Quattro, far maturare un riconoscimento reciproco fra tutti gli attori della comunità educante, anche quelli meno “scontati”: i ragazzi per esempio nelle loro mappe di comunità educativa spesso non hanno indicato la scuola come attore/luogo educativo e al contrario hanno inserito supermercati, locali e fermate dell’autobus. Serve creare relazioni e manutenerle: solo assumendo intenzionalità, la comunità educativa può vincere la sfida di diventare comunità educante.

Sono questi gli apprendimenti sul campo emersi dai primi due anni e mezzo di lavoro del progetto Lost in Education, promosso da UNICEF Italia in partnership con Arciragazzi e selezionato da Con i Bambini nell’ambito del Fondo per il contrasto della povertà educativa minorile, sul Bando Adolescenza. Un progetto pensato in epoca pre-pandemica e iniziato nell’autunno 2018, precursore di quei Patti educativi di Comunità che oggi sono diventati urgenti e cruciali. Nell’ambito del progetto, attivo in 18 territori di sette regioni, sono già 16 i “Patti educativi di Comunità” firmati, una “pasta madre” che ora deve crescere e che ha già iniziato a farlo proprio in questa prima metà di luglio, con la co-progettazione nei vari territori di una azione-simbolo di Scuola Aperta al Territorio: la peculiarità di questi patti è che sono sottoscritti dai ragazzi stessi e che al centro hanno l’Agenda del Futuro scritta dai ragazzi e dalle ragazze.

La conferenza intermedia di Lost in Education si è svolta a Roma il 7 e l’8 luglio, radunando i community manager e i docenti referenti dei 19 territori coinvolti. Tre le grandi questioni aperte, da affrontare con urgenza, che la condivisione delle esperienze ha restituito e consegnato ai rappresentanti istituzionali e della società civile come contributo per la messa a terra di policy efficaci: Ministero dell’Istruzione (Ezia Palmeri), Dipartimento delle Politiche per la Famiglia (Tullia Passerini), Anci (Loredana Poli), Forum Terzo Settore (Vanessa Pallucchi), rete EducAzioni (Raffaela Milano). Come garantire la partecipazione e l’ascolto dei ragazzi e delle ragazze, nella definizione e nella realizzazione dei patti educativi di comunità? Qual è la funzione della comunità educante nei nuovi processi di co-programmazione e co-progettazione con gli enti pubblici, inclusa la scuola? Come re-immaginare l’educazione e il ruolo della scuola? Paolo Rozera, Direttore Generale di Unicef, ha sottolineato come «dobbiamo far sì che questo diventi ora istituzionale, non è semplice ma è l’unica strada».

Tullia Passerini (minuto 55 del video) del Dipartimento per le politiche per la famiglia, ha parlato di un «momento propizio, in cui il terreno è fertile» per la valorizzazione della partecipazione dei bambini e delle bambine.

L’Osservatorio Infanzia e Adolescenza, che ha da poco consegnato il nuovo Piano Infanzia e Adolescenza – il cui iter formale dovrebbe concludersi in autunno – ha lavorato con un gruppo tematico sul rafforzamento delle comunità educanti e ha individuato un percorso in tre azioni: «Il primo step è la ricognizione dei patti educativi e delle comunità educative esistenti, partendo dal presupposto che la comunità educante parte dal basso, recependo il capitale sociale e umano che esiste sui territori. A questo seguirà uno studio per valorizzare i tratti essenziali e individuare i nodi critici: quindi dalle progettualità si passa alla messa a sistema, attraverso delle linee di indirizzo che saranno cornici flessibili che verranno consegnate ai territori e alle scuole». La partecipazione è una linea trasversale del Piano (i ragazzi stessi sono stati chiamati in causa nella definizione del Piano), che indica l’obiettivo ambizioso di definire la partecipazione dei ragazzi come «livello essenziale delle prestazioni».

Ezia Palmeri (dal minuto 1:10 del video) Dirigente Tecnico del Dipartimento per il sistema educativo di istruzione e formazione del Ministero dell’Istruzione ha invece detto che «è importante, per evitare confusioni ma soprattutto per dare strumenti e utilizzare al meglio tutto ciò che è disponibile, saper distinguere tra patti educativi – quelli legati alla corresponsabilità, dove la scuola è al centro e i patti avvengono all’interno della scuola – e altro è il patto di comunità – che è la vera applicazione della sussidiarietà orizzontale – in cui la scuola è il bene pubblico comune che viene supportato per il miglior raggiungimento possibile del successo formativo, a tutto tondo, dello studente. I patti di comunità vedono la scuola come il soggetto attorno a cui l’ente locale, che lo avvia, raccoglie tutti gli attori che siano in grado di supportare la scuola nel raggiungimento dei suoi obiettivi». Una distanza su cui in realtà c’è molto dibattito.

Loredana Poli (1:33 del video) assessore all’istruzione del Comune di Bergamo e membro della Commissione istruzione, politiche educative ed edilizia scolastica di ANCI ha sottolineato come alcuni temi e sperimentazioni sono nei territori da anni e tuttavia «non riescono a consolidarsi e a diventare patrimonio comune, dal nostro punto di vista manca un passaggio normativo o di regolamentazione, che è ora di fare, perché abbiamo un patrimonio di esperienza che ci consente di farlo». Le criticità che emergono da Lost in Education «sono analoghe a quelle che vediamo in altri progetti: un quadro normativo rigido, soprattutto quando si vanno a indicare responsabilità, tempi e spazi della scuola, che tendenzialmente resta ancorata a una autocentratura che spesso rende difficili le relazioni con il resto del territorio. Dico spesso, non sempre e questi progetti dimostrano che è possibile interagire in altro modo. Esiste anche un quadro normativo vago nel ruolo dell’ente locale che si discorsi da quello di fornitore di servizi a supporto alla scuola, ma indichi che il comune ha un ruolo nel sostegno dei setting educativi territoriali, formali, non formali e informali. Da questo punto di vista è vera la citazione dell’ente locale nella costruzione del Patto di Comunità, ma è vero che il Ministero dell’Istruzione nel 2020 ha finanziato le scuole per la costruzione dei patti di comunità: dove i sistemi territoriali si sono articolari per arrivare pronti a una condivisione ampia, quel finanziamento è caduto a beneficio di una comunità ampia, dove non è stato così, sono stati finanziamento per progetti della scuola nella scuola, molto riquadrati. C’è molto lavoro da fare su questo punto». Infine, ha detto l’assessore, «ci sono scuole che rifiutano il loro ruolo sociale, rivendicando uno specifico di educazione formale molto stretto, che ovviamente c’è, ma che in situazioni di difficoltà viene messo avanti come strumento di difesa. Bisogna aiutare queste scuole ad allargare la visione».

Vanessa Pallucchi (1:48), del Forum Terzo Settore, ha stressato il ruolo della politica a far da volano a certi percorsi, come fu già l’esperienza della legge 285, «che è vero che nascono dal basso, ma dal basso nascono dove c’è un terreno già dissodato»: il tema quindi è, rispetto a «tutte le risorse e opportunità che ci sono oggi, come facciamo a far sì che la messa a terra sia virtuosa e non casuale o disorganizzata?». Altro tema messo sotto la lente è l’arretramento rispetto agli anni 90 sul legame tra educazione formale, non formale e informale: serve il «riconoscimento reciproco che in questo Paese ci sono le scuole, che devono aver la cabina di regia della coprogrammazione, ma c’è anche una infrastruttura sociale che è fatta da altre strutture e soggetti». Raffaela Milano (1:55), per la Rete EducAzioni, ha rivendicato il fatto che il patto educativo di comunità «non deve essere una dichiarazione di intenti, ma deve diventare uno strumento con una sostanza giuridico-amministrativa, deve diventare vincolante per gli investimenti: se c’è il patto, arrivano le risorse; se non c’è, non arrivano. Ci sono questioni in cui le istituzioni si devono mettere insieme, devono coinvolgere i soggetti civici che sono nei territori e poi il sistema di governance deve produrre cambiamenti. Non può avvenire che non cambi niente in un momento da un lato di crisi e dall’altro di investimenti straordinari come quello che stiamo per vivere. Con il rischio che i territori che queste risorse non sono in grado di acquisirle restino ancora più indietro».

A trarre le conclusioni della due giorni di lavoro sono stati Marco Rossi Doria, Presidente di Con i Bambini (2:02) e Paolo Rozera, Direttore Generale del Comitato Italiano per l’Unicef – Fondazione Onlus (2:19). «I ragazzi ci chiedono continuamente autenticità, vogliono che le parole corrispondano ai fatti, vogliono coerenza tra le parole e i fatti e il riconoscimento condivido di ciò che realmente è avvenuto», ha detto Marco Rossi Doria. Due gli elementi fondamentali su cui Lost in Education si è misurato: la partecipazione e il management sul territorio. C’è bisogno di luoghi di riflessione partecipativa sulla direzione di marcia e questa riflessione ha bisogno di una expertice, voi siete esempio della cura di questi tools fondamentali». «C’è un tema di come istituzionalizzare o rendere solide le esperienze senza impoverirle con l’iper-standardizzazione. Rispondendo alla vostra domanda, è questa la questione: se tutto diventa rigido, i patti si fanno così, c’è un middle management prossimale e uno rigido e insopportabilmente burocratico che ferma qualunque ritrovato. Non so bene come fare, ma tutti abbiamo questo tipo di problema: è in arrivo una quantità di soldi che fa tremare i polsi e vanno gestiti bene, ma senza rischiare di fare tutto in termini rigidi e standard che vuol dure anche inefficiente. Ci vogliono tavoli nazionali, per medi territori e per microterritori, con il pensiero dei Comuni, delle scuole, del terzo settore, del civismo, dei genitori… luoghi stabili di confronto su come stanno andando le cose, basati sui “diari di bordo” dei progetti. A chi lo andiamo a dire? Che fare? Questo è un compito politico in senso proprio, che è all’ordine del giorno fino al massimo a metà ottobre».

Uno dei nodi affrontati da Marco Rossi Doria è quello della «discriminazione positiva. Noi siamo oggi i militanti del comma 2 articolo 3 della Costituzione («È compito della Repubblica rimuovere gli ostacoli di ordine economico e sociale, che, limitando di fatto la libertà e l'eguaglianza dei cittadini, impediscono il pieno sviluppo della persona umana e l'effettiva partecipazione di tutti», ndr), quelli che devono far sì che la Repubblica faccia ciò che dice di fare. Questo implica un conflitto. Se grazie ai fondi stanziati i nidi raggiungeranno la media di copertura del 33% perché a Milano salgono dal 52% al 76%, noi abbiamo perso. Se raggiungeremo il 33% perché a Napoli si passa dal 5% al 12%, noi abbiamo vinto. È un esempio, ce ne possono fare altri. Alcuni temi ci interrogano profondamente. Il tempo pieno, per esempio. Tutti a scuola per 14/18 ore in più a fare esattamente quello che si fa nel tempo ordinario, non è detto che fa imparare meglio tutti i ragazzini. Potrebbe essere anche una caienna in cui un ragazzino si disaffeziona ancora di più all’apprendimento, se fatto con lezioni frontali e senza ispirarsi al territorio. Questi patti di comunità allora si devono occupare anche di questo di essere militanti a favore del comma 2 articolo 3 della Costituzione, propensi all’innovazione per poter raggiungere tutti e ciascuno? No, ciascuno e tutti. È ora di invertire l’importanza delle cose. Sono 30 anni che la letteratura internazionale dice che il problema dei sistemi di welfare è raggiungere ciascuno: un’asticella da alzare allora è questa, non basta offrire a tutti ma bisogna arrivare a ciascuno. È più faticoso? Sì. Costa di più? Sì. Ma bisogna farlo».

Cosa ci serve quindi, in questo momento? «Disponibilità finanziaria, iniziativa imprenditoriale, una politica pubblica ambiziosa ma serve anche la fiducia collettiva, qualcosa che non è così diffusa ma che abbiamo tutti, nascosta da qualche parte», ha concluso Paolo Rozera, Direttore Generale di Unicef. «Spesso sono proprio i ragazzi a insegnarci cosa sia. Su questi elementi possiamo costruire un futuro diverso per il nostro Paese, che significa capacità di agire non come individui ma come comunità. A volte sembra che le istituzioni vedano il Terzo settore come soggetto destinato a missioni o disperate o marginali e a volte siamo noi stessi che ci vediamo così. Ma se vogliamo arrivare a mettere a sistema certe cose, dobbiamo superare questo blocco».


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