Sostenibilità sociale e ambientale

La transizione verde non si fa al ministero

Se il pianeta è diventato un giardino, come diceva Gilles Clément, non basta la sorveglianza a distanza. Servirebbe piuttosto una ferma volontà di curare le parti malate, di riportare in salute tante attività umane, rovesciando alcune logiche e priorità, quali ad esempio quella di realizzare i progetti in maniera partecipata, con gli abitanti dei luoghi

di Anna Detheridge

Era il 1997 quando Lucy Lippard, scrittrice, curatrice e attivista pubblicò un libro affascinante, "The Lure of the local, senses of place in a multicentred society" (The New Press). Interamente dedicato agli Stati Uniti, il libro è diviso in quattro parti: la geografia umana; la geografia della percezione; il multiculturalismo; le relazioni sociali. L’incipit recitava: «Place for me is the locus of desire», frase che si traduce male in italiano in quanto il luogo come significato è più vicino a locus che a place.

Il libro è un originalissimo percorso attraverso la meravigliosa specificità dei luoghi e anche se è focalizzato sul Continente nord americano, ha un respiro universale nella sua volontà di testimoniare in maniera viscerale, la magnifica diversità di paesaggi, comunità e morfologie geografiche. Ogni volta che si arriva in un luogo diventiamo uno degli ingredienti di una preesistente ibridità, afferma Lippard, che è in fondo la caratteristica di tutti i luoghi. Quando si entra in quel mondo ibrido contribuiamo a trasformarlo ulteriormente. La sua è una visione dinamica e partecipata. Ogni identità è reciproca, e viene inevitabilmente alterata dalla frequentazione delle persone che già vi abitano. Spesso il luogo fornirà al nuovo arrivato quel nutrimento che la vita sociale da sola non può offrire.

Non aver attenzione per i luoghi è dunque un crimine come è anche quel non saper osservare, come se si fosse abbattuta su di noi una coltre impenetrabile che ci avvolge e ci distanzia dalle cose, una sorta di cortina invisibile che non ci permette di relazionarci con i contesti fisici in cui ci troviamo a vivere e agire, complice una tecnologia dalle valenze ambigue. Sul tema dei luoghi c’è oggi molta, forse troppa letteratura, ma come afferma Lippard si rimane sempre sorpresi dell’indifferenza e dell’incomprensione che incontrano i contributi degli artisti che spesso sono in grado di vedere, percepire e narrare con grande anticipo le trasformazioni dei luoghi da una prospettiva che gli studiosi non posseggono.

Se penso all’Italia e l’interesse attuale per temi quali la prossimità (Abitare la Prossimità di Ezio Manzini, Egea 2021, intervista all'autore a pag 96) e la trasformazione ecologica non è possibile non citare il lavoro di Alberto Garutti che nel lontano 1992 ha scelto di restaurare un piccolo teatro abbandonato, Il Teatro di Fabbrica a Peccioli (Pi). Il senso dell’operazione non è stato un semplice restauro conservativo, ma di attivare un processo di riappropriazione dei luoghi attraverso molte conversazioni con i cittadini del paese, avvenute nel bar principale della piazza, «affinché l’opera si radichi nel territorio e appartenga al paesaggio naturale e sociale per il quale è concepita», contribuendo a vivificare, in controtendenza con l’inerzia amministrativa, quella vita di relazione offerta dalla prossimità, o meglio da quelle antiche consuetudini che possono far rinascere nei borghi semi abbandonati nuove e diverse forme di socialità.

Nell’attuale crisi ambientale, e nella ricerca di nuovi valori, acuita dalla pandemia scopriamo di colpo la povertà di un dibattito che oggi non riguarda soltanto la capacità di vedere e percepire i luoghi, ma l’urgenza di conoscere la specificità di quei territori di cui tanto si parla, per meglio comprendere l’enorme quanto imminente impatto di quella riprogettazione “ecologica”, reso inevitabile dalla ricerca di soluzioni e dalle forme di mitigazione agli effetti del cambiamento climatico, che non potranno non trasformare pesantemente i paesaggi italiani.

Secondo le dichiarazioni del ministro della transizione ecologica Roberto Cingolani, l’Italia dovrà produrre circa 65-70 gigawatt di energie rinnovabili entro i prossimi dieci anni. Questo porterà nei territori molti cambiamenti che riguarderanno l’installazione principalmente di pannelli fotovoltaici e di centrali eoliche che prevedibilmente non sempre potranno rispettare i paesaggi naturali. «La correlazione tra un pianeta in salute, le persone in salute e una società giusta è il vero obiettivo della transizione», afferma il ministro, «ma su questo non abbiamo la ricetta, non ce l’ha nessuno, stiamo cercando di capire dove andare, di capire la direzione. Essere europei, in un continente più visionario e saggio di altri, ci aiuta, ma il problema come detto è glocal».

La salute dei territori da monitorare sarà sempre più importante, ma ancora più importante sarà capire che cosa e a difesa di chi lavoreranno quell’insieme di «satelliti, droni, sensori analizzati dall’intelligenza artificiale per monitorare coste, aree verdi, discariche, perdite di acquedotti, resistenza di infrastrutture» ecc. ecc. Sarebbe importante, sapere da che parte sta il nostro Governo, poiché a detta di alcuni, i gasdotti e i piani per l’estrazione di petrolio non vanno nella direzione della svolta ecologica. Non solo, ma anche le soluzioni ecologiche qualora fossero implementate richiederanno realisticamente un consenso che non verrà senza preparazione e tanto meno passando sulla testa delle comunità come in passato.

Se il pianeta è diventato un giardino, come diceva Gilles Clément, da tener d’occhio con cura, non basta la sorveglianza a distanza. Servirebbe piuttosto una ferma volontà di curare le parti malate, di riportare in salute tante attività umane, rovesciando alcune logiche e priorità, quali ad esempio quella di realizzare i progetti in maniera partecipata, con gli abitanti dei luoghi proprio per scongiurare proteste e lotte ad oltranza.


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