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Cooperazione & Relazioni internazionali

Amnesty International: le violazioni dei diritti umani in Libia e il ruolo dell’Europa nei ritorni forzati

In un rapporto diffuso oggi, Amnesty International ha rivelato nuove prove di orribili violazioni dei diritti umani, compresa la violenza sessuale, nei confronti di uomini, donne e bambini intercettati nel mar Mediterraneo e riportati nei centri di detenzione libici. Il documento mette in luce le terribili conseguenze della cooperazione in corso tra l’Europa e la Libia in tema d’immigrazione e controllo delle frontiere

di Redazione

La camera dei deputati ha approvato la delibera che proroga le missioni militari italiane all’estero. È stata quindi confermata ancora la strategia fallimentare degli accordi con la Libia attraverso la decisione di destinare altri 500 mila euro alla guardia costiera libica – per un totale di 32,6 milioni di euro spesi dal 2017 nonostante essa sia responsabile di sistematici abusi e violazioni dei diritti umani, come denunciato da testimoni, agenzie internazionali e inchieste giornalistiche.

In un rapporto diffuso oggi, Amnesty International ha rivelato nuove prove di orribili violazioni dei diritti umani, compresa la violenza sessuale, nei confronti di uomini, donne e bambini intercettati nel mar Mediterraneo e riportati nei centri di detenzione libici. Il rapporto mette in luce le terribili conseguenze della cooperazione in corso tra l’Europa e la Libia in tema d’immigrazione e controllo delle frontiere.

Intitolato “Nessuno verrà a cercarti: i ritorni forzati dal mare ai centri di detenzione della Libia”, il rapporto dimostra che le violazioni dei diritti umani dei migranti e dei rifugiati, in corso da un decennio, sono proseguite incontrastate nel primo semestre del 2021 nonostante l’asserito impegno ad affrontarle.

Il rapporto rivela inoltre che dalla fine del 2020 la Direzione per il contrasto all’immigrazione illegale (Dcim), un dipartimento del ministero dell’Interno della Libia, ha legittimato le violazioni dei diritti umani, integrando tra le strutture ufficiali due nuovi centri di detenzione dove negli anni scorsi le milizie avevano sottoposto a sparizione forzata centinaia di migranti e rifugiati. Persone sopravvissute a uno di questi centri hanno denunciato che le guardie stupravano le donne e le obbligavano ad avere rapporti sessuali in cambio di cibo o della libertà. “Questo rapporto getta nuova luce sulla sofferenza delle persone intercettate in mare e riportate in Libia per finire immediatamente in stato di detenzione arbitraria ed essere sistematicamente sottoposte a torture, violenza sessuale, lavori forzati e altre forme di sfruttamento nella totale impunità. Le autorità libiche, dal canto loro, hanno premiato i responsabili di queste violazioni dei diritti umani attraverso promozioni e l’assegnazione di posizioni di potere. Questo significa una sola cosa: che rischiamo di vedere gli stessi orrori replicarsi ancora”, ha dichiarato Diana Eltahawy, vicedirettrice di Amnesty International per il Medio Oriente e l’Africa del Nord.

“Il nostro rapporto evidenzia inoltre la perdurante complicità degli stati europei, che continuano vergognosamente a rafforzare e assistere i guardacoste libici nella cattura di persone in mare e nel ritorno forzato di queste ultime nell’inferno dei centri di detenzione della Libia, anche se nelle capitali europee si sa perfettamente a quali orrori quelle persone andranno incontro”, ha aggiunto Eltahawy.

Il rapporto contiene le storie di 53 migranti e rifugiati precedentemente trattenuti in centri ufficialmente posti sotto il controllo del Dcim, 49 dei quali detenuti direttamente dopo essere stati intercettati in mare.

Le autorità libiche hanno dichiarato di voler chiudere i centri del Dcim dove si sono verificate violazioni dei diritti umani ma le stesse violazioni si stanno verificando nei centri di detenzione nuovi o trasferiti sotto il controllo dello stesso Dcim. Sintomo di un’impunità dominante, luoghi informali di prigionia originariamente sotto il controllo di varie milizie sono stati riconosciuti e integrati nella struttura del Dcim.

Nel 2020, centinaia di persone intercettate in mare e riportate in Libia sono di fatto scomparse in un luogo informale di detenzione, all’epoca diretto da una milizia. In seguito, il sito è stato posto sotto il controllo del Dcim col nome di Centro di raccolta e di ritorno di Tripoli – meglio conosciuto col nome al-Mabani – e vi sono stati assegnati il direttore e altro personale del centro Dcim di Tajoura, tristemente noto per le torture, chiuso nell’agosto 2019 dopo un bombardamento che aveva ucciso almeno 53 detenuti.

Nella prima metà del 2021 ad al-Mabani sono state portate oltre 7000 persone intercettate in mare. Ex detenuti hanno descritto ad Amnesty International le torture, le condizioni detentive inumane, le estorsioni e i lavori forzati cui erano sottoposti. Alcuni hanno anche riferito di essere stati costretti a subire perquisizioni corporali invasive, umilianti e violente. L’altro centro di detenzione precedentemente diretto da una milizia e ora integrato nel Dcim è quello di Shara’ al-Zawiya, a Tripoli, cui sono destinate persone in condizioni di vulnerabilità. Ex detenuti hanno raccontato ad Amnesty International che le guardie stupravano le donne e che alcune di loro venivano obbligate ad avere rapporti sessuali in cambio di forniture essenziali come l’acqua potabile o della libertà.

“Grace” (nome di fantasia) è stata picchiata brutalmente per non aver accettato il ricatto: “Gli ho detto di no. Allora [la guardia] mi ha picchiato con una pistola, poi mi ha dato un calcio su un fianco con uno scarpone di cuoio da soldato”. A seguito delle violenze subite, due giovani donne detenute a Shara’a al-Zawiya hanno tentato il suicidio.

Tre donne hanno testimoniato che due bambini, detenuti in cattive condizioni di salute con le loro madri dopo essere stati intercettati in mare, sono morti all’inizio del 2021 dopo che le guardie avevano rifiutato di trasferirli in ospedale.

Il rapporto di Amnesty International descrive violazioni dei diritti umani simili – tra cui pestaggi brutali, violenze sessuali, estorsioni, lavori forzati e condizioni detentive inumane – in sette centri di detenzione del Dcim. Nel centro di Abu Issa, nella città di al-Zawiya, i detenuti hanno riferito di essere stati privati di sostanze nutrienti fino al punto di patire la fame. Ad al-Mabani e in altri due centri del Dcim, Amnesty International ha documentato l’uso illegale della forza e delle armi da fuoco da parte delle guardie e di altri uomini armati, che hanno ucciso e ferito detenuti.

“L’intero sistema dei centri di detenzione libici per i migranti è marcio dalle fondamenta e dev’essere smantellato. Le autorità libiche devono chiudere immediatamente tutti i centri di detenzione per rifugiati e migranti e porre fine alla loro detenzione”, ha sottolineato Eltahawy.

Tra gennaio e giugno del 2021 le missioni “di soccorso” dei guardacoste libici sostenuti dall’Europa hanno intercettato in mare e riportato in Libia circa 15.000 persone, più che in tutto il 2020. Le persone intervistate da Amnesty International hanno regolarmente descritto la condotta dei guardacoste libici come negligente e violenta. Sopravvissuti hanno raccontato come i guardacoste libici avevano deliberatamente danneggiato le imbarcazioni su cui viaggiavano, in alcuni casi causandone il capovolgimento e – in almeno due occasioni – l’annegamento di migranti e rifugiati. Un testimone oculare ha dichiarato che dopo che i guardacoste libici avevano fatto capovolgere un gommone, anziché soccorrere le persone in mare hanno filmato la scena.

Nei primi sei mesi del 2021 nel Mediterraneo centrale sono morti annegati oltre 700 migranti e rifugiati. Persone intervistate da Amnesty International hanno spesso dichiarato che, durante la traversata, avevano visto degli aerei sopra di loro o delle navi nei paraggi che rifiutavano di offrire assistenza, mentre i guardacoste libici si avvicinavano.

L’Italia e altri stati membri dell’Unione europea hanno continuato a garantire assistenza materiale, come ad esempio motovedette, ai guardacoste libici e stanno lavorando alla creazione di un centro di coordinamento marittimo nel porto di Tripoli, prevalentemente finanziato dal Fondo Fiduciario dell’Unione europea per l’Africa.

“Nonostante le massicce prove dei comportamenti sconsiderati, negligenti e illegali dei guardacoste libici in mare, e delle sistematiche violazioni dei diritti umani nei centri di detenzione a seguito dell’intercettamento in mare, i partner europei continuano a sostenere i guardacoste libici che riportano a forza le persone in Libia, a soffrire di nuovo quegli stessi abusi da cui erano fuggite”, ha commentato Eltahawy. “È giunto il momento che gli stati europei riconoscano che le conseguenze delle loro azioni sono indifendibili. Devono sospendere la cooperazione con la Libia in tema di controllo dell’immigrazione e delle frontiere e aprire urgentemente quei percorsi sicuri così necessari per la salvezza di migliaia di persone bisognose di protezione, attualmente intrappolate in Libia”.


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