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La bottega milanese che cuce percorsi di empowerment femminile

Oggi alla sfida dell’inclusione e dell’emancipazione di Taivé se ne aggiunge un’altra: il pareggio di bilancio. Così è nata la partenership con Vesti Solidale, una cooperativa di inserimento lavorativo per persone svantaggiate, che permetterà non solo una distribuzione maggiore dei prodotti, ma soprattutto di cogliere la grande opportunità del riciclo dei capi di abbigliamento

di Giovanni Gut

A Milano, nel cuore del quartiere Casoretto, c’è una vetrina da cui spuntano borse, vestiti, zaini e le ormai immancabili mascherine, una giostra di colori che sfida il grigiore dei palazzi attorno. Quella vetrina è il laboratorio di stireria e sartoria Taivé, un progetto della Caritas ambrosiana avviato poco più di una decina di anni fa, ma che affonda le sue radici sul finire degli anni 90, quando la Caritas colse l’occasione di aiutare alcune donne appartenenti alla comunità Rom.

Taivé, che in romaní significa “filo”, è il punto di arrivo di questo lungo percorso di empowerment che, iniziato per favorire l’integrazione delle donne della comunità Rom, si è esteso fino a coinvolgere donne provenienti dalla tratta delle schiave, vittime di maltrattamenti, donne che stanno affrontando il fine pena o che si trovano in altre aree di fragilità. Il centro di questo intervento d’inclusione sociale, che è stato favorito dal sostegno delle istituzioni locali, è il lavoro che rappresenta l’opportunità per una vera e propria emancipazione, come afferma Suor Claudia Biondi, coordinatrice del settore aree di bisogno della Caritas ambrosiana, che del progetto è stata la promotrice: «il lavoro è un mezzo di emancipazione necessario per fornire strumenti ai soggetti più deboli che altrimenti non avrebbero alcuna chance. È importante che le donne possano avere degli sbocchi lavorativi dignitosi».

L’emancipazione passa anche attraverso la formazione volta a far acquisire sia le competenze “tecniche” sia le competenze trasversali. Il coinvolgimento del volontariato in questo progetto riguarda l’accompagnamento non solo da parte di persone tecnicamente preparate che insegnino il lavoro, ma pure di persone che si mettano in gioco in una relazione alla pari, per uno scambio di relazioni che favorisca l’emergere dell’umano in tutte le sue sfaccettature. Un aspetto, quest’ultimo, importante per l’acquisizione della sicurezza e dell’autonomia necessarie per affrontare da protagonista il mondo del lavoro.

Così, Taivé è diventata negli anni una bottega di quartiere al centro di rapporti con la realtà circostante: dalle associazioni ai vari servizi presenti sul territorio (a partire da quelli per il sostegno alle donne), dalle istituzioni alle tante famiglie che gravitano intorno alla bottega acquistandone i prodotti e condividendone l’esperienza. Questo percorso di crescita ha permesso ad alcune donne coinvolte nel progetto rimanere a lavorare nel laboratorio assumendosi responsabilità sempre maggiori, mentre ad altre, una volta finito il loro periodo dentro Taivé, di essere accompagnate nel mondo del lavoro.

L’accompagnamento nel mondo del lavoro è un punto qualificante del progetto, che non termina con lo scadere dei contratti, ma che dura nel tempo per sostenere l’inserimento lavorativo e verificare l’intero percorso della persona. Dall’inizio dell’avventura di Taivé nel 2009 sono state formate nel laboratorio circa una quarantina di donne, la maggior parte giovani sotto i 30 anni, appartenenti a 14 nazionalità, in particolare provenienti dalla Romania, dal Kosovo, dalla Macedonia, dalla Nigeria, oltre che dall’Italia. Oggi alla sfida dell’inclusione, dell’empowerment, dell’emancipazione, se ne aggiunge un’altra: il pareggio di bilancio. Si tratta di una sfida prima culturale che numerica, per affermare che opere, nate dal desiderio di rispondere a bisogni ed esigenze, nate attraverso l’aiuto umano ed economico delle istruzioni locali e di soggetti come la Caritas, hanno la forza di sostenersi da sole e di diventare a loro volta dei punti di riferimento.

È questa la situazione odierna di Taivé che è alla ricerca di nuovi spazi e di nuovi incontri per poter crescere. Uno di questi incontri è stato con Vesti Solidale, una cooperativa di inserimento lavorativo per persone svantaggiate che dalla fine degli anni 90 si occupa della rivendita di indumenti usati in buono stato tramite i negozi SHARE (second hand reuse). Questa collaborazione, favorita dal comune oggetto del lavoro ma non per questo scontata, permetterà non solo una distribuzione maggiore dei prodotti, ma soprattutto di cogliere una grande opportunità nell’ambito del riciclo dei capi di abbigliamento. Poiché la responsabilità estesa di produttori, introdotta dall’Unione Europea, chiede loro di farsi carico del “fine vita” dei prodotti, la collaborazione tra Taivé e Vesti Solidale con il tessile milanese potrebbe portare a nuove prospettive nell’ambito del riciclo dell’abbigliamento.

Matteo Lovatti, presidente di Vesti Solidale, afferma: «la sinergia tra le nostre realtà, la possibilità di allargare la rete di distribuzione e di riciclare i capi d’abbigliamento, potrebbe rappresentare per Taivé uno sviluppo importante verso la sostenibilità economica che rimane la grande partita da giocare». Si tratta di un progetto ancora in fase embrionale, ma che rende l’idea di quanto fertile possa essere l’incontro tra non profit e profit sotto il segno di quell’economia circolare della quale, forse, non abbiamo compreso appieno il potenziale. Se questo futuro sarà possibile, lo sarà grazie a quel filo di relazioni che Taivé ha saputo intrecciare nel tempo e che si riflette nella cura con cui i capi vengono confezionati, nell’attenzione sempre maggiore prestata ai particolari, nell’importanza data al rapporto con i clienti e con il territorio, nella fantasia con la quale si ricercano nuovi prodotti e nuove forme di collaborazione.


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