Economia & Impresa sociale 

La CSR è il suo Impatto sociale

Altro che scorciatoia per “rifarsi un'immagine”: la Corporate Social Responsibility è una cosa seria, che non garantisce “solo” virtuose ricadute etiche, ma fatturato: a patto che sia gestita come un vero e proprio asset aziendale

di Raffaele Abbattista

Non chiamatela attività ancillare: se mai lo è stata, la Corporate Social Responsibility oggi non lo è più. Al contrario: è un asset aziendale a tutti gli effetti. E porta vantaggi: in termini di immagine e di posizionamento, ma anche dal punto di vista strettamente finanziario. Vediamo in che termini.

Un recente studio condotto da Ipsos (ottobre 2020) rivela che oltre 7 italiani su 10 sono interessati al tema della sostenibilità. Attenzione: il restante 30% (scarso) non è necessariamente composto da persone non sensibili al tema. La loro preoccupazione è in molti casi, semmai, che la finalità autopromozionale – nelle diverse declinazioni del green, del pink e del rainbow washing – sia prevalente sulla finalità etica. Donde il loro sospetto e donde la necessità, da parte delle imprese impegnate, di garantire sempre massima trasparenza su attività e azioni condotte.

Il “desiderio di consumare bene” è sempre più diffuso nella platea dei consumatori (sempre secondo Ipsos l’85% degli italiani, per esempio, considera i prodotti sostenibili più innovativi e qualitativamente superiori rispetto agli altri e il 77% delle persone basa le sue scelte di acquisto sulla qualità) e dunque rappresenta il driver più pervasivo e duraturo nelle scelte verso prodotti sostenibili. Quella che lega sostenibilità e risultati economici complessivi è una correlazione ormai pienamente dimostrata: da dati Unioncamere emerge che, fra le medie imprese industriali italiane che hanno investito nel green nel 2016, il 58% ha aumentato il fatturato, il 41% ha incrementato l’occupazione e il 49% ha visto aumentare l’export.

La CSR conviene, dunque. Ma attenzione: un’adesione superficiale al tema della sostenibilità non basta. Le mode passano in fretta: che la sostenibilità non solo sia necessaria, ma sia una condizione per una buona attività aziendale, è un fatto che deve essere interiorizzato da chi fa impresa e da chi, presso tale impresa, lavora come dipendente o collaboratore. La percezione dall’esterno, cioè da parte di clienti, partner e concorrenti, e il posizionamento sono solo un aspetto della questione. E nemmeno il più importante. La sostenibilità è invece un fatto strutturale. Anche costruire ambienti lavorativi basati sulla fiducia è sostenibilità. Anche dotarsi di un welfare aziendale di qualità è sostenibilità. Il prodotto è un valore costituito (anche) di valori: quelli dell’etica.

Una buona definizione di CSR è “approccio strategico nel fare impresa in maniera virtuosa”. Entrambi gli aggettivi sono pregnanti: “virtuoso” e “strategico”. Il buono e l’utile, con la CSR, coincidono. Non deve, non può essere altrimenti. Diversamente, il “castello” crolla. L’impresa di oggi non è chiamata a generare “soltanto” profitto, ma effetti positivi sul mercato sull’intera società e sul percepito bene comune. L’Agenda 2030 dell’ONU pone esplicitamente 17 obiettivi di sviluppo sostenibile basati sulle 3 aree coinvolte nel concetto di sviluppo sostenibile, che sono ambiente, società ed economia: per le aziende, un’ottima traccia per costruire i propri programmi CSR.

Qualche indicazione su come fare buona CSR: prima di tutto, serve un approfondimento giuridico; non si potrà quindi prescindere da una generazione di reti a supporto delle proprie iniziative; a monte, è fondamentale rilevare le esigenze del territorio, della società e del sistema paese per creare progetti in risposta: questo si fa in un modo solo, imparando ad ascoltare. Una buona comunicazione farà il resto. Viviamo tempi difficili: reperire fondi (questo è un lavoro da farsi a tempo pieno: siamo tutti d'accordo, vero?) è sempre più difficile ed è dunque fondamentale che fondazioni e aziende prendano piena confidenza con l’importanza e l’indispensabilità di calcolare l’impatto sociale, con la valutazione, cioè, qualitativa e quantitativa – sul breve, medio e lungo periodo – degli effetti delle attività svolte sulla comunità di riferimento rispetto all'obiettivo individuato, razionalizzando i processi affinché le risorse economiche a disposizione diano il massimo risultato. Possiamo riassumere il tutto in un esempio su cosa non fare: un’azienda che scelga di finanziare un progetto associativo che promuove, per dire, spettacoli o concerti e poi fa pagare i biglietti decine di euro, non avrà generato un impatto sociale utile o costruttivo.

*Founder Renovatio


Qualsiasi donazione, piccola o grande, è
fondamentale per supportare il lavoro di VITA