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Cooperazione & Relazioni internazionali

Noi coppie adottive lasciate sole e senza vaccino

La denuncia di una coppia adottiva, che era in India nello stesso periodo di Enzo Galli, il papà deceduto pochi giorni fa. «Ci siamo mobilitati, e non siamo stati i soli, per chiedere ad ogni livello, dalla Asl al ministero, che le coppie adottive in partenza avessero diritto al vaccino, senza alcun esito. Il silenzio delle istituzioni è stato assordante. Perché la Commissione Adozioni Internazionali non ha speso una parola?»

di Ilaria Chierici e Davide Fiore

Siamo una coppia adottiva di Parma e scriviamo in merito alla vicenda, raccontata anche dal vostro giornale, di Enzo Galli, deceduto qualche giorno fa per Covid, a pochi mesi dall'adozione della piccola Miriam.

Non abbiamo conosciuto personalmente questa famiglia, ma eravamo in India negli stessi giorni per lo stesso motivo (siamo partiti per l'India il 14 aprile e siamo rientrati in Italia il 4 maggio); avevamo seguito la loro vicenda e leggere questa notizia è straziante.

Abbiamo esitato a scrivere, ritenendo, inizialmente, che il silenzio fosse più rispettoso nei confronti di una situazione così dolorosa. Ma questa storia, che solo per caso non è stata la nostra, ha continuato ad affacciarsi alla nostra mente e così ci siamo decisi a portare la nostra testimonianza, come atto doveroso nei confronti di questa famiglia e anche di quelle che devono ancora affrontare un'adozione internazionale.

In aprile l'India era considerata dall'Italia un paese a rischio, per cui le coppie adottive sono partite con un visto speciale.

Nelle settimane che hanno preceduto la nostra partenza, i vaccini scarseggiavano ma erano partite le somministrazioni e tutti invitavano ad "aspettare il proprio turno". Io, in quanto insegnante, avevo ricevuto la prima dose. Mio marito era del tutto scoperto. Noi non potevamo "aspettare il nostro turno", perché nostro figlio, Rehansh di 2 anni, ci aspettava in un orfanotrofio di Bombay, il Covid aveva già dilatato i tempi di attesa e quindi, appena possibile, noi saremmo partiti comunque, come avrebbe fatto qualunque genitore.

Ci siamo mobilitati, e non siamo stati i soli, per chiedere che le coppie adottive in partenza avessero diritto al vaccino (si trattava di alcune decine di persone, numeri che avrebbero avuto un impatto trascurabile sul sistema), senza alcun esito.

Abbiamo scritto a

– AUSL locale

– Assessorato regionale alla salute

– Assessorato regionale alla cooperazione internazionale, allo sviluppo e aiuti umanitari, promozione delle politiche sociali, di inclusione sociale e di opportunità per le persone e le famiglie.

– Ministero delle pari opportunità (che ha delegato la risposta alla Commissione Adozioni Internazionali)

Tutti hanno risposto che la questione non dipendeva da loro.

Allora abbiamo scritto al Ministero della Salute, che non ci ha mai risposto.

In quelle settimane, noi coppie adottive siamo partite senza che ci fosse garantita copertura vaccinale, con un rischio altissimo, di cui nessuno si è assunto la responsabilità.

Per noi è stata preziosa la vicinanza del nostro ente autorizzato, Mehala, che ha fatto il possibile per supportarci al meglio e per permetterci di rientrare prima del tempo.

Anche nella nostra esperienza, come in quella riportata dalla Signora Galli, è stata fondamentale l'attivazione delle autorità in India, in particolare della Console di Bombay Stefania Costanza, che ha seguito personalmente, con estrema cura, il nostro rimpatrio in sicurezza.

In Italia, invece, il silenzio delle istituzioni è stato assordante. Che senso ha prevedere un visto speciale per una situazione delicata come un'adozione internazionale, se poi non si tutela l'incolumità della famiglia appena creata?

Perché la CAI non ha speso una parola su questo, anzi, ha risposto al nostro appello via mail con due righe sull'impossibilità di "interferire" (sic) con la campagna vaccinale?

Non è la CAI ad avere come mandato istituzionale il sostegno e la rappresentanza delle coppie in adozione internazionale? Se non lo è, quale istituzione ha questo compito e perché non si è attivata?

Un'adozione internazionale NON è un fatto privato e uno Stato serio non può abbandonare le coppie dopo aver semplicemente validato le carte.

Crediamo che questa vicenda drammatica debba obbligarci ad un ripensamento delle istituzioni pubbliche a tutela delle famiglie in adozione internazionale che, al di là della pandemia, sono sempre esposte a rischi di varia natura (crisi politiche, ambientali, ecc.). Prevenirli ed affrontarli col supporto dello Stato sarebbe tutt'altra cosa. In ballo ci sono le vite di bambini già feriti dalla vita e quelle dei loro genitori.

Ilaria Chierici e Davide Fiore


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