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Cooperazione & Relazioni internazionali

In Afghanistan i “taxi del mare” tornano a essere utili

Dopo anni di guerra senza quartiere e diffamazioni le organizzazioni non governative oggi sembrano godere di una nuova reputazione politica. L'Unione Europea infatti sul fronte afghano ha messo in campo una soluzione fatta di due azioni: accoglienza nel nostro Continente e aiuti in Afghanistan. E chi se ne dovrà occupare?

di Tiziano Blasi

Ci siamo ricordati del Sud del Mondo. Erano anni che non si parlava tanto di un Paese del Sud del mondo come si è fatto in questi giorni con l’Afghanistan. La guerra in Siria, l’emergenza dei Rohingya, lo Yemen o ora Haiti sono sempre state rilegate in terzo piano rispetto a qualche truce omicidio nostrano, la sparata di un politico o l’avvincente ritorno a casa di un cane perduto nella famosa “colonna di destra” dei siti dei principali giornali.

Diversamente da altre emergenze, in Afghanistan abbiamo una narrazione che vanta due elementi di grande magnetismo: la sconfitta degli Stati Uniti e del progetto di guerra infinita e, soprattutto, un nemico chiaro e distinto. Un nemico che appassiona perché incarna sia i tratti più esasperati del malvagio per gli islamofobi che la nemesi più nera di chi crede nei diritti umani. Non ci si può sorprendere quindi che l’attrazione verso questo racconto sia fortissima e abbia avuto un pubblico amplissimo.

In questa narrazione così netta si è parlato di nuovo e molto di ONG con un racconto per lo più positivo e, in alcuni casi, eroico. Racconto che è stato amplificato dalla scomparsa, negli stessi giorni, della figura più carismatica della cooperazione italiana che proprio sul fronte afgano aveva speso anni di vita.

Davanti a questo quadro, possiamo scoraggiarci ed indignarci pensando a quanta poca attenzione è dedicata ai più di 2mila morti ad Haiti in agosto o ai 2,3 milioni di bambini che soffriranno di malnutrizione in Yemen quest’anno (senza citare le tante altre emergenze dimenticate).

O, diversamente, possiamo sfruttare questa occasione per pretendere attenzione e chiedere risorse reali (non solo emotive) per rispondere ai bisogni enormi generati da questa crisi.

Il programma è chiaro: accoglienza e aiuti

Ci sono infatti due aree di azioni evidenti a tutti: l’accoglienza in Europa e gli aiuti in Afghanistan.

L’Italia ospita circa 12 mila afghani, la Germania 147 mila, l’Iran 780 mila ed il Pakistan 1,4 milioni (UNHCR). Tanti afghani in Europa sono ancora irregolari o bloccati sulla rotta balcanica. Se siamo davvero al fianco del popolo afghano, partiamo subito da aiutare questi.

Tema forse ancora più complesso quello degli aiuti. Il bilancio dello stato afghano si regge per il 75% sugli aiuti internazionali. 19 Ong italiane risultavano operanti fino al 2019 (Open Cooperazione) e l’Afghanistan è una Paese prioritario per l’Agenzia Italiana per la Cooperazione allo Sviluppo.

Sebbene ci sia un acceso dibattito su come garantire un aiuto alla popolazione nonostante i Talebani e per quanto la cooperazione italiana sia sempre più marginale a livello internazionale, la nostra conoscenza ed esperienza del Paese e della regione può giocare un ruolo importante. A maggior ragione se saremo in grado di coordinarci con l’Europa e con la comunità dei donatori e delle agenzie internazionali.

Mi sembra quindi che ci sia una grande necessità di intervenire e, allo stesso tempo, ci siano degli spazi inediti per dare voce a chi fa cooperazione allo sviluppo e accoglienza. Spazi che vanno presi e gestiti con una strategia congiunta di più organizzazioni (dalle ONG, passando per l’accoglienza e la filantropia istituzionale) e che potrebbero essere un’opportunità per dare finalmente una rappresentazione più reale del lavoro nel sud del mondo.

È una buona occasione per ricordare che in Afghanistan – come in tanti Paesi del mondo e “periferie” italiane – ci sono operatrici sul campo che rimangono nonostante i rischi quando gli ambasciatori se ne vanno, cooperanti da intervistare perché hanno consumato scarpe su quel terreno da anni e non da giorni, professioniste che organizzano l’assistenza sanitaria mentre il Paese crolla.

Bene, non dimentichiamoci che tutte queste persone sono i “taxi del mare”. E lo sono anche orgogliosamente.



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