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Inclusivo non è il contrario di competitivo: adesso esportiamo il modello Tokyo a tutta la società

«Spesso competizione e inclusione vengono viste come due cose in conflitto: è il contrario. Più siamo inclusivi, più si alza il livello, più siamo competitivi: ma questo modello non vale solo per lo sport», dice Marco Rasconi. «Siamo abituati a raccontare i traguardi, ma quelli sono la punta dell’iceberg di un percorso. Adesso festeggiamo, ma da domani ricominciamo ad allenarci tutti, non solo gli atleti»

di Sara De Carli

Con 69 medaglie si sono chiuse ieri le Paralimpiadi. «Le 109 medaglie guadagnate in totale a Tokyo sono la conferma che siamo sempre di più due facce della stessa medaglia», ha detto il presidente del Comitato Italiano Paralimpico, Luca Pancalli. «Vedere oggi [ieri, ndr] le principali testate aprire oggi con l'immagine delle nostre atlete mi ha fatto dare un pizzicotto per vedere se fosse vero o se stessi sognando, ma l'attimo dopo è prevalsa la razionalità e con orgoglio dico che noi abbiamo lavorato per questo. […] Siamo contagiosi, e questo contagio positivo mi auguro non si spenga con lo spegnimento della fiaccola. Su questa fiaccola bisogna costruire un'Italia migliore: nel nostro Paese ci sono 3 milioni di disabili, togliendo gli anziani abbiamo più di 1 milione di ragazzi da intercettare».

Marco Rasconi, presidente UILDM, a sua volta atleta impegnato nel Wheelchair Hockey, commenta la fantastica avventura azzurra a Tokyo. Con un pensiero speciale a Francesco Bettella, storico consigliere di UILDM di Padova, che ha conquistato il bronzo nei 50 dorso S1 e il bronzo nei 100 dorso S1.


Da dove partire, oltre al numero delle medaglie?
Io parto dal rapporto statistico: aver vinto 69 medaglie vuol dire che l’Italia è competitiva e racconta uno sport possibile. Se siamo così competitivi è perché come Paese abbiamo scelto di intraprendere una politica volta a promuovere e sostenere le società sportive aderenti al CIP, con un sostegno economico ma anche organizzativo. Perché la forza di volontà dei singoli, tanto sottolineata, ovviamente fa moltissimo: ma ci vuole anche un sostegno, una politica, che in Italia che c’è. Il lavoro fatto dal CIP e da Luca Pancalli in questi ha portato a questi risultati, lo dobbiamo riconoscere. E ci tengo a sottolineare che sono associazioni che fanno un lavoro che nasce dal sociale e che sfocia nella competizione, ma senza dimenticare mai da dove parte. Questo dà un messaggio importante…

Che il nostro tesoro sono il largo bacino di sportivi che stanno sotto gli atleti che hanno vinto le medaglie?
Sì, ma non solo. Spesso competizione e inclusione vengono viste come due cose in conflitto: è il contrario. Più siamo inclusivi, più aumenta il numero di sportivi più si alza il livello, più cresce il numero di atleti, più siamo competitivi. Le Paralimpiadi con lo sport l’hanno reso evidente. Ma questo modello non vale solo per lo sport! È è lo stesso in tutti gli ambiti di vita: più siamo inclusivi sul lavoro, più siamo bravi a lavorare, più siamo produttivi:non è vero che dove c’è un lavoratore disabile non c’è produttività. Lo stesso in un condominio dove vive una persona con disabilità: non abbassa il valore della casa, lo aumenta. Fare qualcosa insieme non solo diventa possibile, ma diventa straordinario.

Diceva che questi atleti hanno sottolineato tutti la dimensione sociale e inclusiva dello sport.
Questo è importante. Purtroppo siamo abituati a raccontare solo i traguardi, ma quelli sono la punta dell’iceberg di un percorso, lo dice uno che ha sempre fatto sport. Tutti gli atleti hanno ricordato di come attraverso lo sport siano rinati e abbiano capito che nonostante la disabilità potevano fare cose. Hanno detto “io non pensavo di poterlo fare”. Senza quella scintilla che nasce dall’inclusione, dal sociale, dalla voglia di trasformare una persona attraverso lo sport, nessuno sarebbe arrivato a quel livello. Finalmente mi pare esserci la capacità di capire che attraverso lo spot una persona con disabilità si può esprimere. Il tempo libero e lo sport invece sono sempre stati considerati un po’ una “cenerentola”, perché le cose veramente importanti erano la scuola e il lavoro. Certo, è vero, sono fondamentali ma anche il diritto allo svago e al tempo liberto lo sono, perché come tutti nel nostro tempo libero capiamo ed esprimiamo chi siamo. Per questo uso la parola sportivo, che è una parola più inclusiva di atleta: le 69 medaglie in questo senso non sono state vinte solo dagli atleti che le hanno vinte e dai loro staff ma da tutte le società e da tutto il mondo della disabilità, che è riuscito a far passare il concetto che lo sport è riabilitazione e che anche a livello olimpico resta prima di tutto uno straordinario strumento di inclusione e di superamento del paradigma che chi è disabile non può fare nulla.

Il giorno dopo che fare quindi?
Intanto festeggiare. La sera stessa sei ubriaco di emozioni, il giorno dopo è il giorno della gioia e della festa. E poi continuare a raccontare questo messaggio, che è una bandiera per tantissime persone e famiglie che si trovano a fare i conti con una diagnosi, dicendo che si può fare. E poi – siccome una medaglia racconta di una società tutta che diventa migliore – da domani ricominciamo ad allenarci tutti, non solo gli atleti.

foto © Comitato Italiano Paralimpico


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