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Economia & Impresa sociale 

Quali reti per generare nuove “costruzioni sociali”?

«Le progettualità sociali del futuro saranno in grado di prosperare non appena per il valore “prestazionale” che generano, ma per il senso ed il significato che assumono, per il legame e l’impatto sociale che riescono a stabilire». L'intervento del direttore di Aiccon che chiude le quattro pagine speciali che Vita magazine di settembre ha dedicato al piano di sviluppo 2021-2025 del Consorzio Cgm, il più importante network italiano di cooperative e imprese sociali

di Paolo Venturi

La cooperazione che guarda al futuro, è quella che lo costruisce con coraggio nel presente. Si parla spesso di ripartenza, ma in verità l’impresa sociale e le sue reti non si sono mai fermate, dando prova concreta del proprio DNA pubblico. In una fase storica profondamente segnata dall’urgenza di una reale trasformazione è indispensabile però essere consapevoli che il cambiamento atteso non può risolversi domandando alla politica (leggasi PNRR) nuove regole e maggiori risorse, ma richiede la fatica di un profondo re-design strategico e organizzativo.

Un processo d’innovazione ancora fragile ma già visibile.
Non occorre aspettare infatti la fine di questa transizione per scorgere segnali di futuro. L’emergente è diventato istituente. I fatti storici di questa fase hanno accelerato e promosso la nascita di nuove istituzioni guidate da uno scopo comune, e dalla riscoperta e dalla ri-attivazione delle risorse tacite della comunità. Desideri, partecipazione, finanza, investimenti e luoghi “di comunità” devono tornare a guidare l’agire delle reti d’impresa sociale, mai come oggi importanti e decisive per la promozione e la competitività del mutualismo nel territorio. Rischio e complessità possono trasformarsi in grande spazio d’innovazione e opportunità grazie alla capacità delle reti di condividere senso e legami. La situazione d’incertezza e instabilità hanno messo in crisi i meccanismi lineari di previsione del futuro ma nello stesso tempo hanno liberato il desiderio e il contributo creativo di abitanti, cittadini, imprese.

Il passaggio dal prima al “dopo”.
Quando un modello economico non funziona più e un altro (non ancora definito) si prepara all’orizzonte, si apre una fase incerta ma potenzialmente generativa. Capita infatti di vedere fiorire molte innovazioni (spesso fragili e localizzate) incapaci però di diventar sistemiche, sostituendo così i servi e modelli organizzativi del passato. E’ una fase molto delicata quella che stiamo vivendo perché come in tutti i “passaggi di crisi”, il rischio è quello di vedere crescere negli operatori e negli imprenditori una perdita di fiducia, precipitando cosi in una eterna sindrome da “basse aspettative”. Da più parti in questi anni ho potuto osservare la contraddizione di molte imprese che da un lato sentono l’urgenza di investire sul futuro e dall’altro non sanno come fare poiché è radicalmente cambiato “il campo da gioco”. Non penso solo al campo sociale in senso stretto, ma anche a più ampi settori dell’economia dei servizi – il turismo e della ristorazione ad esempio – che sono sollecitati da trasformazioni profonde prima dal lockdown e ora da una tumultuosa ripartenza. Il rischio è di finire in un cul de sac che deprime l’offerta e alimenta richieste di ristori – peraltro sempre più conflittuali – invece che per investimenti.

Reti come intelligenze relazionali.
E’ dentro questa transizione che va rilanciata con forza l’importanza delle reti d’impresa sociale. Il senso e l’innovazione vanno infatti co-costruiti attraverso nuovi processi collettivi. Alla base dei nuovi processi d’innovazione c’è infatti un’intelligenza relazionale. L’innovazione sociale che serve non risiede appena nelle “buone idee” di alcuni illuminati, ma negli spazi d’interazione (luoghi d’innovazione sociale) che si vengono a formare fra i diversi soggetti. Non dobbiamo mai dimenticarci che nelle reti a finalità d’interesse generale è l’alchimia fra senso e legami che genera valore (anche economico). Un valore aggiunto in senso cooperativo che è sempre più un asset di competitività di sistema, non solo “ad uso e consumo” dell’economia sociale canonica. Basti guardare al formidabile rimbalzo delle filiere glocali del manifatturiero che sono già ben oltre i livelli pre crisi, merito anche del fatto che al loro interno operano, spesso in posizione di leadership, PMI campionesse del made in Italy che ben conoscono il valore della coesione territoriale e dell’inclusione della diversità.

Competitività costruita su senso e conversazioni.
Per questo motivo è impensabile immaginare una strategia di sviluppo senza rimettere al centro il valore delle “conversazioni”. Conversare per una rete, non è appena un metodo per scambiarsi informazioni o buone pratiche ma un percorso di conoscenza e sense making. Il senso che viene generato dentro una filiera sociale, postula infatti un legame tra le persone e le imprese che devono condividerlo. Le progettualità sociali del futuro saranno in grado di prosperare non appena per il valore “prestazionale” che generano, ma per il senso ed il significato che assumono, per il legame e l’impatto sociale che riescono a stabilire. La pandemia ha rotto molti argini e fatto emergere, nell’intersezione fra i settori e grazie all’apporto del digitale, nuove filiere sociali dove torna ad essere centrale il ruolo della relazione, dove l’innovazione è il frutto non tanto di una singola impresa, ma di processi di co-produzione.

Il futuro come esplorazione ed azione del presente.
La modernità consegna alle reti nuove sfide sociali e la responsabilità di contribuire non tanto a prevedere il futuro, quanto a farlo, accompagnando le imprese associate non solo con dei servizi, ma con un progetto d’innovazione che mette in conto scoperta e sperimentazione e che ha bisogno di investimenti pazienti, competenze digitali e modelli organizzativi agili e aperti. Il welfare del futuro deve fare i conti e partire dalla “vulnerabilità” come cifra e risorsa su cui costruire nuove infrastrutture sociali ( per le risorse leggasi Missione 5 del PNRR), giocando la partita dell’economia sociale attraverso una pluralità di filiere oltre a quella socio-assistenziale (es. welfare culturale, abitare sociale, agricoltura sociale, economie di luogo, educazione e sanità territoriale). Questa visione postula però un’azione corale e imprenditoriale delle reti promosse dalla cooperazione sociale. In questo senso i consorzi sono chiamati a far evolvere il tradizionale modello organizzativo, proponendosi come “hub comunitari”, ossia come una piattaforma aperta matrice cooperativa. Luoghi dove l’impresa sociale nelle sue diverse declinazioni trova “casa”, al fine di generare processi di co-progettazione, co-innovazione e co-investimento per quella crescente fascia di popolazione a cui è negata una “vita buona”. I piani strategici di reti, consorzi e filiere andranno misurati perciò non solo per la loro capacità di mobilitare risorse umane ed economiche, ma soprattutto per la capacità di accompagnare le innovazioni radicali delle singole imprese, legandole a quei flussi e quei luoghi utili a renderle sistemiche, sostenibili e integralmente inclusive.


in foto: cooperatori di Civico 81 di Cremona, realtà attiva dal 2016


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