Cooperazione & Relazioni internazionali

Afghanistan, che futuro per i civili?

La società civile, infatti, con i suoi intellettuali, artisti, lavoratori di ogni settore, politici, difensori dei diritti umani, è minacciata nella sua stessa incolumità dall’orrore delle milizie armate. Gli Afghani e le Afghane cresciuti negli ultimi vent’anni, che nonostante lo stato permanente di instabilità e insicurezza del Paese sono riusciti a vivere una certa apertura, oggi non si arrendono. Ma chi li aiuterà? Il G20 dedicato all'Afghanistan del prossimo 12 ottobre basterà?

di Asmae Dachan

Se Socrate avesse riconosciuto quelle che gli venivano contestate come colpe, i suoi detrattori gli avrebbero risparmiato la vita, ma forte della sua verità il filosofo decise, piuttosto, di bere la cicuta. La condanna a morte di Socrate si reitera in ogni epoca storica. Ancora una volta accade in Afghanistan. L’improvviso tracollo geopolitico nel Paese asiatico, dopo il ritiro delle truppe internazionali, ha mostrato tutta la fragilità e la vulnerabilità di un popolo che da quasi mezzo secolo non conosce la pace. La generazione cresciuta negli ultimi vent’anni, soprattutto nelle maggiori città, ha assaporato cambiamenti, maggiori libertà, ma senza la protezione delle truppe straniere, oggi si trova alla mercè dei gruppi armati, pronti a sacrificare la vita di chiunque non vada loro a genio e ostacoli i loro piani.

Civili tra due fuochi: Talebani e Isis-K

La società civile, infatti, con i suoi intellettuali, artisti, lavoratori di ogni settore, politici, difensori dei diritti umani, è minacciata nella sua stessa incolumità dall’orrore delle milizie armate. Da un lato i Talebani, armati fino ai denti, addestrati alla guerra, radicati nel territorio, feroci e assetati di sangue e potere. Dall’altro i terroristi dell’Isis Khorosan, il ramo afghano del cosiddetto Stato Islamico nato tra il 2014 e il 2015 nell’omonima provincia afghana, e formato, principalmente, da combattenti stranieri convogliati da Pakistan, Tagikistan e Uzbekistan. Numericamente il confronto vede i Talebani in forte vantaggio, in quanto gli affiliati all’Isis-K sarebbero meno di 2000, ma il potenziale di violenza di questi ultimi rappresenta una minaccia concreta per la popolazione locale e non solo. Gli attentati all’aeroporto di Kabul del 26 agosto scorso, che hanno provocato almeno 170 vittime e duecento feriti lo dimostrano.

Lo scontro tra integralismi

Il confronto tra le due formazioni non è semplicemente di tipo militare, ma anche ideologico. Entrambi rivendicano un’ideologia islamista, ovvero si rifanno a un’interpretazione integralista, oscurantista e misogina della religione islamica, che non rispecchia la sensibilità della maggioranza degli afghani. Questi ultimi sono un popolo mite, composto da diverse etnie, i Pashtun, i Tagiki, gli Hazara, gli Uzbeki e i Beluci, che vive in un contesto montagnoso e ostile, sacrificato agli interessi della geopolitica internazionale da anni. La maggioranza della popolazione è musulmana sunnita; ci sono poi gli sciiti, in particolare gli Hazara, da sempre nel mirino dei Talebani, e una piccola minoranza di cristiani, buddisti, parsi, sikhe indù. Le formazioni terroristiche che oggi si contendono il controllo dell’Afghanistan hanno fatto della religione una bandiera per la propria propaganda, asservendola ai propri scopi e introducendo il takfir (da kufur, miscredenza, una sorta di scomunica) per tacciare di apostasia i loro detrattori e condannarli a morte. Questa visione criminale e corrotta della religione, che di religioso e di spirituale non ha nulla, vede oggi Talebani e Isis-K accusarsi vicendevolmente di kufur. Gli stessi che in nome della loro pseudo religione tagliano teste, chiudono scuole, escludono le donne da ogni ambito della società, espongono i cadaveri delle loro vittime in piazza, in nome di quella stessa pseudo religione vengono definiti eretici da chi compie attentati e stragi terroristiche sotto un’altra bandiera. Nel loro campo ideologico, è uno scontro “a chi è più terrorista dell’altro”. Una vergognosa, spregevole, mortificante e disumana lotta che sacrifica ogni giorno vite innocenti.

L’alternativa che è mancata

In tutti questi anni a buona parte della popolazione afghana è mancata la possibilità di vivere e credere in una possibile alternativa. Chi non viveva nelle grandi città, chi non aveva mezzi economici decorosi, chi non aveva legami con le potenze straniere che controllavano il Paese è rimasto ai margini, non ha assaporato un reale evoluzione sul piano sociale e dei diritti umani ed è rimasto come sospeso nel tempo. Buona parte della popolazione, di fatto, non ha mai conosciuto un’alternativa alla violenza e alla prevaricazione. Nelle aree rurali e montagnose dove i cambiamenti trovano sempre una certa resistenza, in questi ultimi anni la situazione non è mutata e la partenza dei contingenti stranieri ha come rotto gli argini di una minaccia che era lì, pronta, in attesa di colpire chi, invece, ha assaporato, seppur tra mille ostacoli, una maggiore apertura. Le formazioni terroriste non hanno mai smesso di accanirsi contro le donne e le minoranze. Ora hanno però ancora più spazio d’azione.

La resistenza delle donne

Gli Afghani e le Afghane cresciuti negli ultimi vent’anni, che nonostante lo stato permanente di instabilità e insicurezza del Paese sono riusciti a vivere una certa apertura, oggi non si arrendono. Sono soprattutto le donne, le vittime designate della furia integralista, ad essere maggiormente minacciate nei loro diritti e nelle loro stesse vite. I primi provvedimenti del governo transitorio guidato dai Talebani sono stati proprio contro di loro, con la reintroduzione dell’obbligo del burqa, l’esclusione dalla vita pubblica, politica e culturale, la discriminazione anche negli ambienti della formazione. Considerando che le donne rappresentano la metà di ogni popolo, significa che sin dalle prime ore della nuova ascesa al potere, i Talebani hanno introdotto la negazione dei diritti umani a metà dei civili finiti sotto i loro abusi. Persino le bambine oggi vedono minacciato il proprio diritto all’istruzione. Le immagini delle donne afghane che manifestano contro le imposizioni oscurantiste e misogine imposte dai talebani raccontano tutte le contraddizioni che stanno vivendo i civili del martoriato Paese asiatico. Da un lato studentesse, avvocatesse, lavoratrici di ogni settore che scendono in piazza e nelle strade con in mano megafoni e striscioni per rivendicare il loro diritto di vivere e di essere sé stesse, dall’altro uomini rancorosi e violenti, che sembrano capaci di parlare solo con un’arma in mano, di negare la presenza dell’altro e del diverso, di celebrare la violenza come unica scelta. Gli Americani hanno, infatti, già annunciato nuovi attacchi aerei contro postazioni dei Talebani in diverse zone dell’Afghanistan, ma come è già avvenuto in occasione della ritorsione per le esplosioni all’aeroporto, che hanno provocato la morte di 13 militari Usa, saranno sempre i civili a pagare con le loro vite. Quarant’anni di guerra per giungere alla conclusione che la guerra genera nient’altro che altre guerre.

L’emergenza umanitaria

La crisi politica afghana ha ripercussioni enormi non solo sulla sicurezza, ma anche sulla sfera umanitaria. L’Alto Rappresentante della politica estera dell’Unione europea, Josep Borrell ha dichiarato, dopo la riunione straordinaria con i ministri degli Esteri dell’Ue che “La cooperazione con qualsiasi futuro governo afghano sarà subordinata a una soluzione pacifica e inclusiva e al rispetto dei diritti fondamentali di tutti gli afghani, comprese le donne”. David McAllister, presidente della commissione per gli affari esteri del Parlamento europeo ha evidenziato come la violenza, la siccità e il covid-19 abbiano fatto sì che 18 milioni di persone, quasi la metà della popolazione afgana, necessitassero di assistenza umanitaria”. Secondo l’Unhcr, l’Agenzia Onu per i rifugiati, dall’inizio dell’anno sono circa 550 mila gli sfollati interni nel paese, oltre ai 2,9 milioni già sfollati alla fine del 2020. L’80% delle persone costrette a fuggire sono donne e bambini. L’aumento dei prezzi dei generi alimentari rappresenta una minaccia per le fasce più deboli della popolazione e oltre 5 milioni e mezzo di bambini rischiano di affrontare livelli emergenziali di fame. Il premier italiano Mario Draghi ha annunciato che il prossimo 12 ottobre si terrà a Roma una riunione del G20 in cui si discuterà anche della crisi afghana. Servirà?

Foto di cover: Roma 25/09/2021 – Piazza del Popolo. Manifestazione "Tull Quadze – Tutte le Donne" in solidarieta' con le donne afghane. Nella foto: la scrittrice afgana Fatema Qasim @Fabio Cimaglia/Sintesi


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