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RSA: il paradosso dell’obbligo vaccinale senza decreto per verificarlo

Mancano pochissimi giorni al 10 ottobre e non è ancora stato emanato il Dpcm che autorizza i datori di lavoro a verificare lo stato vaccinale degli operatori non sanitari delle RSA. «Alle condizioni odierne tra il 10 e il 15 ottobre non possiamo chiedere nulla a nessuno mentre dal 16 ottobre l’operatore non vaccinato potrà entrare nella RSA con un Green Pass ottenuto con un tampone antigenico, in barba alla norma che prevede per lui l’obbligo vaccinale»

di Sara De Carli

Mancano sei giorni al 10 ottobre e il governo non ha ancora emanato il decreto ministeriale che autorizza i datori di lavoro a verificare lo stato vaccinale degli operatori non sanitari delle RSA. Proprio mentre gli anziani over80 e gli operatori sanitari sono chiamati alla terza dose di vaccino contro il Covid-19, rischia di venirsi a creare una situazione per cui nei fatti si legittima contro ogni logica e paradossalmente contro la stessa legge, la presenza di persone non vaccinate a diretto contatto con persone ultra ottantenni pluripatologiche. Proprio mentre, d’altra parte, il nuovo report dell’ISS sulle RSA certifica un sostanziale azzeramento dei decessi per Covid nelle strutture per anziani a seguito della campagna vaccinale. Luca Degani è il presidente di Uneba Lombardia, l'associazione di categoria del non profit sociosanitario: con lui proviamo a capire cosa sta succedendo.

Esattamente, di quali categorie professionali e quali norme stiamo parlando?
Il Dl 44/2021 convertito in Legge il 28 maggio (L. 76/2021) aveva imposto l’obbligo vaccinale a tutti gli operatori di interesse sanitario delle strutture sanitarie, sociosanitarie e socioassistenziali, pubbliche e private. Quindi per medici, infermieri, fisioterapisti, psicologi e OSS (Operatori Socio Sanitari) delle RSA ma anche delle residenze per disabili anche semiresidenziali. Restavano fuori gli ASA, cioè gli Operatori Socio Assistenziali: dopo un momento di incertezza, una FAQ del Ministero aveva precisato che l’obbligo valeva solo per gli operatori sanitari. Il decreto ha indicato le modalità per la verifica dell’obbligo vaccinale, tramite Regioni e aziende sanitarie locali. Una volta accertata l'inosservanza dell'obbligo vaccinale ne viene data comunicazione all'interessato, al datore di lavoro e all'Ordine professionale di appartenenza: il decreto è di aprile e le prime sospensioni sono scattate a settembre, ma lì il percorso è chiaro.

E per le professioni e le mansioni non sanitarie?
Stiamo parlando di operatori ASA, animatori, educatori professionali non sanitari, addetti alle pulizie, alla distribuzione del cibo, alla manutenzione, portinai, centralinisti, volontari… quindi figure strategiche per la quotidianità di una RSA, anche in chiave di riattivare la relazione. Il riferimento è il decreto legge 122 del 10 settembre 2021, che va a modificare il decreto 44 e che ha esteso l’obbligo vaccinale a tutti i soggetti che a qualunque titolo, compresi i volontari, le collaborazioni continuative e gli autonomi, entrano all’interno delle RSA, dei centri diurni, nelle strutture sanitarie, sociosanitarie e socioassistenziali. L’obbligo vaccinale scatta il 10 ottobre e l’accertamento del rispetto dell’obbligo viene affidato ai responsabili delle strutture e ai datori di lavoro. Il testo però rimanda per le modalità per reperire le informazioni necessarie alla verifica dell’adempimento dell’obbligo vaccinale ad un successivo decreto del Presidente del Consiglio dei ministri, adottato di concerto con i Ministri della salute, per l'innovazione tecnologica e la transizione digitale e dell'economia e delle finanze, sentito il Garante per la protezione dei dati personali. Mancano 6 giorni al 10 ottobre e di quel decreto non c’è ombra.

Ma dal 15 ottobre per tutti i lavoratori del pubblico e del privato scatta l’obbligo di avere un Green Pass, con il datore di lavoro che ne può verificare il possesso. Si tratta quindi di un limbo di 5 giorni, tra il 10 e il 15 ottobre?
Non è la stessa cosa. Da un lato tutti noi eravamo convinti e speranzosi che in analogia a quanto avverrà per il Green Pass il datore di lavoro o il responsabile della RSA potesse chiedere di documentare il possesso del certificato vaccinale, dato che per il Green Pass questa responsabilità viene effettivamente data al datore di lavoro. D’altra parte però non si tratta solo di “resistere” cinque giorni, perché il Green Pass puoi averlo anche con un tampone antigenico, mentre per le RSA e per i luoghi di lavoro in cui il Covid rappresenta un alto rischio è stato previsto – opportunamente – l’obbligo vaccinale. Quindi alle condizioni odierne tra il 10 e il 15 ottobre non possiamo chiedere nulla a nessuno mentre dal 16 ottobre l’operatore non vaccinato potrà entrare nella RSA con un Green Pass ottenuto con un tampone antigenico, in barba alla norma che prevede per lui l’obbligo vaccinale. Chi fra noi sta ricordando a volontari e dipendenti che dal 10 ottobre scatta l’obbligo vaccinale, sta ricevendo comunicazioni di avvocati che dicono che in mancanza del decreto gli operatori possono continuare ad entrare. Ed è maledettamente vero. Il paradosso quindi è che mentre lo Stato invita over80 e operatori sanitari a fare la terza dose di vaccino, sta sdoganando la presenza di non vaccinati nelle RSA.

Di quante persone staremmo parlando?
In Lombardia, su 70mila dipendenti delle RSA: semplificando e tenendo gli ASA nei non sanitari, come fa il Ministero, il 20% dei 70mila dipendenti stanno nelle professioni sanitarie, l’80% in quelle non sanitarie. Complessivamente gli operatori non vaccinate saranno un po’ meno del 5%: significa per la Lombardia circa 3.500 persone, grosso modo mille fra i sanitari e 2.500 fra i non sanitari. Sono persone non vaccinate che entreranno nelle strutture in cui c’è stato il massimo rischio prima del vaccino e in cui invece, grazie al vaccino, non sono più stati rilevati focolai pandemici. È un completo controsenso. Il Green Pass è insufficiente in questi contesti.

Da giovedì 7 a sabato 9 a Lignano Sabbiadoro si terrà il sedicesimo Congresso nazionale di Uneba: a tema c’è anche l’emergenza infermieri.
Le RSA hanno un grossissimo problema di ordine economico e uno altrettanto grande di risorse umane: con l’apertura di tanti concorsi per le professioni sanitarie – non solo infermieri quindi ma anche tantissimi medici e OSS – abbiamo visto uno spostamento massiccio dalle nostre strutture verso gli ospedali. In Lombardia in questo momento abbiamo una carenza infermieristica che supera il 30%: abbiamo 700 strutture e abbiamo visto circa 1.500 infermieri andare nel pubblico impiego. Infermieri che oggi a noi mancano. Il paradosso è che il pubblico le ha assunte con risorse destinate a valorizzare la sanità territoriale. Non voglio fare una guerra tra poveri, però una mancanza di programmazione sanitaria è evidente.

Che altri nodi ci sono in questo momento, alla vigilia di una stagione autunnale che tutti speriamo dia diversa da quella passata?
Dal punto di vista organizzativo si dovrebbe dare maggiore chiarezza ad alcune indicazioni che sono state date ma non attuate. Per esempio in piena pandemia è stato previsto di lasciare libera una stanza in ogni nucleo per eventuali positivi: alla lettera questo significa che su 120 posti letto dovrei lasciare libere 6 stanze/12 posti letti. Ma oggi quella indicazione non è adeguata ala situazione, perché la terapie intensive e gli ospedali oggi hanno una situazione completamente diversa e quindi oggi la persona positiva in RSA diversamente dalla prima fase dovrebbe subito essere trasferita in ospedale, per lei e per gli altri. Allora basta tenere una stanza libera nella RSA, per gestire le ore di compensazione prima del trasferimento in ospedale. Ci vuole una norma che permetta di superare le indicazioni precedenti, che avevano un senso nel momento in cui sono state scritte, ma non più adesso. Un altro tema sono le reti per le consulenze specialistiche che dovrebbero collaborare con le RSA per gestire le situazioni di crisi: la norma c’è ma non è stata attuata, bisognerebbe organizzarsi perché al bisogno sia immediatamente applicabile.

Come sta andando il sistema per le visite dei parenti?
L’ingresso di un familiare è una cosa bellissima e devono esserci per superare quella sofferenza affettiva che non va nascosta. Ma allo stesso tempo la moltiplicazione degli accessi, in una comunità chiusa, vaccinata e chiamata alla terza dose, è una moltiplicazione del rischio. Fortunatamente mi sembra che tutti stanno capendo che il diritto di visita deve conciliarsi con la tutela della salute. Si sonop attuate modalità organizzative che evitano l’ingresso nei luoghi di degenza prediligendo spazi altamente igienizzabili, accettando la presenza di un operatore per la corretta gestione dei DPI e una frequenza di una o due visite la settimana. So che un emendamento al decreto 44 ha introdotto il diritto di visita quotidiano, ma mi sembra che una presenza del genere in termini di quantità e di frequenza sia incompatibile con la salute di una comunità chiusa.

Photo by Artyom Kabajev on Unsplash


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