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Cooperazione & Relazioni internazionali

70,8 milioni di persone in tutto il mondo sono state costrette a lasciare la propria casa

Presentata la pubblicazione curata dall’European Center on Cooperative and Social Enterprises (Euricse) “Accoglienza ed inclusione di richiedenti asilo, rifugiati e migranti in Italia. Sfide e dinamiche evolutive". Il rapporto fornisce una panoramica completa del fenomeno migratorio e delle risposte adottate dai policy-maker italiani e dalle organizzazioni della società civile

di Redazione

Durante il il convegno “L’inclusione possibile, organizzato presso il campus di Piacenza dell’Università Cattolica è stata presentata la pubblicazione “Accoglienza ed inclusione di richiedenti asilo, rifugiati e migranti in Italia. Sfide e dinamiche evolutive”, a cura di Giulia Galera, Ilana Gotz, Sara Franch. Il rapporto (scaricabile in pdf alla fine dell'articolo) è frutto di due anni di intensa collaborazione tra il Robert F. Kennedy Human Rights Italia (RFKI), EURICSE, CeSPI, Università Cattolica, Fondazione Italia Sociale, l’Istituto Psicoanalitico delle Ricerche Sociali (IPRS) e Intesa Sanpaolo, e di molte realtà italiane che si occupano di accoglienza ed inclusione.

I capitoli contenuti nel volume, scritti o finalizzati nella prima metà del 2020, forniscono una panoramica completa del fenomeno migratorio e delle risposte adottate dai policy-maker italiani e dalle organizzazioni della società civile, offrendo numerosi spunti di riflessione sulla situazione attuale e sulle prospettive future, da molteplici prospettive scientifiche.

«Partendo da un’analisi preliminare delle tendenze migratorie a livello internazionale, il volume si sofferma sulle criticità e sui limiti della normativa italiana in materia d’immigrazione, dimostrando come l’autonomia e l’indipendenza di richiedenti asilo e rifugiati sia, all’interno dell’attuale sistema di accoglienza, un obiettivo difficile da raggiungere», si legge nell’introduzione del volume. «Un sistema quello italiano che, essendo mosso per lo più da logiche emergenziali e di contenimento dei costi, non si è dimostrato in grado di raccogliere i frutti, né tantomeno di mettere a sistema le tante sperimentazioni di micro-accoglienza diffusa e di inclusione sviluppatesi lungo tutto lo stivale grazie alla mobilitazione spontanea e volontaria delle comunità locali e alla sperimentazione di modelli di gestione del territorio, dell’abitare e di integrazione aperti al coinvolgimento di diversi attori locali.

Le stime più recenti sui migranti internazionali per età, sesso e origine predisposto dalle Nazioni Unite sono riferite al 2019, prima cioè che lo spartiacque della pandemia del Covid-19 determinasse un brusco freno ai movimenti migratori internazionali, e mostrano che i migranti internazionali sono aumentati da 153 milioni nel 1990 a 271,6 milioni raggiunti a metà del 2019. Un dato aggregato di riferimento disponibile da cui partire è che ci sono al mondo più di un miliardo di migranti, cioè quasi un settimo della popolazione mondiale: circa 750 milioni di persone sono migranti all’interno del proprio Paese (nella sola Cina c’è un numero equivalente a quello di tutti i migranti internazionali) e 271,6 milioni sono, come detto, migranti internazionali.

I dati indicano anche che, se la popolazione mondiale cresce, la quota di popolazione migrante cresce ancor di più: attualmente, i migranti internazionali costituiscono il 3,5 per cento della popolazione mondiale, rispetto al 2,8 per cento nel 2000. Inoltre, la presenza di migranti internazionali è ancora oggi, in termini di stock consolidatosi nel tempo, un fenomeno più del Nord che del Sud del mondo: nel Nord, quasi 12 abitanti su 100 sono migranti internazionali, mentre nel Sud, a fronte di una crescita demografica molto maggiore che nel Nord e di flussi storicamente molto più modesti in entrata di migrazioni internazionali, lo stock di migranti è di soli 1,9 su 100 abitanti. Si parla di migrazioni internazionali come di un fenomeno globale, il che è vero, ma in termini di peso relativo, nel 2019, due terzi di tutti i migranti internazionali vivevano in soli 20 paesi.

In base agli ultimi dati disponibili, relativi alla fine del 2018, si sono raggiunti i massimi livelli di spostamento sinora registrati: un numero senza precedenti di 70,8 milioni di persone in tutto il mondo sono state costrette a lasciare la propria casa; tra questi ci sono quasi 25,9 milioni di rifugiati, oltre la metà dei quali ha meno di 18 anni, e 3,5 milioni di richiedenti asilo (cui si aggiungono 41,3 milioni di sfollati interni); ci sono poi milioni di apolidi a cui è stata negata la nazionalità e l’accesso ai diritti fondamentali come istruzione, assistenza sanitaria, occupazione e libertà di movimento.

Per quanto riguarda la componente specifica dei richiedenti asilo e rifugiati, il picco si è raggiunto a inizio degli anni Novanta, ma negli ultimi anni – a cominciare dal 2013 – si è registrata una crescita. È un fenomeno di cui si parla molto in Europa, molto più che negli Stati Uniti, Paese refrattario a farsi carico della responsabilità condivisa di ospitare un numero consistente di rifugiati, sfruttando le distanze geografiche; in ogni caso, i dati confermano che la stragrande maggioranza dei rifugiati e richiedenti asilo si trova, oggi come nel passato, nei paesi del Sud del mondo.

Come già nel caso generale delle migrazioni internazionali, anche nel caso dei rifugiati si assiste a una forte concentrazione dei paesi di origine e al prevalere di un modello gravi- tazionale di distribuzione all’estero: il 57% dei rifugiati censiti dall’UNHCR provengono da tre soli paesi: Siria (6,7 milioni), Afghanistan (2,7 milioni) e Sudan del sud (2,3 milioni). I paesi ospitanti più coinvolti sono paesi vicini a quelli di origine: Turchia (3,7 milioni) e Giordania (3 milioni), Pakistan (1,4 milioni), Uganda e Sudan (rispettivamente, 1,2 e 1,1 milioni).

I Paese dell'OCSE ospitano una quota minoritaria dei rifugiati: complessivamente, a fine 2018, 6,8 milioni di rifugiati, di cui 2,4 milioni nell’Unione europea (un milione in Germania, 370 mila in Francia e 189 mila in Italia).

La questione dei rifugiati e richiedenti asilo, con una drammatica e ininterrotta tendenza alla crescita del numero di rifugiati nel corso degli anni, inappellabile accusa all’inconcludenza della politica internazionale in materia, non può essere liquidata esternalizzando il compito di farsene carico a Paesi in via di Sviluppo che si trovano territorialmente vicini a quelli in cui si consumano le tragedie umane, come pure spesso Stati Uniti e UE sembrerebbero intenzionati a fare.

L’UE ha, di fatto, creato una miscela esplosiva e incoerente di azioni di solidarietà e intransigenza egoista: ha creato, con lo spazio Schengen, un’area di libera circolazione senza dotarsi di una politica adeguata di controllo delle frontiere; ha adottato il regolamento di Dublino sul diritto d’asilo europeo, che impone al primo Stato dell’UE nel quale arrivano i migranti di registrare e ospitare i richiedenti asilo, sovraccaricando così il Paese di primo ingresso nel territorio dell’Unione di responsabilità e oneri e non applicando un principio di solidarietà e di equa ripartizione tra i diversi paesi. Gli Stati Uniti non fanno diversamente, guardando agli sviluppi anche più recenti delle politiche migratorie e agli accordi con il Messico.

Il sistema italiano di accoglienza di richiedenti asilo e rifugiati è un unfinished business. Unfinished perché, nato all’inizio del nuovo millennio, il sistema è in continua evoluzione sulla spinta dei repentini cambiamenti di numeri di richieste di asilo in Italia e delle attitudini fugaci dei decisori politici, nell’assenza di un piano coerente. Ma il sistema di accoglienza è anche business: se da un lato è stato e continua ad essere un mero affare per alcuni, dall’altro è stato e potrebbe tornare ad essere una fonte di speranza, crescita e sviluppo per altri, più interessati alla coesione sociale e allo sviluppo locale delle comunità accoglienti.


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