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Alla vigilia della Cop26, le richieste dei “ragazzi del clima”

Mentre la Cop26, prima del suo inizio è al lavoro per salvare sè stessa, salverà il clima del pianeta? Intanto i giovani attivisti hanno stilato richieste dai leader e proposte concrete

di Luca Cereda

La denuncia è arrivata forte e chiara dall’evento pre-Cop26 di Milano, la Youth4CLimate: «Finora i leader mondiali hanno fatto solo “bla bla bla”», aveva detto Greta Thunberg davanti a 400 giovani e alla classe dirigente italiana e internazionale. Ora la fondatrice dei Fridays For Future mette nuovamente il dito nella "piaga climatica” che affligge il pianeta, ma che scompone più nelle parole che nei fatti i leader mondiali, in un’intervista rilasciata al Guardian in cui accusa «Ogni Paese persegue i suoi interessi e manca una figura di riferimento che possa portare a un accordo sul clima». Così la Cop26, che sta per aprire i suoi lavori a Glasgow domenica 31 ottobre – fino a venerdì 12 novembre -, è sempre più in bilico.

I “giovani del clima” non scendono solo in piazza – e lo fanno a buon diritto visto che dopo il 2050 saranno loro a vivere sulla Terra, non chi gliel’ha bruciata -: dall’evento milanese hanno fatto uscire un documento con richieste a chi governa e sarà presente alla Cop di Glasgow, ma anche idee e spunti concreti per invertire la rotta del cambiamento climatico.

Solo l’aumento della temperatura del Pianeta passa dalle parole (degli esperti e dei ragazzi) ai fatti

Alla Youth4Climate (Y4C) c’erano studenti universitari, ragazzi Under30 tra cui alcuni sono giovani imprenditori da 186 Paesi. Alcuni si sono avvicinati solo di recente all’eco-attivismo, altri già collaborano con le Nazioni Unite o con i governi, portando avanti progetti di sostenibilità ambientale nei loro Paesi. A Glasgow bisognerà convincere quasi 200 paesi ad attuare tagli rigorosi alle loro emissioni di gas serra, in linea con il mantenimento dell'aumento della temperatura globale entro 1.5°C. Questo però in una fase in cui la produzione globale di carbone continua a salire. «Quello che cercheremo di fare qui a Glasgow è molto più difficile di quanto fatto a Parigi», ha spiegato il ministro britannico per l’energia, responsabile dell’evento scozzese.

Ad agosto il gruppo di esperti dell’Onu sul cambiamento climatico ha lanciato un’ultimo appello perché l’inazione di oggi renderebbe il disastro climatico “irreversibile”. Proprio sull’evitare l’aumento della temperatura al di sopra della soglia di 1.5 gradi, insiste uno dei punti del documento uscito dalla Y4C: i ragazzi chiedono a tutti i Paesi di “creare un sistema di finanziamento del clima trasparente e responsabile con una solida regolamentazione delle emissioni di carbonio, sradicando la trappola degli investimenti climatici nelle comunità più vulnerabili”.

Una voce – di più -, un grido per far si che queste parole e idee siano tradotte in azioni concrete arriva dal Madagascar.

Il Madagascar e la prima carestia da crisi climatica

Il Madagascar è uno dei Paesi africani più esposti agli effetti dei cambiamenti climatici come siccità, cicloni e inondazioni. Dalle coltivazioni di pomodoro arse dal sole. Ai bambini sfamati con cavallette e foglie di cactus. Nell’isola al largo delle coste orientali dell’Africa ci sono famiglie costrette a vendere il bestiame per acquistare qualche patata dolce. Il Madagascar è la quarta isola più grande del mondo, e qui si sta consumendo una drammatica siccità – in corso a dire il vero ormai da anni – che sta mettendo a rischio la vita di più di un milione di persone. «Secondo il Programma Alimentare Mondiale (Pam) quella in corso nell’Isola rossa – così chiamiamo la nostra terra – è la prima carestia causata dai cambiamenti climatici. In alcuni villaggi non piove da tre anni mentre in altri, soprattutto a Sud, addirittura da otto o dieci», spiega Max Fontaine, delegato alla Youth4Climate per il Madagascar.

Il caldo e la prolungata assenza di acqua hanno inaridito i campi privando le comunità rurali delle scorte alimentari che erano soliti produrre per il proprio fabbisogno. Questo ha fatto si che sull’isola africana la crisi climatica stia andando a braccetto con la crisi alimentare: «Il dramma è che i leader del Paese non se ne preoccupano. I politici sono concentrati sul far ripartire il turismo azzerato dal Covid», e l’attenzione sottolinea Max è ancora minore a a livello internazionale. L’obiettivo che giovani come lui si pongono è quello di far capire come anche il turismo sia legato a doppio filo al clima: «È per questo che nel documento abbiamo voluto sottolineare l’importanza di un turismo internazionale responsabile, sia nei mezzi usati per spostarsi, sia che rispetti le comunità locali senza sfruttarli e che preservi la biodiversità dei territori».

I governi dovrebbero solo “scopiazzare” le soluzioni proposte e già messe in campo dai giovani

Sono le azioni concrete dei governi mondali per per invertire la rotta del cambiamento climatico la prima – ma anche la seconda e la terza – richiesta dei giovani. Loro, spesso tacciati di essere “gli allarmisti che strillano in piazza”, hanno riscoperto la piazza come momento di democrazia: se la piazza è la “voce” degli attivisti, molti di loro azioni per il clima le mettono già in campo – nella quotidianità, ma anche con progetti concreti, e chi governa non ha da che “scopiazzare”. Un esempio arriva dal Perù, dove «la comunità internazionale conosce la crisi alimentare causata da quelli ambientale, e sulle nostre alture porta cibo e aiuti. Queste sono soluzioni temporanee. Insegnare a pescare è più importante di portare il pesce», spiega con una metafora Valery Salas, delegata del suo Paese alla Y4C.

In Perù, dove si passa dalle alture di migliaia di metri delle Andre, fino alle spiagge che si affacciano sul Pacifico, passando dalle colline dell’entroterra, le soluzioni arrivano da loro, i giovani: «Abbiamo chiesto e ottenuto da alcune delle comunità che vivono in alta quota di investire su una tecnologia sviluppata da una giovane Startup peruviana che permette di estrarre l’acqua dal sottosuolo con una tecnica ad impatto ambientale zero e che fa ricorso all’energia solare. Questo permette di creare pozzi in altura e di avere energia elettrica, in un paese dove solo il 20 per cento delle persone ha accesso all’elettricità in modo costante. Il tutto in modo green », testimonia Valery Salas.

La crisi climatica fa aumentare la temperatura e il conflitto sociale

Nel Perù di oggi il cambiamento climatico sta alzando la posta anche del conflitto sociale: questo capita in quei Paesi – ad ogni latitudine – in cui le grandi imprese di estrazione del carbone, che sono tossiche per l’ambiente e per la salute dell’uomo, hanno quasi il monopolio dell’approvvigionamento energetico dell’intero Stato. «Dando lavoro a migliaia di persone si sentono in diritto di dettare le condizioni energetiche e pure ambientali ai governi deboli come il nostro. Questi sono soggiogati e non vedono, o sono portati a non considerare il potenziale (anche) economico della transizione ecologica», conclude Salas, alludendo al conflitto sociale che queste aziende creano, minacciando di chiudere e lasciare a casa migliaia di lavoratori delle miniere di carbone che lo Stato potrebbe formare e convertire in lavoratori del settore energetico sostenibile. Ma con la minaccia di un conflitto sociale i governi di questi paesi emergenti o in crescita scelgono la strada più “semplice”, ma dannosa per il clima.

Sembra in totale controtendenza rispetto a quanto accede nel paese Sudamerciano la politica della Corea del Sud: alcuni mesi fa il presidente ha annunciato l’impegno a ridurre a zero le emissioni di gas serra entro il 2050. «Sostituire l’energia a carbone con le energie rinnovabili permette di creare un nuovo mercato, un’industria verde e posti di lavoro. Ma dire di farlo entro il 2050 è solo l’ennesimo bla bla bla», spiega Gyuree Lee, biologa e attivista per il clima che ha lavorato sul terzo punto del documento uscito dalla Youth4Climate. «Al settore privato abbiamo chiesto che vengano imposti obiettivi di zero emissioni entro il 2030. L’obiettivo, fattibile con una classe politica che ascolti gli esperti, è che per allora l’intera industria delle fonti fossili sia chiusa e che governi e privati smettano di finanziarla. «Paesi come la Corea del Sud – che è all’11° posto tra le maggio economie al mondo – devono sentire la responsabilità di guidare questo cambiamento».

Sei i bla bla bla restano solo parole…

Questi ragazzi non chiedono solo ai leader mondiali di muoversi in tempi celeri verso le soluzioni esistenti che permettono di salvare la biodiversità del pianeta: desiderano partecipare a questo processo. Al primo punto del documento prodotto dalla Youth4Climate c’è la richiesta ai governi e alle istituzioni internazionali di essere coinvolti in tutte le questioni che riguardano il clima. «Ne abbiamo le competenze, lo abbiamo dimostrato», sottolinea Federica Gasbarro, portavoce italiana alla Y4C milanese, che aggiunge qualcosa di cui si parla pochissimo: «I giovani di oggi hanno paura e l’incertezza sulla situazione climatica crea ansia e pesa sulle scelte future: perché studiare, o cosa studiare in università se tanto poi il mondo brucia, e non per modo di dire. E ancora perché avviare un’attività, fare una famiglia. La chiamano eco-ansia, ma è reale e preoccupante che affligga i ragazzi», spiega Gasbarro. «La crescita di consapevolezza della gravità della situazione frustra molti. Quel sentimento di urgenza deve essere portato sotto la soglia del panico totale, ma ben al di sopra di quello dell’indifferenza». È necessario quindi che la piazza sia uno dei binari dell’attivismo, l’altro devo portare i ragazzi a spendere e a poter far valere le proprie competenze, «altrimenti anche noi come i politici, facciamo bla bla bla», conclude Federica.

Intanto a pesare sulla Cop26 di Glasgow sono i bla bla bla del presidente cinese Xi Jinping, che a parole si dice a favore di una decarbonizzazione nel colosso asiatico e nelle sue colonie-economiche moderne in Africa, ma poi non interverrà ai lavori della Cop26, e di quello russo Vladimir Putin. Pure lui non sarà in Scozia. Ecco allora perché questi ragazzi – competenti, ma anche spaventati da un futuro che brucia davanti ai loro occhi – hanno bisogno di scendere in piazza: perché nelle stanze delle decisioni sono – quando vengono ricevuti – accolti come un trofeo da esporre.


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