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Famiglia & Minori

La dimensione del rischio in educazione non si può eludere

La morte di un ragazzo lascia sempre senza parole. Ma ha senso davvero usarla per mettere sotto attacco qualsiasi nesso fra scuola e lavoro? Davvero pensiamo sia possibile o auspicabile sottrarre alla sfida evolutiva i ragazzi? O piuttosto vogliamo dare loro occasioni per sperimentarsi in situazioni sfidanti ancorché con una dimensione, piccola ma ineludibile, di pericolo? Non si può prescindere dal PCTO dall'alternanza o dagli stage: dirlo significa non accorgersi che i luoghi di costruzione del sapere sono fuori dalle mura scolastiche

di Paolo Zuffinetti

Si può eludere la dimensione del rischio in educazione? Si può sterilizzare il campo di azione imbottendo spigoli fino alla soglia della mistificazione della realtà? La morte sul lavoro è un tale dramma da togliere le parole. A maggior ragione quando è un ragazzo, che fosse in formazione poco importa, alla soglia della vita. Sono cresciuto anche grazie a degli adulti che in un dispositivo pedagogico definito, quello dello scoutismo, mi hanno esposto a pericoli e rischi, assumendosi in prima persona la responsabilità anche penale. Una postura ed una disponibilità di cui non posso che essere estremamente grato. Hanno scelto nella qualità dell'esperienza di contemperare una dimensione piccola ma non marginale di rischio che sostanzia la sfida del diventare grandi.

I luoghi di lavoro sono pericolosi, intrinsecamente pericolosi: attenzioni, protezioni, norme e precauzioni limitano e cercano di prevenire l'imprevisto e di ridurre la quantità di rischio, ma è illusorio credere sia possibile azzerare la possibilità di incidenti. Ed allora si tratta di capire se sia possibile o auspicabile sottrarre alla sfida evolutiva i ragazzi, se sia preferibile costruire percorsi formativi in rassicuranti e tutelanti luoghi asetticamente depurati da pericoli ed incidenti o se questa condizione non assolva alla necessità di tenere tutto sotto controllo e contestualmente di ridurre la chiamata al nostro metterci in gioco ad assumerci la responsabilità di accompagnare affiancare anche in una dimensione di incertezza e di imponderabilità. Una chiamata non alla superficialità facilona, né alla pigrizia che si limita a delegare ma una precisa intenzionalità, la ricerca di occasioni possibili in cui i ragazzi possano sperimentarsi in situazioni complesse e sfidanti ancorché con una dimensione, piccola ma ineludibile, di pericolo. Non si può prescindere dal PCTO dall'alternanza o dagli stage, chiamateli come preferite. Non si può più prescindere perché, superati dalla storia, non ci accorgiamo che i luoghi di costruzione del sapere sono fuori dalle mura scolastiche.

Perché se vogliamo reinterpretare in modo positivo il ruolo pedagogico del docente dobbiamo ragionare sul fatto che fare scuola non tratti più se non marginalmente ed incidentalmente di contenuti, molto più accessibili e fruibili in altri spazi fisici e virtuali, ma che debba sviluppare innanzi tutto percorsi di ricerca reinterpretazione della realtà, del sapere e dell'esperienza che i ragazzi fanno in tutti i contesti. Accompagnarli nell'esperienza di lavoro significa anche poter tematizzare rielaborare e rileggere con uno sguardo adulto quanto hanno modo di incontrare. Abdicare a questo ruolo e a questa occasione non significa preservarli ma mandarli a mani nude quando capiterà di doverci provare sul serio. La cultura del lavoro in Italia è davvero fragile forse anche per una certa inesperienza del lavoro artigianale industriale e dei sevizi di chi si occupa di educazione.

*Paolo Zuffinetti è educatore professionale post 99 e formatore, si occupa del coordinamento di attività di formazione professionale di adolescenti e giovani


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