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Rischio flop per i ristori al Terzo settore

Dopo quasi due anni dall’inizio della pandemia, lo scorso dicembre sono stati finalmente pubblicati due provvedimenti di “ristoro” e sostegno all’impegno delle organizzazioni di Terzo settore durante l’emergenza. Uno emesso dal ministero del Lavoro, l'altro dall'Agenzia per la Coesione Territoriale. Ma per come sono state architettate entrambe le misure rischiano di essere inarrivabili per tante organizzazioni di volontariato e associazioni

di Francesca Coleti

Dopo quasi due anni dall’inizio della pandemia, lo scorso dicembre sono stati finalmente pubblicati due provvedimenti di “ristoro” e sostegno all’impegno delle organizzazioni di Terzo settore durante l’emergenza. Il più colpito, naturalmente, è stato l’associazionismo attivo nell’animazione della socialità e nella promozione culturale. Un danno relazionale enorme per le comunità locali, che si è tradotto anche sul piano economico per le organizzazioni in termini di sedi chiuse, soci rimasti a casa, attività di autofinanziamento sospese. È anche vero però che molte associazioni hanno reagito all’emergenza Covid mobilitando volontari in strada, promuovendo raccolte di fondi e medicinali, distribuendo pasti. Mentre si abbassavano le saracinesche dei circoli, tanti giovani musicisti hanno appeso la chitarra al chiodo per portare la spesa a casa di anziani e persone fragili. Purtroppo, secondo le prime informazioni, molte associazioni di volontariato e promozione sociale non sono riuscite ad accedere ai sostegni. Disorganizzazione? Scarsa attitudine per le pratiche amministrative? Se è nota la prontezza del volontariato a rimboccarsi le maniche per affrontare le emergenze, è anche vera l’indolenza di fronte alle formalità e la burocrazia. Sarebbe un errore però dare risposte semplificatorie e non affrontare la complessità che attraversa l’universo dell’associazionismo, che oggi costituisce la stragrande parte del terzo settore.

Se infatti per l’avviso di ristori emesso dal Ministero del Lavoro e Politiche Sociali si può ipotizzare, dati i tempi assai stretti, che le associazioni non organizzate in Reti nazionali abbiano faticato ad accedere ad una misura di benefici inedita, non può dirsi lo stesso per l’invito dell’Agenzia per la Coesione Territoriale, aperto per circa un mese e mezzo. Ottanta milioni di euro per il terzo settore delle regioni meridionali, Lombardia e Veneto che potrebbero rischiare di rimanere parzialmente non spesi. Per diverse ragioni. Il meccanismo immaginato dall’Agenzia non inquadra la realtà del Terzo settore italiano. Risultano penalizzate tutte quelle associazioni che si sono particolarmente attivate, nel 2020, per sostenere i bisogni materiali e fronteggiare le vulnerabilità acuitesi con il lockdown. La chiusura delle sedi e la riduzione delle attività ordinarie infatti non ha escluso l’attivazione straordinaria di raccolte fondi e generi di prima necessità proprio per fronteggiare la pandemia. Ma l’Agenzia stabilisce, per il calcolo del contributo, che un’associazione abbia sofferto una riduzione di entrate nel 2020 rispetto al 2019 invece di considerare le uscite (2020 e 2021), ovvero l’insieme dei costi destinati all’azione sociale e assistenziale, che in particolare nei momenti di emergenza sfuggono alle logiche del pareggio di bilancio.

Otterranno un punteggio basso, poi, quelle organizzazioni impegnate prioritariamente nei progetti del 5X1000. Proprio nel 2020 infatti sono state liquidate due annualità dei fondi, determinando quindi entrate più alte. Così, oltre al danno subito per il ritardo delle erogazioni, questi enti vengono penalizzati nella ponderazione del contributo. In generale, va evidenziato che la maggior parte delle Aps, Odv ed Onlus redige il rendiconto di cassa. È la forma usata dagli enti che registrano importi di entrate particolarmente bassi. Il rendiconto fotografa le entrate quando vengono incassate ma non dice nulla sulla loro attribuzione ad attività di anni precedenti o ad acconti per progetti da realizzare negli anni successivi. Quindi non è uno strumento idoneo a dimostrare il calo di attività in un certo periodo.

Infine, la determinazione del contributo “per scaglioni” senza possibilità di dichiarare le spese sostenute, visto che queste potrebbero risultare inferiori alla cifra attribuita automaticamente, ha frenato molti dal presentare la domanda per il timore di complicazioni e della restituzione della differenza.

È un peccato che, di fronte alla sensibilità dimostrata nel riconoscere il ruolo delle associazioni durante la pandemia, l’insufficiente approfondimento insieme al Forum del Terzo settore non abbia potuto far emergere le caratteristiche e le modalità operative di un universo variegato di grandi, piccoli e piccolissimi enti. Oltre alla perdita dei fondi, che va assolutamente scongiurata, preoccupa l’assimilazione dell’organizzazione e del funzionamento delle associazioni a quello delle imprese e delle società. Un errore che rischierebbe di essere fatale per la sopravvivenza di un bel pezzo du associazionismo se si replicasse in altre politiche di attuazione della riforma del terzo settore.


*politiche del volontariato e terzo settore Arci


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