Sanità & Ricerca

La persona al centro del nuovo modello biomedico

Arriva dall’oncologia l’evidenza di quanto sia urgente ripensare gli attuali modelli per un approccio sistemico ai problemi sanitari. Una cultura condivisa fra tutti gli attori del processo di cura- specialisti ospedalieri, medici di medicina generale ed enti del Terzo settore - per offrire ai cittadini una rete di risorse integrate. Presupposti irrinunciabili affinché, con le risorse del Pnrr, si possa avviare quella trasformazione virtuosa dell’assetto territoriale dei servizi che vede nella salute un bene comune di cui prendersi cura

di Alberto Ricciuti

La continua evoluzione delle possibilità tecniche di diagnosi e terapia e i rapidi mutamenti delle odierne società multietniche e multiculturali, stanno sempre più evidenziando l’inadeguatezza di quel “modello biomedico” che costituisce l’architrave dell’attuale epistemologia medica e della prassi professionale di chi lavora, a vario titolo, in ambito socio-sanitario.
Lo rilevano anche due importanti documenti, pubblicati nel 2021, che, per la qualità dei loro contenuti e per l’autorevolezza degli autori, meritano la più attenta considerazione.
Si tratta del “Libro bianco della medicina personalizzata in oncologia” (Apmp – Associazioni Pazienti insieme per il diritto alla Medicina Personalizzata in oncologia) e del documento “Ruolo dell’oncologo – profilo delle competenze e formazione specialistica”, un’indagine svolta a livello nazionale da un Gruppo di lavoro comune di Aiom (Associazione Italiana di Oncologia Medica), Comu (Collegio degli Oncologi Medici Universitari) e Cipomo (Collegio Italiano Primari Oncologi Medici Ospedalieri) per “ridefinire in prospettiva: il ruolo dell’oncologo medico nel Servizio Sanitario del decennio 2020-2030, il profilo delle competenze occorrenti come conseguenza dell’evoluzione delle conoscenze e gli elementi di innovazione da introdurre nella formazione specialistica”.

In entrambi vengono indicate la “medicina di precisione” – che fa riferimento alle innovative tecniche di profilazione genomica delle cellule tumorali e alle nuove possibilità di terapia – e la “medicina personalizzata” – che fa riferimento all’idea del paziente come individuo, calato nel suo contesto familiare e sociale, con caratteristiche e risorse che vanno riconosciute e valorizzate – come nuovo e innovativo approccio strategico dell’oncologia che, per la sua realizzazione, richiede uno “sguardo olistico” da parte di tutti gli attori del processo di cura.

In altre parole potremmo dire che se, nell’immaginario, la locuzione “medicina di precisione” rimanda al concetto di minor errore possibile in una misurazione, “medicina personalizzata” rimanda a quel concetto di identità personale che emerge dalla rete di relazioni di un individuo con ciò che lo circonda. Da un lato uno sguardo tecnico su un componente dell’individuo come "corpo biologico", dall’altro lo sguardo clinico sulla persona come "corpo biografico". Entrambi gli sguardi sono necessari, ma è solo il secondo che consente di attribuire significato clinico al primo e di elevare ogni prescrizione terapeutica che ne consegue, ad atto medico. E questa è la via maestra per rendere una prescrizione non solo tecnicamente appropriata, ma anche terapeuticamente adeguata. Ed è anche la via per rendere, di conseguenza, il sistema delle cure più equo e sostenibile.
A questo riguardo, nel documento di Aiom, Cipomo e Comu, si rileva infatti come l’oncologo – ma tale considerazione può estendersi a qualsiasi specialista – necessiti di una maggiore “formazione internistica”. Ossia di ciò che dovrebbe formare quello sguardo clinico sistemico che consente al medico in quanto tale, di “pensare e operare per processi”. Quello sguardo clinico sulla "persona" che innerverà quindi anche la sua stessa competenza specialistica e ogni tipo di risposta che ne emergerà.

La produzione di un cambiamento di tale portata – che riguarda e coinvolge in realtà tutti i professionisti della salute, ognuno nel suo ruolo – richiede, come presupposto imprescindibile per consentirne la realizzazione, la riformulazione dello statuto epistemologico delle rispettive professioni. Richiede che la prassi professionale in ambito medico-sociale e socio-economico sia ispirata e sostenuta da una nuova epistemologia della complessità. Ciò, in realtà, è già stato più volte rilevato da diverse fonti, in anni passati e recenti, fino a produrre una profonda riflessione interna allo stesso mondo medico così come espresso nello storico documento redatto nel 2018 da una commissione della Fnomceo (Federazione Nazionale degli Ordini dei Medici Chirurghi e Odontoiatri) “Gli Stati Generali della professione medica – 100 tesi per discutere il medico del futuro”; una vera e propria “Magna Carta” della professione medica che ne esplora le sue varie articolazioni e implicazioni a livello epistemologico, metodologico, socio-economico e lavorativo.

Si tratta di un approccio sistemico che, in quanto tale, consente di andare oltre alla Multidisciplinarietà come procedura che vede le diverse discipline affiancate, ognuna con proprie conoscenze e linguaggio per dare indicazioni nell’ambito della propria competenza specialistica, per accedere alla Transdisciplinarietà come spazio cognitivo condiviso, dove le differenti discipline possono dialogare tra loro con un linguaggio comune, alla ricerca di una coerente strategia d’azione per gestire il problema nell’orizzonte della sua complessità e dare corpo così a quell’approccio etico-metodologico e organizzativo alla salute e alla sanità che viene indicato, appunto, come “medicina personalizzata”. Un approccio clinico-strategico innovativo che vede nelle metodologie della “medicina di precisione”, uno strumento tattico di grande efficacia per la sua piena realizzazione.

Ed è significativo che la necessità di riflettere su questi temi – che pur coinvolgono la Medicina in quanto tale e quindi tutti i suoi orientamenti specialistici – sia emersa così fortemente in ambito oncologico. Una specialità infatti, l’oncologia, che si occupa della diagnosi e cura di una patologia che per le sue possibili evoluzioni, per gli effetti di breve e lungo periodo delle terapie sull’intero organismo e per l’impatto traumatico sulla persona e sul suo contesto famigliare e sociale, richiede ai medici e a tutti i professionisti che si prendono cura del malato non solo le indispensabili competenze tecniche, ma anche quella sensibilità empatica e quella capacità comunicativa che fanno della relazione col malato e coi suoi famigliari un “farmaco che cura”.

Ma affinché tutto ciò possa realizzarsi, come rilevato nei documenti citati, occorre avviare un processo di formazione alla gestione del carico emotivo della relazione d’aiuto per i medici, per gli oncologi in particolare e per gli infermieri, cioè per tutti coloro che vivono la loro quotidianità al letto del malato. Una risposta quindi organizzata a bisogni sommersi perché troppo spesso inespressi dai professionisti della salute; bisogni che, quando non trovano un tempo e un luogo per venire affrontati, li espongono sempre più al rischio di burnout e di errori medici causati, come documentato da un’ormai ricca letteratura, da esaurimento emotivo, perdita di motivazione e, non da ultimo, da un’eccessiva burocratizzazione delle procedure e dei compiti professionali.
Tale percorso formativo è oggi sempre più necessario proprio come conseguenza degli straordinari progressi delle metodologie diagnostiche e degli strumenti di terapia del cancro, che consentono non solo di guarire di più ma, ove ciò non sia possibile, di ‘cronicizzare’ la patologia per lungo tempo. E sempre più quindi sono richieste ai professionisti competenze relazionali e competenze tecniche per gestire non solo le terapie per la cura della patologia, ma anche gli effetti di queste sull’intero organismo nel lungo periodo, sulla vita personale, familiare e lavorativa. Ed è per questo complesso di ragioni che le terapie di supporto al malato di cancro devono essere considerate parte integrante delle cure oncologiche.

Ed ecco ancora perché, per la complessità delle questioni da affrontare, occorre una visione sistemica condivisa tra i professionisti della cura che consenta loro, ognuno nel suo ruolo, di riconoscere i bisogni del malato e dei suoi familiari per poter così indicare le risorse disponibili sul territorio per farvi fronte in modo competente e organizzato. Si fa infatti qui riferimento alla ricchezza di risorse offerte dalle organizzazioni del Terzo settore nei vari ambiti medico-sociali della cura ai pazienti oncologici e ai loro famigliari, che devono essere valorizzate creando nuove e appropriate sinergie con ospedali e professionisti che lavorano sul territorio. Ciò può quindi consentire da un lato una maggiore e più efficace rete di competenze e servizi disponibili per il malato e la sua famiglia e dall’altro una continuità di cura tra ospedale e domicilio, pur nella suddivisione dei ruoli tra i professionisti ma nell’ambito di una comune e condivisa strategia sistemica di approccio. Una visione quindi che pone "al centro" non tanto il paziente come portatore di un guasto biologico da riparare, ma la stessa "relazione di cura" come spazio condiviso di risorse e di alleanze che vedono nella salute della persona e della sua famiglia un bene comune di cui prendersi cura.


*Presidente di Attivecomeprima Onlus

In apertura photo by Héctor Achautla on Unsplash


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