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La tempesta perfetta sulla cooperazione sociale

Caro bollette, rincari dai fornitori, rette bloccate, profili professionali che non si trovano: «Il costo dell’energia non riguarda solo le imprese di produzione, mentre i ristori del governo dimenticano le cooperative sociali», dice la presidente di Legacoopsociali. «Viviamo contemporaneamente una serie di problemi, vecchi e nuovi, che non vengono presi in considerazione». Dal principio dei maggiori costi negli appalti al profilo unico dell'educatore professionale ecco i nodi da sciogliere urgentemente

di Sara De Carli

Caro bollette, rette bloccate, costi aumentati, operatori migrati nel pubblico e profili professionali con contingenti numericamente inadeguati al bisogno, per cui anche in prospettiva la fine dell’emergenza non si vede. È una “tempesta perfetta” quella che si è abbattuta sul welfare italiano in questi ultimi tempi. Una tempesta che va a sommarsi a tutte le sfide e le difficoltà che la cooperazione sociale ha affrontato nell’emergenza sanitaria, dagli aumentati costi per dispositivi di protezione individuale e sanificazioni alle chiusure forzate e che oggettivamente rischia di mettere a repentaglio servizi e prestazioni. A lanciare l’allarme è Eleonora Vanni, presidente di Legacoopsociali: «Sulle cooperative sociali si sono abbattuti contemporaneamente una serie di problemi, vecchi e nuovi, che non vengono presi in considerazione. È questo il punto: che non vediamo sui nostri temi un’attenzione e una consapevolezza che ci faccia pensare ad una presa in carico e alla possibilità che si delinei all’orizzonte una soluzione».

Il caro bollette riguarda tutti: sulle cooperative sociali come impatta in maniera specifica? È importante capirlo perché altrimenti sembra l’ennesimo soggetto che prsenta il suo cahier de doléance…
È ovvio che il tema del costo dell’energia non riguarda solo noi, ma è vero anche il contrario, ossia che gli aumenti del costo dell’energia non riguardano solo le imprese di produzione. Il governo invece sta mettendo delle risorse su questo, ma per noi – rispetto alle imprese – c’è un tema di codici Ateco che non sono stai presi in considerazione. La nostra richiesta quindi riguarda la necessità di prendere in carico da questo punto di vista tutte le attività, incluse quelle più tipiche della cooperazione sociale. Pensiamo ai centri residenziali, ai centri diurni… è impensabile “spostare” le attività nelle fasce orarie in cui l’energia costa meno e nemmeno possiamo aumentare i costi dei servizi, facendoli ricadere sugli utenti. In parte perché i costi dei nostri servizi sono bloccati in quanto le tariffe sono pubbliche, in parte perché sappiamo che i rincari ricadrebbero su fasce di popolazioni già fragili. Per limitare il peso delle bollette non possiamo neanche rimandare o sospendere alcune attività, perché in molti casi questo significherebbe interruzione servizio di pubblica utilità: ovviamente nemmeno lo vogliamo fare, perché andrebbe a danno di persone che patirebbero molto le eventuali interruzioni, che comporterebbero ricadute. La cooperazione sociale in sostanza deve andare avanti, deve garantire i suoi servizi, ma tutti dobbiamo sapere che lo fa a maggiori costi: costi maggiori per l’energia, per i materiali, per i fornitori, che si aggiungono ai maggiori costi dati dalla pandemia, legati alla sicurezza e alla sanificazione, che ancora affrontiamo.

È ovvio che il tema del costo dell’energia non riguarda solo noi, ma è vero anche il contrario, ossia che gli aumenti del costo dell’energia non riguardano solo le imprese di produzione. Il governo invece sta mettendo delle risorse su questo, ma per noi – rispetto alle imprese – c’è un tema di codici Ateco che non sono stai presi in considerazione. La nostra richiesta quindi riguarda la necessità di prendere in carico da questo punto di vista tutte le attività, incluse quelle più tipiche della cooperazione sociale.

Eleonora Vanni

C’è un altro tema, questo forse sì specifico, legato all’incremento dei costi del lavoro derivanti dal rinnovo contrattuale.
Esatto, noi abbiamo insieme anche questo tema che non è nuovissimo ma che nei fatti non è stato mai superato. Il rinnovo contrattuale risale al 2019 e comporta per le cooperative un incremento del costo del lavoro, ma molte amministrazioni pubbliche non hanno ancora adeguato i contratti, di fatto non riconoscendo l’aumento dei costi legato al rinnovo contrattuale. È accaduto solo a macchia di leopardo, mentre è qualcosa che deve essere fatto in tutta Italia. La qualità del lavoro è strettamente connessa anche alla qualità salariale, ma i costi – come dicevo prima – non possono semplicemente essere ribaltati sui servizi e d’altra parte non possono essere oltremodo assorbiti dalle cooperative sociali, che già lavorano con margini assai risicati. Stiamo lavorando perché venga riconosciuto il principio che nei contratti pubblici ci sia un obbligo di revisione dei prezzi quando avvenga in essere una variazione di costi non prevedibili al momento della presentazione dell'offerta, legati ad esempio all'applicazione di modifiche normative nazionali ed europee, variazione del costo dei materiali e il rinnovo dei CCNL nazionali. Questo era previsto prima del 2016, quando questo concetto da obbligatorio è stato reso facoltativo e naturalmente le amministrazioni pubbliche, avendone facoltà, hanno smesso di inserirlo nei contratti. sono stati presentati numerosi emendamenti in Commissione Lavoro del Senato che sta esaminando il disegno di legge delega per il nuovo Codice dei contratti pubblici presentato dal presidente del Consiglio dei Ministri e dal ministro delle Infrastrutture e della Mobilità sostenibili. È un principio che poi dovrà essere declinato nei decreti delegati, ma innanzitutto è importante che venga riconosciuto come principio. Al momento c’è un DL di gennaio 2022 che prevede una clausola di revisione fino a dicembre 2023, ma legata all’emergenza.

Stiamo lavorando perché venga riconosciuto il principio che nei contratti pubblici ci sia un obbligo di revisione dei prezzi quando avvenga in essere una variazione di costi non prevedibili al momento della presentazione dell'offerta, legati ad esempio all'applicazione di modifiche normative nazionali ed europee, variazione del costo dei materiali e il rinnovo dei CCNL nazionali. Questo era previsto prima del 2016

Eleonora Vanni

La pandemia ha avuto un altro impatto sul welfare: la migrazione di molti operatori del settore socio-sanitario e socio-assistenziale verso il settore pubblico.
Quello della mancanza di alcuni profili professionali è un tema grandissimo per le nostre cooperative: siamo sempre più in difficoltà, a causa di ciò, rispetto all’ottemperanza dei parametri normativi per la qualità dei servizi. Per questo parlo di “tempesta perfetta”, perché ci sono moltissimi problemi presenti contemporaneamente, alcuni nuovi, altri legati all’emergenza pandemica ma altriche si trascinano da tempo senza che nessuno li abbia mai presi in carico. Per esempio, sui profili professionali non possiamo certo nasconderci che al di là della chiamata del pubblico di questi ultimi tempi, infermieri, educatori e OSS mancano sul mercato per tutti.

ll Pnrr parla molto di sanità di territorio, ma gli infermieri non ci sono. Se il calcolo del fabbisogno di infermieri continua ad essere fatto solo sul servizio pubblico, e cioè in sostanza sugli infermieri che lavorano negli ospedali, è chiaro che la programmazione non funziona. Va cambiato il sistema. Il fabbisogno di infermieri va calcolato tenendo conto anche della parte territoriale e anche di tutti i soggetti di Terzo settore che gestiscono servizi pubblici.

Eleonora Vanni

Vediamo i nodi principali della questione rispetto a questi profili professionali così centrali per il nostro mondo. Perché il problema non è “solo” la migrazione verso il pubblico?
Alcuni provvedimenti sono stati presi ma non sufficienti perché per formare un infermiere ci vogliono almeno tre anni, quindi c’è da capire come considerare “emergenza” un periodo che arrivi a coprire i tempi lunghi che servono alla formazione di nuovi infermieri prima che questi siano pronti per entrare nel mercato del lavoro. Il Pnrr parla molto di sanità di territorio, ma gli infermieri di comunità da inserire nelle case della salute non ci sono: il numero degli iscritti ai corsi universitari è stato aumentato, ma c’è un problema di fondo che riguarda come si calcola il fabbisogno di queste figure. Se il calcolo del fabbisogno di infermieri continua ad essere fatto solo sul servizio pubblico e cioè in sostanza sugli infermieri che lavorano negli ospedali, è chiaro che la programmazione non funziona. Adesso va cambiato il sistema. Il fabbisogno di infermieri va calcolato tenendo conto anche della parte territoriale e anche di tutti i soggetti di Terzo settore che gestiscono servizi pubblici.

Su OSS ed educatori?
Il profilo professionale dell’OSS è in discussione in Conferenza Stato Regioni, nell’ottica di una evoluzione del profilo professionale e della relativa formazione. La formazione è materia regionale, ci sono territori in cui è fatta dalla Asl e altri in cui è fatta da enti di formazione. Anche qui occorre fare un lavoro di migliore definizione del profilo e di programmazione, come per gli infermieri. Sugli educatori, invece, siamo in mezzo al guado per ciò che riguarda il profilo dell’educatore sociopedagogico e sociosanitario: nell’ottica della necessaria maggiore integrazione dei servizi sociosanitari a mio parere sarebbe opportuno individuare un unico profilo di educatore, magari con più indirizzi di specializzazione. E di conseguenza anche qui vanno rivisti i modelli formativi.


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