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Tremiti minacciate dalla microplastica, doc per salvaguardarle

Le Isole pugliesi sono invase dai rifiuti di microplastica, minuscoli pezzi di materiale, solitamente inferiori ai cinque millimetri, che rischiano di essere inghiottite dagli animali marini e provocare un grave danno ambientale. Il documentarista Giuseppe Barile ha realizzato un reportage su quello che accadendo nell’arcipelago e per sensibilizzare le persone a un uso consapevole delle plastiche

di Emiliano Moccia

«Quello che viene prodotto a Ravenna può arrivare tranquillamente alle Isole Tremiti». Perché «la maggior parte delle micro-plastiche che arrivano nell’area protetta vengono portate dalle correnti e vengono sversate in mare dai fiumi. Si tratta di un fenomeno subdolo e pericoloso perché le microplastiche non si vedono, sono minuscoli pezzi di materiale plastico, solitamente inferiori ai 5 millimetri, che rischiano di essere inghiottiti dagli animali marini. Attraverso la catena alimentare, la plastica ingerita dai pesci o dagli esseri marini di piccole dimensioni può arrivare direttamente nel nostro cibo». Giuseppe Barile è un documentarista e fotografo pugliese che ha realizzato diverse produzioni video che affrontano tematiche sociali. Come il reportage su “I Bambini di Bucarest”, nel quale ha raccontato la storia dei ragazzi che per sopravvivere trovano riparo nei canali delle fogne della città. Nei mesi scorsi è stato nel suggestivo arcipelago del Mare Adriatico, in provincia di Foggia, per raccontare e denunciare attraverso la forza delle immagini l'impatto che le microplastiche hanno sugli ecosistemi marini.

Il documentario


Barile e lo staff di Nira Studios – un collettivo di creativi impegnati in produzioni cinematografiche – ha realizzato il video-reportage che fa parte di un progetto più ampio intitolato “Dafne – cambiare per vivere”, una serie documentaristica dedicata all’ecologia e all’equilibrio tra presenza antropica e ambiente. Hanno raccolto le voci dei pescatori, di chi il mare lo vive quotidianamente, del sindaco delle Isole Tremiti, Antonio Fentini, del CNR di Genova, di Greenpeace, di esperti, ricercatori, testimoni privilegiati che raccontano gli effetti che le microplastiche stanno avendo su questa fetta incantata del nostro mare. Il documentario parte da alcuni dati spietati, che hanno avvicinato il videomaker ad interessarsi alla questione per poi raccontarla: «Da una ricerca del 2018 effettuata in collaborazione tra il CNR di Genova (Ismar), Università Politecnica delle Marche e Greenpeace Italia, frutto dei campionamenti realizzati durante il tour “Meno plastica più Mediterraneo”, ed avente come oggetto di ricerca la quantità di microplastiche presenti nelle acque superficiali italiane, è emersa una quantità preoccupante di microplastiche nel bacino del Mediterraneo. In particolare nelle zone di Portici (Napoli) e delle Isole Tremiti (Foggia) tale quantitativo sarebbe addirittura comparabile a quello presente nei vortici oceanici del Pacifico del nord. Si è calcolato che nell’unico arcipelago del mare Adriatico, si riscontrino lavori di microplastiche pari a 2,2 frammenti per metro cubo di acqua».

Inquinamento senza confini


Ma se per «di Portici, che presenta una zona antropizzata, questi dati possono anche essere più comprensibili, nel caso delle Isole Tremiti sono più difficili da capire. Perché parliamo» evidenzia Barile «di una riserva naturale, con poca presenza di abitanti e dove il Comune nel 2018, in collaborazione con l’Ente Nazionale Parco del Gargano, si è fatto promotore di una campagna plastic free, bandendo dall’utilizzo della plastica dalle Isole e divenendo un punto di riferimento per la lotta all’inquinamento in ambiente isolano. Lo studio, dunque, dimostra che le microplastiche si fermano alle Isole Tremiti perché insieme al Promontorio del Gargano formano una barriera naturale nel Mediterraneo che raccoglie tutto quello che produciamo e che viene sversato in mare». Del resto, Francesca Garaventa, responsabile dei campionamenti, Cnr-Ismar di Genova, nel presentare lo studio aveva denunciato «che l’inquinamento da plastica non conosce confini e che i frammenti si accumulano anche in aree protette o in zone teoricamente lontane da sorgenti di inquinamento». I comportamenti ambientali sbagliati di qualcuno, quindi, viaggiano senza freni, alimentando l’inquinamento, danneggiano chi cura, preserva e rispetta riserve naturali come quelle delle Tremiti.

Invertire la rotta


I nostri mari, dunque, stanno letteralmente soffocando sotto una montagna di plastica e microplastica, per lo più derivante dall’uso e dalla dispersione di articoli monouso. Anche perché dagli anni cinquanta del secolo scorso ad oggi, la produzione della plastica ha avuto un considerevole aumento. Basti pensare che ogni anno circa 8 milioni di tonnellate di plastica finiscono negli oceani. «Le microplastiche presenti nei nostri mari» spiega il fotografo «possono essere suddivise in due macro-categorie: quelle primarie, che derivano principalmente da cosmetici, prodotti per l’igiene personale e scarti di produzione di materiali plastici, e quelle secondarie che derivano dalla frammentazione e degradazione di materiali plastici di grandi dimensioni». Di conseguenza, «è opportuno invertire la rotta. Con il nostro lavoro vogliamo unirci alle voci di quanti chiedono di avere un atteggiamento più cosciente sul consumo di plastica, un uso più consapevole e sostenibile. Un richiamano che corre sia a noi consumatori, che possiamo differenziare meglio, contribuire al riciclo della plastica, non disperderla nell’aria, nei mari, per strada; sia alle grandi aziende, che possono eliminarla da tutte quelle applicazioni in cui non è necessaria, iniziando a produrre con materiali alternativi alla plastica».

Il documentario – in uscita nei prossimi mesi e di cui ha parlato anche la trasmissione “Linea Blu” in una puntata girata alle Tremiti e andata in onda nel mese di maggio dello scorso anno – attraverso un linguaggio divulgativo e didattico, immagini suggestivi e numerose interviste vuole «sensibilizzare l’opinione pubblica e fornire allo spettatore tutte le informazioni scientifiche necessarie per una maggiore presa di coscienza sul tema dell’ecologia, perché l’inquinamento marino è ormai senza fine» conclude Barile «e per gli organismi che vivono nei fondali le conseguenze sono ancora più drammatiche se non interveniamo in tempo».

Foto di Giulia Cimarosti