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Marina Ovsyannikova, redattrice di Channel One è stata arrestata. Che succede dopo l’arresto?

A far luce sul dopo arresto arriva l'audio diffuso da Ovd-info. L'ong che assiste i detenuti politici russi, apre una finestra su quello che accade dopo. Lontano dalle telecamere. Un rapporto diffuso ieri da Ovd-info che ha documentato l'uso della forza in almeno 30 commissariati in 9 città per le proteste contro l'aggressione dell'Ucraina e la guerra

di Redazione

Marina Ovsyannikova, editor di 1 TV è il principale canale della Russia, conosciuto anche come Channel One è stata arrestata, aveva fatto irruzione nel corso del notiziario principale gridando «No alla guerra». In mano un cartello, da mostrare alla nazione, che riportava le parole «non credete alla propaganda: vi stanno mentendo» (nella foto di cover).

Non solo, prima di fare irruzione in studio ha registrato a casa una dichiarazione diffusa sui social: «Quello che avviene in Ucraina è un crimine. La Russia è il Paese aggressore. La responsabilità ricade su una sola persona: Putin. Mio padre è ucraino, mia madre è russa, e non sono mai stati nemici. La Russia deve fermare immediatamente questa guerra fratricida. Purtroppo negli ultimi anni ho lavorato al Primo canale, occupandomi della propaganda del Cremlino e ora ne provo molta vergogna, perché ho consentito di dire bugie alla nazione e di zombizzare i russi. Abbiamo taciuto nel 2014, quando tutto questo era solo all’inizio. Non siamo scesi in piazza quando il Cremlino ha avvelenato Navalny. Abbiamo solo osservato in silenzio questo regime disumano. E ora ci ha voltato le spalle tutto il mondo, e altre dieci generazioni non si potranno togliere la macchia di questa guerra».

Ovviamente, Marina Ovsyannikova è stata arrestata. Ma dopo l'arresto che succede? A far luce sul dopo arresto arriva l'audio, diffuso da Ovd-info, l'ong che assiste i detenuti politici russi, una finestra su quello che accade dopo. Lontano dalle telecamere.

«Il primo colpo sordo arriva dopo 52 secondi. Gli agenti le chiedono nome e indirizzo, ma la ventiseienne Aleksandra Kaluzhskikh si rifiuta di rispondere. Oppone il "cinquantunesimo", l'articolo della Costituzione russa che vieta l'autoincriminazione. «Cagna, vuoi rispondere? ». «Cinquantunesimo». (Tonfo) «Hai intenzione di rispondere adesso? Posso farti di peggio». Arrestata il 6 marzo durante le proteste contro "l'operazione militare" russa in Ucraina, Kaluzhskikh è riuscita a registrare l'interrogatorio nella stazione di polizia del distretto moscovita di Brateevo. Per circa 11 minuti, si sentono colpi alternarsi alle minacce e agli insulti verbali. Il poliziotto la picchia, la sottopone alla tortura dell'annegamento simulato (il "waterboarding") versandole acqua sulla faccia, la trascina per i capelli. «Idiota». «Ti minaccio con la violenza fisica». «Credi che ci accadrà qualcosa per questo? Putin è dalla nostra parte. Siete i nemici della Russia. Siete i nemici del popolo». Vraghi naroda, come il marchio d'infamia affibbiato alle vittime di Stalin. Secondo il conteggio di Ovd-info, almeno 15mila persone sono state fermate in tutta la Federazione da quando è iniziata l'offensiva russa in Ucraina. Non solo attivisti, ma anche semplici passanti. Spesso sollevati per braccia e gambe o caricati a colpi di manganello su cellulari sovraffollati.

Come racconta Rosalba Castelletti su Repubblica: Sul blindato che ha portato Kaluzhskikh a Brateevo erano in 29, di cui 25 ragazze. «Faceva davvero caldo. All'inizio cantavamo, poi abbiamo smesso persino di parlare: risparmiavamo l'aria», ha raccontato la studentessa di 18 anni Anastasia a Mediazona, il sito d'informazione sulle carceri russe che ha ricostruito le umiliazioni e le violenze subite dalle detenute nell'oramai famigerato dipartimento nel Sud di Mosca. A Brateevo è stato sin da subito introdotto il protocollo "Fortezza" che vieta l'accesso ai visitatori esterni – inclusi gli avvocati – in caso di "potenziale minaccia". Sequestrati i passaporti, poliziotti in uniforme e in borghese hanno iniziato a chiedere ai ragazzi coi capelli lunghi se fossero ragazze e alle ragazze coi capelli corti se fossero ragazzi. Poi li hanno convocati ad uno ad uno nella stanza degli interrogatori dove c'era quello che i detenuti hanno soprannominato "uomo in nero" o "interrogatore", un trentenne con un dolcevita nero e una pistola nella fondina che presentandosi agli altri agenti aveva invocato Allah. «Uno psicopatico », lo ha definito Anastasia. La 19enne Anna è stata la prima a subire la tortura dell'annegamento simulato. «Poi mi ha colpito duro. La vista mi si è offuscata. E mi ha detto: "Ora sarete tutte private della verginità"». L'uomo in nero si è comportato allo stesso modo con Ekaterina, 23 anni: calci alle gambe, schiaffi in faccia, testa tirata all'indietro, acqua versata, capelli strappati. Anche la coreografa 25enne Kristina è stata sottoposta a waterboarding benché soffrisse d'asma. «Mi ha chiamato "puttana" e ha detto che mi avrebbe mandato in cella con i senzatetto. Che sarebbero stati putinisti e non avrei avuto altra scelta che allargare le gambe». Con la webdesigner 19enne Tatjana, "l'interrogatore" è andato oltre: la ha soffocata più volte con una busta. «Ho quasi perso conoscenza». «Devi solo spararti in faccia. Sei feccia», ha urlato alla 22enne Marina Morozova che, come Aleksandra, è riuscita a registrare l'interrogatorio e ha passato l'audio alla Novaja Gazeta che ha documentato scene simili anche nel dipartimento del complesso olimpico Luzhniki. «Arresti di massa e violenza contro i manifestanti – osserva un rapporto diffuso ieri da Ovd-info che ha documentato l'uso della forza in almeno 30 commissariati in 9 città – non sono una novità. Ma negli anni la scala delle detenzioni è aumentata e le misure di pressione esercitate sono diventate più dure». Motivo in più, ha commentato Hrw, «per solidarizzare con le migliaia di manifestanti pacifici che continuano a esercitare coraggiosamente i loro diritti in Russia».


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