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Perché oggi abbiamo bisogno di rileggere Capitini

È giusto essere dalla parte delle vittime ucraine e del popolo aggredito da un esercito invasore, che ha un disegno di brutale e anacronistico dominio territoriale. Ma fa scandalo l’aumento delle spese militari deciso dal nostro Parlamento in un momento di nuova emergenza e di scarso dibattito

di Alessandro Banfi

La guerra non è mai una soluzione. È un’avventura senza ritorno. È un’inutile strage. Per poche persone il grande filosofo cattolico Augusto del Noce aveva una profonda ammirazione e stima come per il pensatore perugino Aldo Capitini (foto). Con il quale aveva intrattenuto una grande vicinanza intellettuale nel ventennio mussoliniano. Ho avuto la fortuna di parlarne spesso con Del Noce negli ultimi anni della sua vita, quando si toccava il tema della guerra e della pace.

Capitini, poco conosciuto e studiato nel nostro Paese, è stato il primo vero pacifista del nostro Novecento. Risoluto e indipendente, non accettò mai di coinvolgersi nei partiti, pur essendo stato un vero antifascista. Primo vegetariano militante, in quanto non violento, già sotto il regime, quando studiava e insegnava alla Normale di Pisa, fu poi negli anni Sessanta l’iniziatore della Marcia della pace Perugia-Assisi e un suo allievo, Pietro Pinna, è stato il primo obiettore di coscienza al servizio militare nel secondo dopoguerra. Come ha scritto recentemente Tommaso Greco, in un bel saggio sulla Rivista del Mulino, Capitini, in quanto pacifista etico-religioso, fu insieme al laico Norberto Bobbio, il vero teorico del movimento pacifista italiano.

Capitini e Bobbio fondarono il loro pensiero su una serie di presupposti filosofici e religiosi, ma soprattutto lo svilupparono (come capitò anche ad Albert Einstein) dopo l’esplosione della prima bomba atomica ad Hiroshima e Nagasaki. Ancora nel 1979 (Capitini muore nel 1968) Bobbio scrive, nel fondamentale saggio Il problema della guerra e le vie della pace, edizioni il Mulino, che fra tanti motivi per non sceglierla, la guerra è da considerare una «via bloccata» perché c’è la possibilità di un conflitto nucleare. Ipotesi che oggi è stata incredibilmente evocata da Vladimir Putin. Quindi non più teorica.

La scelta della pace è dunque una scelta profondamente razionale e fondata su una serie di motivazioni filosofiche, religiose e giuridiche, ma anche pratiche. Tutti i Papi del Novecento hanno attestato la Chiesa cattolica universale su questa linea. E Papa Francesco, ogni giorno, testimonia al mondo questa posizione. Verrebbe da dire come Papa e come Francesco.

Perché ricordare oggi tutto ciò? Perché l’euforia per una guerra giusta e vendicativa sta tracimando sui media di tutto il mondo, dove si infittisce la ricerca di fittizi motivi per uno scontro mondiale finale. Si invoca lo sterminio del Nemico. Si fa intravvedere la guerra dei buoni contro i cattivi. Se il presidente Usa Biden dice che quello russo Putin è un “criminale assassino”, se lo stesso Putin giustifica l’invasione come “lotta al nazismo” difficile poi accettare di capire le ragioni di una parte e dell’altra, difficile sedersi ad un tavolo di mediazione, difficile arrivare ad un cessate il fuoco.

Dire questo non vuol dire essere equidistanti. È giusto essere dalla parte delle vittime ucraine e del popolo aggredito da un esercito invasore, che ha un disegno di brutale e anacronistico dominio territoriale. È giusto ammirare la giornalista russa Marina Ovsyannikova che sfida il regime con il cartello NO WAR. È sacrosanto accogliere e ospitare i profughi. Generoso e benefico spedire aiuti alimentari e materiali agli ucraini. Ci piacerebbe, com’è stato proposto, creare un esercito di donne e uomini europei, inermi e pacifici, che si interpongano come scudi umani.

Ci lascia invece perplessi la spedizione di armi sempre più sofisticate da parte degli Usa e anche del nostro Paese. E un po’ ci fa scandalo l’aumento delle spese militari deciso dal nostro Parlamento in un momento di nuova emergenza e di scarso dibattito.

La tragedia della guerra che si sta consumando nel cuore dell’Europa – ha detto oggi papa Francesco – ci lascia attoniti; mai avremmo pensato di rivedere simili scene che ricordano i grandi conflitti bellici del secolo scorso. Il grido straziante d’aiuto dei nostri fratelli ucraini ci spinge come Comunità di credenti non solo a una seria riflessione, ma a piangere con loro e a darci da fare per loro; a condividere l’angoscia di un popolo ferito nella sua identità, nella sua storia e tradizione. Il sangue e le lacrime dei bambini, le sofferenze di donne e uomini che stanno difendendo la propria terra e scappano, cacciati da un abuso perverso del potere e degli interessi di parte, che condanna la gente indifesa a subire ogni forma di brutale violenza”.


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