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La storia di Julia Gromskaya, nata russa, poi diventata ucraina, ora marchigiana

Julia Gromskaya è nata a Kharkov nel 1980, quando era ancora Unione Sovietica. Poi è diventata ucraina. Oggi è cittadina italiana. Dalla provincia di Ancona, dove lavora come illustratrice, osserva le tragedie che stanno attraversando il suo paese: «So di sicuro che la guerra non è cominciata il 24 febbraio, ma 8 anni fa. Chi vuole sapere come sono andate le cose in Ucraina deve partire dal conflitto nel Donbass, da quello che l'ha generato»

di Sabina Pignataro

Julia Gromskaya è nata a Kharkov nel 1980, quando era ancora Russia. Poi è diventata ucraina. Oggi è cittadina italiana. Dalla provincia di Ancona, dove lavora come illustratrice, osserva le tragedie che stanno attraversando il suo paese. «Da persona nata russa e diventata prima ucraina e poi italiana – spiega- fatico a capire milioni di persone che parlano e giudicano come se sapessero da sempre la storia del mio paese. Fatico io a capire la storia recente del mio paese, ci vorrebbe un po' d'umiltà e di umanità. La guerra vista in poltrona porta le persone a parlare di odio, di armi da inviare».

Julia ci racconti la tua storia?

Sono nata a Kharkov, in Unione Sovietica. Ma era Russia a tutti gli effetti. Io e il milione e mezzo di abitanti della città abbiamo sempre parlato russo, eravamo di cultura russa. Dopo la disgregazione dell'URSS la mia città e i suoi abitanti sono diventati ucraini. Sul momento non ci abbiamo visto nulla di male, ci sembrava un cambiamento figlio della storia. Poi di cambiamenti ce ne sono stati molti altri, alcuni radicali: il russo è stato cancellato dalle scuole, dai film, dalla televisione. Sono stati cambiati i nomi delle persone, delle città e delle cose. Onestamente questo non riuscivo a capirlo.

Come avete vissuto quel cambiamento?

Siamo andati avanti e in famiglia e in città abbiamo continuato a parlare in russo e a chiamarci con i nomi con cui siamo nati e siamo stati battezzati, non c'era motivo per fare il contrario. Kharkov è praticamente una città di confine e siamo sempre stati in buoni rapporti con la Russia. Poi nel 2004 c'è stata la rivoluzione arancione, vi ho preso parte, così come gran parte dei giovani. C'erano concerti di artisti famosi, un clima molto bello, gioioso. Sognavamo un ulteriore cambiamento che ci avvicinasse ancora di più all'occidente. Non molto tempo dopo mi sono trasferita in Italia, sono diventata cittadina italiana. Ed è cominciata una storia nuova. Oggi vivo nelle Marche, a Pergola, insieme al mio compagno Simone Massi e ai nostri tre figli. Lavoro come illustratrice e animatrice.

Cosa ti sembra stia accadendo in Ucraina?

Ho lasciato l'Ucraina nel novembre 2006. Ho cercato di seguire i cambiamenti ascoltando i racconti di mia madre e seguendo le notizie in rete, ma non è facile.
So di sicuro che la guerra non è cominciata il 24 febbraio, ma 8 anni fa. Chi vuole sapere come sono andate le cose in Ucraina deve partire dal conflitto nel Donbass, da quello che l'ha generato. In rete si possono trovare tanti articoli e documentari che ci danno informazioni ed elementi per capire meglio quello che succede oggi. Non dico che cercando su internet si trovi la verità, perché è una faccenda davvero molto intricata e complessa, ma penso sia il dovere di ognuno quello di non accontentarsi di una verità preconfezionata. Invece vedo che la maggior parte delle persone sceglie la via più semplice e comoda, forse per pigrizia, forse perché il ragionamento e la capacità critica costano tempo, fatica, mal di stomaco.

A volte è faticoso, hai ragione

Il risultato di questa passività comunque si vede: sono tutti allineati, ripetono le stesse identiche cose e sono pronti a dare addosso a chi pone dubbi o domande. Da persona nata russa e diventata prima ucraina e poi italiana fatico a capire milioni di persone che parlano e giudicano come se sapessero da sempre la storia del mio paese. Fatico io a capire la storia recente del mio paese, ci vorrebbe un po' d'umiltà e di umanità. La guerra vista in poltrona porta le persone a parlare di odio, di armi da inviare. Un antico detto giapponese dice: "Quando due samurai si combattono il terzo non regala a nessuno dei due la spada". Mi piacerebbe che si spegnessero le televisioni per qualche giorno e si cominciasse a ragionare, a studiare, ad ascoltare le voci di quei pochi che parlano di pace, auspicano la pace, pregano per la pace, cercano nel loro piccolo di fare qualcosa per la pace. Mi piacerebbe tanto che si ascoltassero queste persone.

Tua madre e la tua famiglia cosa ti raccontano?

Preferisco non parlarne. Troppo spesso diciamo "capisco" o "immagino". Ma in certi casi è fuori luogo, dal comodo di casa il dramma della guerra non si può capire e non si può immaginare.

Quale soluzioni auspichi?

Vorrei con tutto il cuore che i governanti trovassero un accordo il prima possibile, vorrei che l'Italia e gli altri paesi che non sono coinvolti direttamente nel conflitto smettessero di buttare benzina sul fuoco e lavorassero concretamente e instancabilmente per la pace. Perché nazioni che si dicono democratiche non possono che impegnarsi per questo. Mi ferisce e mi umilia vedere che chi parla di pace viene attaccato pubblicamente o arriva a passare per traditore. Ma traditore di cosa? Come si è arrivati a un'enormità del genere? Traditori dovrebbe essere considerate tutti quei politici, quei giornalisti e quelle persone che non hanno a cuore la pace. Ha ragione Papa Francesco quando dice che l'invio delle armi è uno scandalo e la guerra è una follia, è una sconfitta per tutti. Perché con la guerra a perdere sono sempre gli innocenti, i bambini, gli anziani, la povera gente.

I tuoi lavori di animazione sono stati selezionati nei Festival di 52 Paesi del Mondo dei 5 continenti. Oggi a cosa stai lavorando?

Otto anni fa ho cominciato a lavorare su un progetto ispirato alla mia terra natale ma la speranza era che potesse raccontare di legami e sentimenti universali, al di là di ogni frontiera e nazione. Poi sono nati i miei bambini, e ho dovuto interrompere il progetto per dedicami a loro. Ma l'idea di riprendere il lavoro non l'ho mai abbandonata. Ora più che mai, con quello che sta succedendo nel luogo dove sono nata, sento forte il desiderio di far diventare un cortometraggio quella piccola storia personale.

Come è la tua vita a Pergola?

All'inizio l'ambientamento è stato un po' difficile, perché sono due realtà completamente diverse. Prima abitavo in una metropoli, e dopo sono finita in un paesino di 6000 abitanti. Ho dovuto ricominciare tutto da capo: imparare una lingua nuova, conoscere la cultura e la cucina italiana, abituarsi a festività e cicli diversi. Nel mio paese infatti il Natale si festeggia il 7 gennaio, le stagioni cadono sempre il primo giorno del mese, non il 21. Ma a parte questo mi sono subito innamorata della natura e dei paesaggi marchigiani che sono di una bellezza unica. Il mare poi è molto vicino, l'Italia è tutto mare. Quando abitavo a Kharkov ci volevano 12 ore di treno per arrivare al mare. Mi piace molto anche la campagna, a pochi passi da casa ho avuto la fortuna di incontrare dal vivo tanti animali. Adesso che sono mamma, posso dire che vivere in un paese piccolo ha i suoi vantaggi, ci si conosce tutti e in generale ci si rispetta e non ci sono pericoli. Sicuramente i miei figli stanno passando una bella infanzia in un posto tranquillo e non inquinato. In un'epoca come questa mi pare non sia una cosa scontata o da poco. Senza dubbio posso essere solo felice pensando al fatto che i miei bambini sono nati qui.

Hai pensato di accogliere delle famiglie ucraine in questi giorni o di renderti disponibile?

In questi giorni stanno arrivando a Pergola delle famiglie ucraine con i figli al seguito. Le maestre di scuola mi hanno chiesto di aiutare a inserire i bambini che andranno in classe con mia figlia. Mi sono messa a disposizione, cercherò di fare da interprete, di fare da ponte fra due culture diverse. Ma più di tutto spero di poter essere d'aiuto per restituire un sorriso a degli innocenti che hanno visto l'orrore più grande. In un momento così cupo e drammatico bisogna ricordarsi di essere umani, è nostro dovere aiutarci a vicenda.

In apertura, disegno di Julia Gromskaya, "Il cielo sotto cuore"




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