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Dal CAS all’affitto, in pochi giorni: i rifugiati ucraini decidono per sé

Casa di Lino è il primo CAS dell'Emilia Romagna ad accogliere profughi ucraini. Dopo aver garantito i beni di prima necessità, ora si raccolgono competenze per avviare i progetti d'integrazione. Con un'attenzione: «I rifugiati ucraini appartengono perlopiù ad una classe sociale media, hanno autonomia, risorse, un buon livello culturale e dopo un aiuto iniziale, molti casi decidono per sé»

di Silvia Vicchi

Il primo Centro di accoglienza straordinaria (CAS) attivato in Emilia Romagna per i rifugiati ucraini, è a Casalino di Loiano, alle porte di Bologna. Si chiama “Casa di Lino” e ospita Nadia, Pavel e i loro nove figli, con altre tre mamme, sei bambini e un cane. L’immobile ha sei appartamenti nuovi: «Abbiamo allestito con letti, biancheria, pentolame, cibo e aperto in 24 ore, quando sono arrivati i primi ospiti», spiega Chiara Roccatagliata, coordinatore di Società Dolce, che ha la gestione e la proprietà del servizio.

A differenza dei SAI (ex SPRAR), che richiedono un’autorizzazione dei posti, i CAS sono aperti nell’immediato dalle Prefetture e in diversi contesti, di fronte ad una condizione di straordinarietà, come la guerra in corso. In attesa di definire il piano economico del CAS, ogni ospite riceve un pocket money di 2,50 euro e un food money di 4,50 euro, pari a 7 euro complessivi al giorno, gestiti in autonomia: «Le risorse dei CAS sono esigue – continua Roccatagliata – e occorre costruire reti sul territorio. Qui c’erano altre realtà di accoglienza e lavoriamo col Comune affinché l’enorme mobilizzazione a favore degli ucraini vada a vantaggio di tutta la collettività». La situazione ucraina è emergente e ci coinvolge da vicino, ma chi lavora da anni con i rifugiati cerca anche di fare cultura sui motivi che portano le persone a fuggire da violenze e conflitti senza risonanza, come accade in Nigeria, in Somalia e altrove.

Dopo la prima ospitalità, è tempo di progetti. Terminata la raccolta di vestiario, ora a “Casa di Lino” si raccolgono competenze. Corsi d’italiano tenuti da ex insegnanti volontari, laboratori per bambini e altri eventi si tengono nel CAS, che apre le porte alla cittadinanza. Ogni azione è concordata con le famiglie ospitate e tiene conto dei loro desideri e intenzioni. Una scelta che richiede tempo, ma evita di disperdere risorse e forze: «È inutile inserire un minore a scuola, se non capisce la lingua, non conosce nessuno e forse tra un mese la famiglia si trasferirà altrove. I rifugiati ucraini appartengono perlopiù ad una classe sociale media, hanno autonomia, risorse, un buon livello culturale e dopo un aiuto iniziale, molti casi decidono per sé», conclude Roccatagliata.

Persone come noi, che fino a pochi giorni fa vivevano una vita simile alla nostra, capaci di tracciare da soli il proprio percorso. Come Svetlana, giovane mamma intenta a riempire una valigia con abiti ricevuti in dono, un coniglio di peluche e altri giocattoli, pronta a lasciare il CAS per trasferirsi a Bologna, dove ha trovato lavoro, una casa in affitto e una nuova pace per sé e i suoi bambini.


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