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Politica & Istituzioni

Le mani della mafia sulle città, il caso dei Comuni sciolti per infiltrazioni

L’Associazione Avviso Pubblico ha pubblicato il Dossier 2021 “Le mani sulle città” che fotografa la situazione degli Enti locali sciolti per infiltrazioni mafiose. Dal 1991 ad oggi sono 365 i decreti di scioglimento, quasi uno al mese

di Emiliano Moccia

Sono 365 i decreti di scioglimento degli Enti locali per infiltrazioni mafiose dal 1991 ad oggi. Una media di uno al mese. Si tratta soprattutto di Amministrazioni Comunali ma ci sono anche aziende sanitarie e ospedaliere. E fra gli Enti locali la cui vita politico-amministrativa era condizionata dalla criminalità organizzata, ben 71 sono stati colpiti dal provvedimento di scioglimento più di una volta: 52 di questi sono stati sciolti due volte e 18 addirittura tre volte. Sono alcuni dei dati impressionanti contenuti nel Dossier 2021 “Le mani sulle città” curato da Avviso Pubblico sui comuni sciolti e presentato in questi giorni nell’ambito delle giornate preparative di #Contromafiecorruzione. Per quanto riguarda l’anno appena trascorso, stati 14 gli Enti locali sciolti in conseguenza di fenomeni di infiltrazione e condizionamento di tipo mafioso: 4 in Calabria (Guardavalle, Nocera Terinese, Simeri Crichi e Rosarno), 4 in Puglia (Foggia, Squinzano, Carovigno e Ostuni), 4 in Sicilia (Barrafranca, San Giuseppe Jato, Bolognetta e Calatabiano) e 2 in Campania (Marano di Napoli e Villaricca). E proprio l’altro giorno il Consiglio dei Ministri, su proposta del Ministro dell’interno Luciana Lamorgese, ha deliberato lo scioglimento del Consiglio Comunale di Trinitapoli (BT) e il contestuale affidamento della gestione del Comune, per la durata di diciotto mesi, a una commissione straordinaria. Segno che il fenomeno è sempre presente.

Avviso Pubblico è l’Associazione nata con l’intento di collegare ed organizzare gli Amministratori pubblici che si impegnano a promuovere sui rispettivi territori la cultura della legalità e della cittadinanza responsabile. Oggi conta 509 soci, tra Comuni, Regioni e società a capitale interamente pubblico. Per questo, il tema della corruzione degli amministratori pubblici sta particolare a cuore al sodalizio che attraverso il report fotografa anche i primi trent’anni di applicazione della legge sullo scioglimento degli enti locali. Abusivismo edilizio, beni confiscati, urbanistica, edilizia privata e pubblica, rifiuti, rete idrica, tributi locali e perfino servizi cimiteriali. Sono i settori a cui i clan mafiosi guardano con maggiore interesse, e con l’aiuto di amministratori locali e funzionari compiacenti e spesso collusi, puntano a condizionare la vita dei comuni, ad infiltrarsi nell’economia locale. Calabria, Campania, Sicilia, Puglia, Piemonte, Liguria, Lazio, Basilicata, Lombardia, Emilia-Romagna e Valle d’Aosta. Da Nord a Sud sono tante le regioni italiane interessate dalla misura conseguente a fenomeni di infiltrazione e condizionamento di tipo mafioso, introdotto nell’ordinamento italiano nel 1991.

Una legge da rivedere

Tra gli aspetti più inquietanti contenuti nel nuovo dossier di Avviso Pubblico, la recidiva di 71 Enti Locali, quasi a suggellare il concetto che non può esistere la mafia senza l’appoggio della politica. «Un rapporto storico quello tra mafia e politica, che risale in pratica già all’800» ha detto Enzo Ciconte, storico delle organizzazioni criminali, presentando il report. «I rapporti con la politica sono cambiati nel tempo, arrivando a vedere i gruppi criminali in posizione predominante rispetto alla politica. Si comprende perché è necessario arrivare a recidere questo legame». Non solo. In questi trent’anni, la legge secondo Avviso Pubblico ha manifestato una serie di limiti e di criticità, già evidenziate anche nel corso di una audizione presso la Commissione Affari Costituzionali nel 2019. «Il primo elemento di criticità è senz’altro che questa legge ha una natura preventiva molto bassa, perché alla lunga gli scioglimenti godono di un deficit di popolarità e di consenso» ha evidenziato Vittorio Mete, docente di sociologia all’Università di Torino. «Quello della legittimità percepita è un problema che dobbiamo porci, perché lo scioglimento del comune non rimedia ad un meccanismo di raccolta del consenso che non è sano e che non si ripara in pochi mesi. È una legge quindi che va cambiata e le proposte di Avviso Pubblico sono da sposare e da promuovere».

Anche per Ciconte, dunque, non ci sono dubbi: la legge sullo scioglimento per infiltrazioni mafiose necessità di alcuni cambiamenti. «Lo si è visto già nei primissimi decreti di scioglimento. Inoltre c’è il grosso problema dei commissari spesso inadeguati ad affrontare la situazione e quindi questo crea insofferenza nella cittadinanza. E poi non funziona più perché ci sono troppi scioglimenti arbitrari legati spesso al momento politico». Anche perché con lo scioglimento la responsabilità giudiziaria e politica cade su tutti gli amministratori in carica, a prescindere dal ruolo che hanno avuto nelle cause che hanno portato alla misura. «Non è giusto indipendentemente da chi governa, che una responsabilità in capo al sindaco, ricada automaticamente su tutti i consiglieri che vengono sciolti insieme a quel sindaco. Lo stigma dello scioglimento per mafia» ha concluso Ciconte «pesa anche sul quel consigliere di minoranza e addirittura in opposizione al sindaco responsabile. E questo mi sembra sbagliato».

Il caso studio Foggia


Il dossier, inoltre, focalizza poi l’attenzione sul Comune di Foggia, il secondo capoluogo di provincia sciolto per infiltrazioni mafiose dal 1991 ad oggi (il primo fu Reggio Calabria, nel 2012), alla cui guida c’era l’ex-sindaco della Lega Franco Landella, al secondo mandato consecutivo. «La relazione prefettizia evidenzia che le indagini sono state avviate in seguito all’elevato numero di interdittive antimafia emesse dal Prefetto – dal 2016 al 2021 sono state ben 85 – e agli esposti in cui si denunciavano forme di contiguità degli amministratori locali con esponenti delle consorterie mafiose» rileva il Dossier. Seconda la Relazione prefettizia, dunque, le condotte rilevanti degli amministratori «ai fini dello scioglimento sono ben 13 (il Sindaco, arrestato per tentata concussione e corruzione per atti contrari ai doveri d’ufficio, e altri 12 Consiglieri comunali): si va, appunto, dal coinvolgimento in inchieste con la presenza di soggetti criminali, fino alle frequentazioni e parentele con appartenenti ai clan e alle cointeressenze economiche con imprese in odore di mafia». Di conseguenza, «la Commissione prefettizia ha riscontrato diversi elementi problematici, a partire dalla colpevole disattenzione mostrata dal Comune rispetto ai controlli antimafia, soprattutto in ambiti sensibili, e dalle ingerenze degli organi politici rispetto alle scelte burocratiche, a tutto vantaggio dei clan o di soggetti a questi vicini, favoriti grazie a procedure illegittime nell’aggiudicazione dei servizi gestiti dal Comune».


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