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Il dilemma della pace, voci e parole per ripartire

Su VITA di aprile dialogo a più voci sull'anno zero del pacifismo, messo in discussione da una guerra di aggressione che chiede di non essere equidistanti. Parlano scrittori, intellettuali, pensatori, indicando le opportunità per ripartire: da Erri De Luca a Maurizio Maggiani, da Luigi Manconi ad Angelo Moretti, da Franco Vaccari a Elena Granata. E Stefano Zamagni esorta "a fare un salto necessario: da pacifisti a pacificatori"

di Giampaolo Cerri

Porta il titolo “Il dilemma della pace” la copertina del numero di aprile di VITA, da questo fine settimana in edicola, in libreria e acquistabile qui nella versione digitale.

Un titolo che incornicia l’efficacissimo e drammatico disegno di Gianluca Costantini, l’illustratore che aveva già creato per noi il logo degli #abbracciperlapace, rivisitando una splendida foto di un giovane russo e una giovane ucraina, abbracciati. Stavolta ha scelto una colomba che tiene nel becco un ramoscello di ulivo ma senza farne una rappresentazione iconica, dolce, felice. No, è appunto una colomba con le penne arruffate, un po' spennacchiata, perché vola controvento, forse nella tempesta, una colomba affaticata e un ramoscello d'ulivo quasi spoglio.

Un'immagine che esprime bene il dilemma della pace perché, innegabilmente, come spiega l’apertura del primo capitolo, intitolato Pacifismo Anno Zero, il popolo della pace, il popolo iriditato di marce e tavole, è percorso da una riflessione impegnativa, a tratti anche ruvida, su quale pacifismo sia oggi adeguato a una guerra di aggressione, imperialistica si sarebbe detto una volta, come quella scatenata da Vladimir Putin, se si debba armare i resistenti, oltre che sovvenire le vittime, i rifugiati, i saccheggiati, i cacciati di casa in punta di kalashnikov. Una discussione che nasce già dopo le prime manifestazioni di inizio marzo, apparse talvolta equidistanti fra vittime e carnefici, laddove associazioni e voci storiche del pacifismo e del disarmo parlano di “neutralità attiva”, esortando a non aggiungere guerra a guerra, sangue a sangue.

Un momento che Stefano Zamagni, nel suo editoriale, ha sintetizzato nell’esigenza di un “salto necessario da pacifisti a pacificatori”.

VITA ha chiesto ad alcuni scrittori, intellettuali, pensatori, protagonisti del discorso culturale italiano, di aiutare il lettore nella riflessione. Ha chiesto di partire da una parola che può descrivere quello che c’è ma, più spesso, quello di cui c’è bisogno, ciò da cui si può ripartire.

E così Erri De Luca ha scelto “Europa”, Franco Vaccari “Nemico”, Emmanuele Curti “Pace”, Maurizio Maggiani “Popolo”, mentre Elena Granata ha indicato “Emotività”, Angelo Moretti “Domani”, Riccardo Bonacina “Vittime”, e Luigi Manconi “Ingerenza”, intendendo quella umanitaria, ovviamente.

A corredo del dibattito su quale pacifismo, non poteva mancare il racconto di come gli operatori di pace italiani siano impegnati sui confini della guerra, a distanza di poche ore, 48 o 72 al massimo, dallo scoppio del conflitto.

La mappa dell'aiuto, in Ucraina e in Italia

Anna Spena e Riccardo Bonacina hanno racconto, dapprima dai confini polacchi e rumeni, poi da Leopoli e dal Cernivci, dentro l’Ucraina in guerra, lo stordimento delle famiglie sfollate, l’inconsapevolezza resiliente dei bambini, l’incredulità dei vecchi, ma anche il coraggio e la bellezza delle donne che si trascinano le famiglie appresso, avendo lasciando i mariti e i compagni al fronte. E insieme ai volti, ai suoni, agli odori del grande e doloroso esodo, la forza, la compassione, l’attenzione di cooperanti e volontari, pronti a consolare, rifocillare, medicare, sfamare.

Quella disegnata dall’art director Matteo Riva, che con Antonio Mola ha curato la grafica e l’impaginazione del numero, è la mappa, impressionante, dei flussi di profughi dopo un mese di guerra e il dispiegamento delle associazioni e ong italiane sul campo. Una infografica a cui corrisponde, la carta dell’accoglienza in Italia, dal Trentino alla Sicilia, a cui corrisponde il racconto di Sara De Carli, sui numeri – impressionanti, di nuovo – della mobilitazione, di Sabina Pignataro per le storie, confortanti, delle famiglie che aprono casa, di Luca Cereda, sulle scuole che si riorganizzano, di Antonietta Nembri, sullo sforzo associativo. Un dossier completo sul primo mese di guerra e di costruzione di pace, in cui non manca la voce dello Stato, con un’intervista del direttore, Stefano Arduini, al capo della Protezione civile, Fabrizio Curcio che spiega come il Terzo settore diventi “partner indispensabile” della fase due dell’emergenza, dopo una prima, positivamente segnata dallo spontaneismo. E non mancano neppure approfondimenti sul lavoro, con la voce di alcuni esperti, fra cui il sociologo delle migrazioni, Maurizio Ambrosini, che ricorda come accogliere delle lavoratrici significhi valorizzare appieno le proprio le loro competenze e, molto spesso, le donne ucraina sono laureate e con livelli di esperienza professionale non comune.

Non solo guerra, quella routine di bene che costruisce la pace

Non si parla tuttavia solo di guerra e di pace, in questo numero di VITA. C’è un mondo di impegno, di bene, di cultura solidale che continua a operare, responsabilmente, costruendo ogni giorno dal basso, che è forse il modo migliore per costruire la pace. Adesso.

Così, nella sezione ReWind si può leggere un’analisi di Paolo Stregia sui nuovi dati sulla cooperazione italiana che, seppure numericamente in calo per le tipologie tradizionali, da quelle “di lavoro” a quelle “sociali”, cresce inaspettatamente per le cooperative di consumo, tanto che l’economista Paolo Venturi, ci legge un segnale “verso un neomutualismo che riprende la spinta propulsiva dal basso, la stessa che aveva portato alla nascita delle prime cooperative”.

Pietro Segata, invece, ha spiegato in un'intervista, come la cooperativa sociale che dirige a Bologna, Società Dolce – 4mila occupati, 104 milioni di fatturato – abbia scelto la via del prestito obbligazionario, bypassando le rigidità del sistema creditizio, per continuare a investire: un’operazione di successo, 4,4 milioni raccolti, che servirà a crescere ancora.

Sempre da Bologna, Antonio Danieli, direttore generale della Fondazione Golinelli, quella che porta il nome del suo iniziatore, il grande filantropo Marino, ha raccontato i progetti per il futuro, dopo la scomparsa, a febbraio, del fondatore. Un futuro fatto di… futuro, e non solo perché la Fondazione finanzia startup innovative, ma anche perché, attraverso le attività sull’educazione e sulla scienza che coinvolgono tanti giovani, il domani è al centro dell’impegno, proprio come Marino Golinelli aveva immaginato.

E di futuro parla anche l’inchiesta di Emilano Moccia sulla nuova primavera dell’agricoltura sociale in Puglia, l’argomento del viaggio di VITA fra i distretti sociali, arrivato così alla 13ma tappa.


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