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Adolescenti in crisi? Ripartiamo dai papà

Nei ragazzi oggi c’è tanta sofferenza e i genitori hanno bisogno di un aiuto per sapere come fare con figli che non escono più di casa, demotivati a scuola, che hanno sempre meno istinto di vita o che al contrario sono aggressivi e violenti. Il progetto Re-Start, nel varesotto, mette a disposizione uno spazio di ascolto, incontro e consulenza per genitori di adolescenti, con un focus specifico: i papà

di Sara De Carli

Il target che hanno scelto è sfidante. I papà. Quelli che nelle riunioni dei genitori, piuttosto che nelle serate a tema educativo, non ci sono (quasi) mai. Un po’ per cultura, un po’ perché le mamme occupano (ingombrano) tutto lo spazio educativo, come se fossero le uniche “che sanno”. Il progetto Re-Start invece selezionato e finanziato dall’impresa sociale Con i Bambini con il Fondo per il contrasto della povertà educativa minorile (bando adolescenza) – ha dedicato un’azione proprio ai papà con figli tra gli 11 e i 18 anni. Il progetto, immaginato in tempi pre-pandemici e partito nell’autunno 2020, coinvolge Varese e i piccoli comuni del suo distretto.

Elena Spello, educatrice professionale Cooperativa Sociale NaturArt ed esperta di formazione degli adulti, per il progetto Re-Start è responsabile dell’azione di sostegno alla genitorialità, che è stata avviata a gennaio 2022, preferendo attendere la possibilità di incontrarsi in presenza: «Abbiamo iniziato a fare azioni di promozione di questa azione dedicata espressamente ai papà. Stanno arrivando le prime timide telefonate. Sta muovendo una certa curiosità, un primo gruppo partirà a breve». I papà, racconta Spello, «sono figure più periferiche rispetto al tema educativo. I ragazzi vivono e crescono dentro una quotidianità caratterizzata da una forte assenza del codice maschile. La figura maschile è assente nella scuola e poco incisiva in famiglia, vuoi perché abbiamo papà che non ci sono fisicamente, vuoi perché spesso quelli che ci sono non incidono perché fanno fatica a declinare il loro ruolo, o perché non sanno reggere la distanza dei figli adolescenti e non potendoli avere vicini mollano tutto. Davanti al fatto che il figlio non risponde ai messaggini, ho visto padri che si offendono e non chiamano più. I papà portano molto questa sofferenza di una mancanza di dialogo con i figli, è il tema che li ferisce di più: vivono molto la fatica di non sapere più come raggiungere i propri figli».

L’analisi della situazione – non vuole essere una verità assoluta, ma una ipotesi da percorrere, peraltro ce lo hanno già detto in tanti, da Massimo Recalcati a Papa Francesco con il suo “il mondo ha bisogno di padri!” – porta a dire che mancano i papà. «Mancano i papà che vengono a parlare con gli educatori. Mancano i papà che partecipano ai percorsi di sostegno alla genitorialità. Mancano gli insegnanti. Mancano gli educatori maschi. I ragazzini di oggi vivono immersi in gineceo. La questione del padre sta diventando centrale», dice Spello. La chiave che hanno scelto, però – e qui sta l’originalità del percorso proposto – non è quella del “problema”. Né quella della lamentazione per la fragilità della figura paterna. «Partiamo dalle risorse: le risorse i papà le hanno ma vanno stanate e tirate fuori in modo diverso, facendo qualcosa di diverso da quello che abbiamo fatto finora», dice Spello. «Quando mi capita di fare consulenza di coppia genitoriali, di solito il padre fatica a prendere parola, perché la mamma straborda. Se c’è un vuoto una donna cosa fa? Dice “lo faccio io”. Ma questo sta creando problemi. La strada che abbiamo scelto di sperimentare quindi è quella di mettere un momento da parte la figura materna e dedicare uno spazio ai padri, con modalità di confronto più maschili, che significa banalmente anche meno centrati sulla parola: la prima cosa che i papà dicono, spesso, è “io non sono bravo a parlare”. Spazi in cui ci sono operatori maschi (ma ci sono anche io, perché è utile avere una voce che faccia da contraltare). Momenti in cui partire non dalla parola ma dal fare qualcosa insieme: una gita, una grigliata, un’esperienza sportiva un po’ particolare…».

Davanti al fatto che il figlio non risponde ai messaggini, ho visto padri che si offendono e non chiamano più. I papà portano molto questa sofferenza di una mancanza di dialogo con i figli, è il tema che li ferisce di più: vivono molto la fatica di non sapere più come raggiungere i propri figli

Elena Spello, educatrice di Re-Start

Si parte con un percorso individuale di due o tre incontri, per mettere a fuoco il proprio bisogno: «Io non so cos’è, ma so che ho bisogno perché non riesco più a raggiungere i miei figli. Dare un nome al problema, spesso fa il 50% della soluzione. Il mio problema è mettere delle regole? È che le provocazioni di mio figlio sono ingestibili per me dal punto di vista emotivo?», esemplifica Spello. La seconda fase consiste nel creare piccolo gruppi con 5 o 6 papà compatibili tra loro, che possono scoprirsi risorsa una per altro. Che si conoscano nel fare esperienze insieme, i papà, un educatore e un pedagogista, magari ad un certo punto coinvolgendo anche papà e figli insieme.

La strada che abbiamo scelto di sperimentare quindi è quella di mettere un momento da parte la figura materna e dedicare uno spazio ai padri, con modalità di confronto più maschili, che significa banalmente anche meno centrati sulla parola: la prima cosa che i papà dicono, spesso, è “io non sono bravo a parlare”. Spazi in cui ci sono operatori maschi. Momenti in cui partire non dalla parola ma dal fare qualcosa insieme: una gita, una grigliata, un’esperienza sportiva…

Elena Spello, educatrice di Re-Start

«Aiutare i papà in questo momento è particolarmente importante, forse più che sostenere le mamme. Se i ragazzi stanno facendo tutto quello che stanno facendo, se abbiamo a che fare con questo tema dell’esplosività che si canalizza in episodi di aggressività sugli altri e su di sé, di violenza, di comportamenti illegali che sono una sfida alla regola, se i ragazzi spostando sempre un po’ più in là il confine delle cose lecite… non possiamo lasciare questo solo alle mamme. Dall’estremo del papà autorevole che abbiamo conosciuto in passato, al mammo che abbiamo visto qualche anno fa… oggi serve trovare la via di mezzo. In questo momento la figura paterna è in evoluzione, c’è da reinventare il modello culturale. I padri di oggi sono un po’ smarriti tra l’essere i padri che hanno avuto loro ed essere gli amiconi che qualcuno ha suggerito. Ma in adolescenza "essere amiconi" è il veleno della salute evolutiva del ragazzo. Per essere un papà amico devi essere bravissimo, un sapiente miscelatore di vicinanza e distanza, regole e autonomia, dare responsabilità e prendere responsabilità. Devi essere un oste molto bravo che mesce il vino giusto al momento giusto»

I temi più gettonati, nei primi incontri con i padri che hanno risposto, sono il rapporto con le regole e con i limiti, tutto quello che ha a che vedere con il virtuale, l’uso del cellulare, il tempo passato ai videogiochi… Poi c’è il tema fragilità dei ragazzi, da una parte quelli che spaccano tutto e quelli che implodono: «Nei ragazzi c’è tanta sofferenza e anche i genitori hanno bisogno di un aiuto per sapere come fare con figli che non escono più di casa, demotivati a scuola, che hanno sempre meno istinto di vita. È come se si spegnesse e i genitori non sanno come custodire quel fuocherello, come soffiare sulla brace per far riaccendere il fuoco. Spesso i genitori vengono con l’aspettativa di “sapere cosa devo fare”, ma la cosa difficile è che la risposta se la devono dare loro, perché i massimi esperti dei loro figli sono loro», conclude Spello.

La comunità in realtà oggi non c’è. Parlare di sviluppo di comunità è anacronistico e frustrante. Diventa interessante però – questa è la nostra sfida – custodire queste comunità. Dobbiamo chinare lo sguardo per capire cosa possiamo fare per custodire le braci, partendo da quello che magari non sta funzionando, ma c’è. Perché se hai braci vive, poi il fuoco può ripartire

Elena Spello, educatrice di Re-Start

È bella la metafora della brace da tenere viva, da custorire. «Mettere insieme i genitori è un modo per provare a tenere acceso questo fuoco. Vale anche per la comunità», dice Spello. «Si parla tanto di sviluppo di comunità, ma forse in questo momento quello a cui possiamo davvero puntare è, più onestamente, la custodia della comunità. La comunità in realtà oggi non c’è. Parlare di sviluppo di comunità è anacronistico e frustrante. Diventa interessante però – questa è la nostra sfida – custodire queste comunità. Dobbiamo chinare lo sguardo per capire cosa possiamo fare per custodire le braci, partendo da quello che magari non sta funzionando, ma c’è. Perché se hai braci vive, poi il fuoco può ripartire».

Re-Start è stato avviato a ottobre 2020 per tre anni con lo scopo di raggiungere oltre 5000 ragazzi e ragazze tra gli 11 e i 18 anni e 500 famiglie nei comuni di Varese e Malnate e del polo di Bodio Lomnago (VA).

Photo by Annie Spratt on Unsplash


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