Politica & Istituzioni

Finalmente il Terzo settore riconosciuto come asset del Paese

Nel recente decreto legge sul coordinamento delle attività di accoglienza degli ucraini la società civile viene infine riconosciuta come protagonista insieme allo Stato della risposta da dare a chi chiede aiuto. Le viene assegnato un compito alla pari, quindi, nel lavorare per il «bene comune»

di Giampaolo Silvestri

Di fronte al numero degli immigrati in arrivo da Est (che potrebbe sfondare il tetto dei centomila) e all’urgenza di garantire accoglienza immediata, sta iniziando in Italia quel cambio di paradigma tanto auspicato nei mesi scorsi: dal recente decreto legge sul coordinamento delle attività di accoglienza degli ucraini la società civile viene infine riconosciuta come protagonista insieme allo Stato della risposta da dare a chi chiede aiuto. Le viene assegnato un compito alla pari, quindi, nel lavorare per il «bene comune».

Merita di essere evidenziato questo passaggio: dalla mendicanza di un posto al tavolo delle decisioni (che ha spesso caratterizzato le prese di posizione del terzo settore) siamo giunti al riconoscimento del suo essere un asset fondamentale per il nostro Paese in questo momento. Con anche l’assegnazione di risorse adeguate.

Per gli enti del terzo settore, percepiti fin qui o come «i buoni» o come «i supplenti» per quelle mansioni che lo Stato non era in grado di assumersi, qualcosa cambia: il governo — e qui non si può non riconoscere il ruolo fondamentale del ministero del Lavoro e delle Politiche sociali — sostiene e finanzia per una percentuale di circa il 20% l’accoglienza dei profughi ucraini, curata da realtà territoriali, famiglie e piccole associazioni, che siano capaci di fare rete, e riconosce loro una capacità (leggi anche dignità e affidabilità) pari a quella dei Cas.

E c’è di più: se prima si prolungavano i dibattiti su che cosa sia co-progettazione, come praticarla e superare le diffidenze rispetto alle forme più rassicuranti (come i bandi pubblici), la guerra ha accelerato il processo e costretto a riconoscere la realtà per quello che è. Nel nostro Paese esiste un’offerta diffusa di solidarietà, che va governata e coordinata, ma c’è ed è una risorsa.

Non sono più solo i soggetti consolidati (come Caritas e Arci, per citarne solo due) a diventare destinatari delle risorse dello Stato per i servizi di ospitalità temporanea, ma ci si apre a riconoscere che esiste un tessuto di famiglie e realtà territoriali — società civile pura — in grado di collaborare con lo Stato.

Possiamo leggere questo nuovo processo come una co-programmazione — quella prevista dalla legge quale strumento di rapporto tra pubblico e privato sociale — che infine si attua.

È il segno dell’inizio di una stagione nuova: certo si potrà aggiustare, si potranno ….

* Segretario generale di Avsi

(Nella foto il responsabile della Protezione civile Fabrizio Curcio con una famiglia di profughi ucraini)

L'articolo integrale su corriere.it


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