Welfare & Lavoro

Per i ragazzi senza cittadinanza italiana l’attività sportiva è una corsa a ostacoli

È quanto emerge dal rapporto “Sport e cittadinanza. Norme, pratiche e ostacoli” di ActionAid che evidenzia le troppe disparità ancora esistenti tra minori italiani e stranieri rese ancora più evidenti dal provvedimento d’urgenza della Figc che a marzo ha dato possibilità di tesserarsi fin da subito ai giovanissimi provenienti dall’Ucraina. Il progetto Dialect della ong ha evidenziato il ruolo che la pratica sportiva ricopre nella costruzione di una società più inclusiva

di Redazione

I minori provenienti dall’Ucraina dallo scorso 10 marzo hanno la possibilità di essere tesserati nelle società dilettantistiche fino alla fine dell’attuale stagione sportiva. A stabilirlo un atto d’urgenza della Figc dello scorso 10 marzo, un provvedimento che ha fatto seguito alle numerose iniziative messe in campo dal calcio italiano come segno di vicinanza concreta al popolo ucraino, così duramente colpito dal conflitto in atto. Tuttavia, l’eccezionalità dell’iniziativa ha messo ancor più in evidenza le disparità esistenti tra minori italiani e stranieri nell’accesso all’attività sportiva. È quanto emerge dal rapporto di ActionAid “Sport e cittadinanza. Norme, pratiche e ostacoli” (in allegato in fondo).

«Le regole dello sport, come quelle di qualsiasi altro ordinamento, possono connotarsi per essere inclusive o fautrici di nuove esclusioni e differenze. Nonostante i passi in avanti fatti negli ultimi anni, il cammino è ancora lungo. Il mondo dello sport, professionistico e dilettantistico, insieme a quello dell’attivismo sociale, della politica e delle istituzioni ha il dovere di ragionare su tali questioni affrontandone le problematiche collegate. Lo sport non dovrebbe concedersi di perdere la sua partita più importante: essere il luogo dell’inclusione di tutte le persone. È necessario quindi garantire la possibilità di accedere alla pratica sportiva per tutti, indipendentemente da origine o status giuridico», afferma Daniela Capalbo, referente ActionAid per la Campania.

Il cosiddetto Ius soli sportivo (legge 12/2016) e lo Ius Culturae sportivo (art.1 co. 369 della Legge di Bilancio 2018), pur basandosi sull’idea di sport come strumento di inclusione hanno finito per produrre ulteriori discriminazioni, amplificando la vulnerabilità dei giovani under 18 senza cittadinanza. Lo Ius soli sportivo prevede che i minorenni che non sono cittadini italiani ma che risiedono regolarmente nel nostro territorio almeno dal compimento del decimo anno di età possano essere tesserati presso le società sportive con le stesse procedure previste per i cittadini italiani. Prima di questa legge, soltanto la Federazione italiana hockey e la Federazione pugilistica italiana avevano adottato disposizioni per equiparare gli atleti. La limitazione al compimento dei dieci anni determina però disparità di trattamento: è il caso, ad esempio, di un minore entrato sul territorio nazionale all’undicesimo o dodicesimo anno di età che si ritrova quindi escluso dai benefici della legge.
Un’altra criticità è la questione della “residenza regolare”: anche se il testo non menziona espressamente di che tipo di residenza si tratti, l’aggettivo regolare sembra far riferimento proprio alla residenza anagrafica. Un tema particolarmente spinoso per gli stranieri, perché il suo possesso è legato principalmente alla titolarità del permesso di soggiorno.

Ad affiancare lo Ius soli sportivo e a coprirne parzialmente i limiti è intervenuto lo Ius culturae sportivo che stabilisce che i minori cittadini di Paesi non appartenenti all’Unione Europea, anche non in regola con le norme relative all’ingresso e al soggiorno, possono essere tesserati purché siano iscritti da almeno un anno a una qualsiasi classe dell’ordinamento scolastico italiano. Tuttavia, lo Ius culturae sportivo continua a non essere applicato in tutta la sua portata dato che in molti casi ancora non si consente il tesseramento di figli di genitori irregolarmente presenti sul territorio italiano o che hanno difficoltà a ottenere il certificato di residenza anagrafica.

L’esperienza di Dialect – “Disrupting Polarization: Building Communities of Tolerance throught Football” ha evidenziato il ruolo che la pratica sportiva ricopre nella costruzione di una società più inclusiva. Il progetto, finanziato dal Programma Rights Equality and Citizenship (REC) dell’Unione Europea, si è svolto tra gennaio 2020 e marzo 2022 in 4 Paesi europei (Grecia, Italia, Serbia e Ungheria) con il contributo di una rete di partner, tra cui ActionAid Hellas, il Centro di Ricerca Sociale Nazionale Ekke, ActionAid Italia, Street Football World, Oltalom, Football Friends e Melissa Network.

In Italia Dialect è stato realizzato nell’area metropolitana di Napoli, dove ActionAid svolge numerosi interventi volti alla promozione del diritto alla cittadinanza inclusiva, e ha coinvolto 8 associazioni, rappresentanti istituzionali, famiglie e 150 adolescenti. Nella fase iniziale di ricerca sono state indagate le correlazioni tra calcio e politica, prestando particolare attenzione alla strumentalizzazione dello sport messa in atto da gruppi xenofobi e razzisti, nel tentativo di diffondere discorsi di esclusione e discriminazione tra i giovani.
Una seconda fase, di capacity building, ha previsto la formazione di giovani con background multietnico nel ruolo di mediatori, rafforzandone la capacità di contrastare l’insorgere di atteggiamenti intolleranti e discriminatori. La figura dei mediatori è centrale nel Football3, una metodologia di gioco ispirata al calcio di strada che ha come pilastri l’autorganizzazione e l’autogestione da parte degli adolescenti e che è stata utilizzata nella terza fase del progetto, con la realizzazione di un vero e proprio torneo metropolitano durato complessivamente sei mesi.

In apertura immagine dalla copertina del Report di ActionAid (in allegato)


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