Sezioni

Attivismo civico & Terzo settore Cooperazione & Relazioni internazionali Economia & Impresa sociale  Education & Scuola Famiglia & Minori Leggi & Norme Media, Arte, Cultura Politica & Istituzioni Sanità & Ricerca Solidarietà & Volontariato Sostenibilità sociale e ambientale Welfare & Lavoro

Attivismo civico & Terzo settore

Limonta: «Nessuna famiglia si deve sentire sola davanti alle difficoltà»

Classe 1958, maestro elementare, Paolo Limonta - il nuovo presidente del Ciai - si presenta: «Ho imparato in famiglia che non non bisogna mai girare la faccia dall'altra parte o essere indifferenti. Il Ciai è la mia seconda casa da quando ho adottato Raul. Ogni bambino per noi è come un figlio e lavoriamo perché tutti i bambini, in tutto il mondo, abbiano tutti i diritti e la felicità»

di Sara De Carli

Lo scorso 25 aprile, Paolo Limonta è stato eletto presidente del Ciai, il Centro Italiano Aiuti all’Infanzia, nata nel 1968 come associazione di famiglie "pioniere" dell'adozione internazionale. Ecco come si presenta il nuovo presidente, che succede ai due mandati di Paola Crestani.

Paolo, può presentarsi?
Sono nato a Monza il 13 giugno 1958 da una famiglia molto attiva nel sociale, mio nonno materno e mio papà sono stati partigiani nelle Brigate Garibaldi, mia mamma – che aveva 11 anni durante la guerra – poi si è messa subito al lavoro con Anpi. Lo dico anche perché mi piace molto il fatto di essere stato eletto presidente del Ciai il 25 aprile. Sono cresciuto in mezzo a persone che mi hanno insegnato da subito l'importanza della democrazia, del prendere posizione, del fatto che non bisogna mai girare la faccia dall'altra parte e non bisogna mai essere indifferenti. Nella vita ho fatto tante cose, il dirigente sindacale, il direttore organizzativo del Teatro Litta e della Scuola d’arte drammatica. Dal 1996 sono diventato insegnante di ruolo: sono maestro elementare, da tre anni sono alla scuola del Parco Trotter a Milano, una professione che non ho mai interrotto neanche quando sono stato assessore del Comune di Milano con Beppe Sala. Al primo posto per me sono sempre venute le bambine e i bambini: quelli della mia scuola e tutti quelli che ho avuto occasione di incontrare e frequentare. Loro sono i perfetti compagni di viaggio per crescere bene e crescere meglio.

Com’è entrato il Ciai nella sua vita?
Collaboro con Ciai da quando io e Barbara abbiamo adottato con loro mio figlio Raul, nel 2001. Lui aveva 6 anni e mezzo, siamo partiti per l’India in due – io e mia moglie – e siamo tornati in tre. È stato un coinvolgimento sempre più attivo, sono entrato nel Consiglio direttivo 10/11 anni fa e adesso sono molto felice di essere stato eletto presidente. Tutti quelli che adottano sono profondamente legati alla realtà che gli ha consentito di fare questo percorso. Nella mia mente ho ancora impressa la prima volta che io e Barbara abbiamo visto una foto tessera di Raul, con la sua faccina di bimbo piccolissimo, e poi il giorno in cui mi hanno telefonato e detto che potevo andare in agenzia a prendere i biglietti aerei, che la settimana dopo saremmo partiti. Per tutta la settimana successiva ci siamo interrogati su cosa sarebbe successo in quel primo incontro: io ho un rapporto speciale con i bambini, dopo pochissimi minuti di solito si affidano, ma io avevo paura che con Raul invece non sarebbe successo. Poi invece siamo scesi dal taxi che ci aveva portato alla comunità, Raul era affacciato a una finestra al piano terra, è saltato fuori dalla finestra, mi è volato in braccio e mi ha detto “Hallo daddy”. Scusa, ma mi metto a piangere ogni volta che lo racconto… Da quell’istante il Ciai è diventato per me una seconda casa.

Io ho un rapporto speciale con i bambini, dopo pochissimi minuti di solito si affidano, ma avevo paura che con Raul non sarebbe successo. Poi invece siamo scesi dal taxi che ci aveva portato alla comunità, Raul era affacciato a una finestra al piano terra, è saltato fuori dalla finestra, mi è volato in braccio e mi ha detto “Hallo daddy”. Mi metto a piangere ogni volta che lo racconto… Da quell’istante il Ciai è diventato per me una seconda casa.

Paolo Limonta

Da presidente, quali sono i suoi primi obiettivi?
Intanto confermo che l'obiettivo principale del Ciai, che con tenacia e intransigenza vogliamo perseguire, è sempre lo stesso: che tutte le bambine e tutti i bambini possano essere felici… Per il Ciai ogni bambino è come un figlio e cosa vogliono i genitori per i figli? La felicità. Su questo continuerò il lavoro di Paola (Crestani, la presidente uscente, ndr) con la determinazione, il cuore e la passione di sempre. Lavorare ogni giorno per il benessere e la felicità delle bambine e dei bambini, delle ragazze e dei ragazzi significa esigere che vengano rispettati pienamente tutti i diritti di tutti i bambini del mondo, senza nessuna distinzione. Questa è la linea che il Ciai ha avuto e continuerà ad avere e a cui si atterranno tutti i progetti di intervento che continueremo a fare, primi tra tutti quelli avviati sulla povertà e sulla povertà educativa. Io divento presidente dopo due anni di pandemia, un periodo in cui si è dimostrato ampiamente che i diritti dei bambini non vengono al primo posto negli interventi del nostro Paese, dalla chiusura delle scuole in giù. E anche oggi che siamo alla fine dell’emergenza non si ritiene che dobbiamo risarcire i bambini e i ragazzi di tutto quello che la pandemia gli ha tolto. Io invece ho ben chiari i volti di alcuni ragazzi, una ragazza di 16 anni in particolare, che dicono “tutto vero, capisco tutto, ma questi due anni che ci sono stati tolti, a noi chi ce li ridà?”. Sappiamo tutti che due anni a 16 anni sono una cosa ben diversa che due anni alla nostra età.

Sicuramente la mia presidenza non sarà individuale ma collettiva, non solo con lo splendido direttivo che è stato eletto ma insieme a tutte le donne e gli uomini che lavorano in Ciai e a tutte le famiglie che hanno adottato e alle persone che ci sostengono.

Paolo Limonta

Punto due?
Il lavoro sul territorio. Una delle prime cose che farò, quest’estate, sarà girare per l'Italia dove abbiamo sedi e gruppi che ci sostengono, perché è importante stare sul territorio, vedere in faccia le persone dopo due anni in cui ci siamo visti sugli schermi. L’assemblea del Ciai anche per questo è stata bellissima e ha dimostrato tutta la voglia che c’è di tornare a vedersi. Le famiglie sono venute, hanno manifestato ampiamente il desiderio di lavorare con Ciai per migliorare la situazione non solo dei loro figli ma di tutti i bambini e ragazzi del mondo: è questo il cuore del Ciai. Spero di essere un buon presidente, sicuramente la mia presidenza non sarà mai individuale ma collettiva, non solo con lo splendido direttivo che è stato eletto ma insieme a tutte le donne e gli uomini che lavorano in Ciai e a tutte le famiglie che hanno adottato e alle persone che ci sostengono.

E rispetto alle adozioni internazionali, che continuano a vivendo un momento difficile?
Noi continuiamo ad essere una associazione che si occupa di adozione internazionale e che vive e gestisce l’adozione internazionale in maniera seria, professionale, partecipata. Ciai continuerà a proporsi come un'associazione che accompagna la famiglia non solo verso l’adozione ma anche dopo aver adottato, continuiamo nel lavoro che abbiamo sempre fatto di dare sostegno psicologico prima, durante e dopo l’arrivo dei figli proprio perché sappiamo quanto sia di fondamentale importanza il non lasciare soli i nuovi genitori ed essere al loro fianco per affrontare tutte le problematicità e le questioni nuove che si presentano. Per esempio in questo periodo abbiamo lavorato tantissimo con i genitori i cui figli sono arrivati in Italia in piena pandemia e si sono ritrovati chiusi in casa. Ciai c’è e ci sarà sempre perché nessuna famiglia si deve mai sentire sola di fronte alle difficoltà da affrontare.


Qualsiasi donazione, piccola o grande, è
fondamentale per supportare il lavoro di VITA