Welfare & Lavoro

Giovanna, Benita, Maria e le altre: l’invecchiamento condiviso

A Pozzuolo del Friuli, pochi chilometri da Udine, c'è una residenza in cui le ospiti vivono in un'abitazione condivisa, trascorrendo in modo attivo e serene questa fase della loro vita, grazie al supporto di assistenti familiari, infermieri e animatori. Un'alleanza fra associazioni di promozione sociale e cooperative. Un modello chiamato "Cjase me"

di Veronica Rossi

Giovanna ha 101 anni. Siede vicino al balcone, godendosi i raggi caldi del sole di maggio. Ha avuto una vita difficile, ha sempre lavorato molto; ora riposa. Accanto a lei, sul divano, c’è Benita, quasi novantanovenne; non si è mai sposata e dice che è stato meglio così: aveva il canto e i bambini a cui faceva catechismo. Le due donne parlano tra loro, si punzecchiano: si sono appena svegliate dal sonnellino pomeridiano e aspettano la merenda, una tazza di tè con una torta alle nocciole. Dopo poco si alza anche Maria, 89 anni, che sta un po’ nel salottino prima di scendere le scale e andare a sedersi a un tavolo, in un giardino fiorito. Le tre signore sono inquiline della casa gestita dall’associazione di promozione sociale “Cjase me”, a Pozzuolo del Friuli, a pochi chilometri da Udine.

Il sodalizio, di cui fanno parte anche i residenti e i loro familiari, è nato dalla collaborazione tra la cooperativa pordenonese Itaca, attiva su tutto il territorio regionale, e l’associazione Vicini di casa, che si occupa di favorire l’accesso all’abitare per persone italiane e straniere. Questa residenza per anziani è unica nel suo genere: il suo obiettivo è offrire alternative possibili a chi non può più vivere da solo nel proprio domicilio, ma che ancora non necessita di assistenza ad alta intensità. “Si tratta di un ambiente speciale”, racconta la coordinatrice, Francesca Bettini, “in cui la vita delle utenti può continuare come se fossero in famiglia; possono uscire, andare a fare la spesa o bersi un caffè al bar. Si tratta quasi di una sorellanza, una convivenza come nelle corti friulane di una volta”.

Le ospiti della struttura – otto, al momento, su dieci posti disponibili – hanno ad accomunarle non solo l’età, ma anche i ricordi, la lingua o il dialetto, le esperienze di vita condivise. Parlare e discutere tra loro le mantiene attive, vitali. “Cucinare o riassettare non gli va più”, continua Bettini, “dopo averlo fatto per decenni. Adesso vogliono essere un po’ coccolate e va bene così”. Il personale di Cjase me è meno sanitarizzato rispetto a quello delle case di riposo tradizionali, anche se ugualmente professionale. Oltre alla coordinatrice, ci sono alcune assistenti familiari assunte dall’associazione di promozione sociale. La cooperativa Itaca, invece, si occupa di offrire la locazione della casa – di sua proprietà – e di fornire alcuni servizi, come l’animazione e il supporto infermieristico. “L'abitazione è gestita dalle residenti, con l’ausilio di noi operatrici; dopo un po’ si crea una relazione stretta, personale”, chiosa la responsabile. “Finiamo per diventare delle specie di figlie adottive per queste signore, siamo molto affettuose”. Il rapporto uno a uno con una badante, a casa, può essere difficile; nell’appartamento invece una persona assiste più donne.

Dopo la merenda, Benita chiacchiera seduta in giardino con due visitatrici, venute a trovarla. Un’altra ospite saluta il figlio, passato, come ogni giorno, a farle una puntura. “Un’altra differenza con le case di riposo”, dice Bettini, “è che qui i parenti si sentono rassicurati perché c’è del personale competente a seguire i loro cari, ma continuano a rivestire un ruolo fondamentale, possono passare quando vogliono”. Durante le fasi acute dell’epidemia di Covid-19 la struttura ha dovuto interrompere la possibilità di uscire o di accogliere persone in visita, ma il periodo di confinamento non è stato vissuto male come in altri luoghi. “Sembra di essere in un microcosmo”, afferma la coordinatrice. “Certo, il pensiero di non poter vedere nessuno ha messo tutte alla prova e ha causato un po’ di malinconia, ma siamo state bene, loro si sono unite ancora di più, perché dovevano bastarsi; siamo state sicuramente fortunate, però, perché qui il virus non è arrivato”.

Nel corso della pandemia è entrato per due mesi anche l’unico ospite maschio, una persona relativamente giovane – non aveva nemmeno 70 anni – che doveva riprendersi dal Covid-19, per cui era stato anche ricoverato in ospedale. "Quella di avere solo donne non è stata una scelta consapevole”, spiega la responsabile. “È capitato e abbiamo continuato così. Non mi dispiacerebbe inserire anche degli uomini, perché l’esperienza che abbiamo avuto è stata positiva, ma dobbiamo ragionare e farlo con criterio: c’è tutta una questione legata, per esempio, ai bagni e agli spazi personali che va considerata”.

Nella casa c’è un po’ di fermento: da poco c’è stato un nuovo ingresso. “È sempre così”, sorride Bettini, “i primi tempi c’è sempre agitazione, perché è un investimento emotivo, qua c’è contatto, c’è un rapporto stretto: bisogna cercare di capire se si starà bene insieme”. Chi doveva entrare a Cjase me, fino a poco fa, era valutato dalle operatrici. Ora, però, le ammissioni stanno diventando più strutturate. L’esperienza, infatti, è stata accettata come progettualità dell’”Abitare possibile” e della “Domiciliarità innovativa” della Regione Friuli Venezia Giulia; le rette – ora attorno ai 1.800 euro – saranno quindi abbattute in base all’Isee e al livello di bisogno assistenziale sia per le attuali ospiti sia per le persone che entreranno in futuro nella residenza, ma sarà necessario un passaggio coi servizi sociali. Ma non solo: le residenti potranno beneficiare anche del Fondo per l’autonomia possibile – Fap, e gli altri aiuti economici a cui potrebbero accedere se abitassero da sole. “Finalmente anche i figli e i parenti potranno tirare un respiro di sollievo, dopo tanti sacrifici”, commenta la coordinatrice, “ma spero che questo posto non venga snaturato”.

Nell’abitazione si svolgono delle attività, per favorire un invecchiamento attivo. Benita è fiera: è lei che chiama i numeri della tombola. Ma non se si gioca per soldi, dice. Quando, una volta alla settimana, entra l’animatrice, le signore si dedicano al disegno, al cucito o alla ginnastica dolce. “Basta che non siano occupazioni troppo infantilizzanti”, afferma Bettini, “perché si tratta di persone adulte, ancora consapevoli. C’è anche chi non vuole far nulla e sta solo a guardare: anche quella è partecipazione”. A breve la struttura ricomincerà ad aprirsi al territorio: le uscite e gli incontri con le scuole, infatti, hanno subito uno stop dovuto alla pandemia. Ora, però, fervono già i preparativi per le nuove collaborazioni, dal corso di cucina “di una volta” agli incontri con i bambini.

In questi mesi Cjase me, esperienza pilota nel suo campo, sta attirando tanta attenzione e comincia a ricevere moltissime richieste. “Vogliamo mantenere i numeri bassi, per dare alle utenti tutte le attenzioni di cui hanno bisogno”, conclude la responsabile. “Ci auguriamo di poter essere d’esempio in modo che nascano altre realtà simili, perché costituiscano un’alternativa alle case di riposo tradizionali, non per sostituirle ma per affiancarle”.


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