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Welfare & Lavoro

Social workers cercasi disperatamente

I bisogni di anziani e non autosufficienti, le fragilità degli adolescenti, le necessità dei profughi, la vulnerabilità delle comunità: mai come in questo momento il lavoro sociale è essenziale. Viaggio nel Paese che vede crescere i bisogni e sparire gli operatori, gli educatori e gli assistenti sociali. Una rotta da invertire subito

di Sabina Pignataro

Educatori, infermieri, psicologi, operatori socio sanitari, badanti, assistenti sociali. Mai come in questo momento il lavoro sociale è essenziale in ogni sua forma. La pandemia e il conflitto in Ucraina hanno ricordato che l’esperienza della vulnerabilità, temporanea o continuativa, è pervasiva. Come conseguenza, ovunque si registrano richieste di professionisti che si dedichino al lavoro di cura. Richieste che però restano insoddisfatte. Perché? Il numero chiuso di molte facoltà non aiuta, la bassa retribuzione nemmeno, così come lo scarso riconoscimento sociale. E poi questo forse è l’elemento più sottovalutato il lavoro di cura è fatica. Fisica, certo, ma anche psicologica: per dedicarsi ai più fragili, per gestire l’urto del disagio, il malessere, le competenze acquisite sui libri non bastano. E nemmeno le braccia. Servono cuore, coraggio, pazienza, la capacità di rimanere concentrati, in ascolto, di fare bene. «Badare è un verbo particolare, che sta a metà tra lavorare e amare» dice l’antropologo Francesco Vietti. «Prima che operatori bisogna essere uomini e donne, essere umani», osserva lo psicologo Simone Feder.

L’emergenza demografica: anziani e non autosufficienti

Partiamo dalla non autosufficienza, la priorità di oggi e di domani. «In questi servizi mancano anzitutto infermieri», evidenzia Franco Massi, presidente di Uneba, l’associazione che riunisce le Residenze sanitarie assistenziali Rsa non profit. «Le università ne preparano troppi pochi. Come evidenzia il professor Angelo Mastrillo dell’Università di Bologna, dal 2001 al 2021, a fronte di un fabbisogno di 410mila infermieri, i corsi di laurea di Infermieristica hanno messo a disposizione 309mila posti. In pratica, 100mila infermieri in meno in vent’anni». In futuro la coperta sarà ancora più corta. «Per la nuova figura dell’infermiere di comunità è previsto un infermiere ogni 3mila abitanti, significa che servono quasi 20mila nuovi infermieri. Inoltre si prevede una casa di comunità ogni 50mila abitanti, ognuna con 7-11 infermieri, per 10mila posti. In totale, si crea il bisogno di 30mila nuovi infermieri, mentre già non ce ne sono abbastanza per i servizi esistenti».

Uneba Lombardia si è attivata per reclutare infermieri direttamente in America del Sud. Un altro nodo è la carenza di operatori sociosanitari (Oss): prima i corsi per formarli sono stati troppo pochi rispetto alle necessità e ora che i corsi ci sono la partecipazione è ridotta. Il lavoro dell’Oss è particolarmente impegnativo per mansioni e per orari e lo stipendio è basso. È un ambito, spiega ancora Massi, che «patisce una scarsa valorizzazione del lavoro di cura. Servirebbe una fiction di successo con George Clooney che lavora in una Rsa o nell’assistenza domiciliare».
Le cose non vanno meglio se guardiamo al lavoro domestico. Nel 2020, l’Inps ha censito circa 920mila rapporti di lavoro domestico regolari: 480mila colf e 437mila badanti, per il 70% di origine straniera. «Oltre al fatto che la forza lavoro sia insufficiente a rispondere alla crescente esigenza di assistenza in casa, registriamo un’altra criticità: il personale è sempre più vecchio» commenta Andrea Zini, presidente di Assindatcolf, Associazione nazionale dei datori di lavoro domestico. «La metà dei lavoratori impiegati ha più di cinquant’anni. Nei prossimi anni saranno in pensione o in età pensionabile. La presenza di colf, badanti e baby sitter under30 è calata del 61%». Chi lavorerà nelle nostre case?

Nuove competenze per nuove emergenze

Secondo Giuseppe Di Rienzo, responsabile progetti Italia di Fondazione L’Albero della Vita, «con lo scoppio della guerra in Ucraina, in Italia, servirebbero almeno 5mila mediatori culturali». Per esercitare al meglio questa professione, però, «non è sufficiente conoscere bene le lingue, né avere una laurea breve in mediazione culturale. Purtroppo fatichiamo a selezionare professionisti che abbiamo entrambe queste competenze. La normativa non è chiara, ad esempio non è certo quale sia l’inquadramento professionale più adatto, e tutto questo non aiuta».

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Nella foto di apertura, un’operatrice di Sacra Famiglia con alcune ospiti della Rsa Borsieri di Lecco. Foto di Stefano Pedrelli


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