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L’Italia disuguale dei working poor: giovani, donne e stranieri

Al via oggi a Firenze la prima edizione dell’Oxfam Festival con la presentazione del Report “DisuguItalia: ridare valore, potere e dignità al lavoro”. Una fotografia della precarietà che sta caratterizzando il nostro Paese da un quindicennio. Il documento si chiude con una serie di raccomandazioni per invertire la rotta e colmare i ritardi del mercato del lavoro italiano

di Antonietta Nembri

No, non è tutta colpa della pandemia se in Italia la cifra del lavoro è la precarietà. Già prima del 2020 un lavoratore su 8 era in povertà lavorativa, basti pensare che già nel 2019 l’11,8% dei lavoratori italiani era a rischio di povertà, oltre 2,5 punti percentuali sopra la media europea. I working poor infatti sono passati dal 10,3% al 13,2% della forza lavoro di riferimento tra il 2006 e il 2017. Sono questi alcuni dei dati che fotografano la situazione dell’Italia lavorativa caratterizzata da forti e crescenti disuguaglianze, sfruttamento e insicurezza contenuti nel rapporto “Disuguitalia:ridare valore, potere e dignità al lavoro” che viene presentato oggi all’Oxfam Festival, in corso a Firenze fino venerdì 13 maggio.

Il report denuncia la situazione drammatica che vivono milioni di lavoratori e lavoratrici: quasi un lavoratore su 5 percepiva nel 2017 una retribuzione bassa con il rischio più elevato per gli occupati in regime di part-time. Si conferma la più forte vulnerabilità delle donne: il lavoro povero è più diffuso nel segmento femminile della forza lavoro con la quota delle lavoratrici con bassa retribuzione attestatasi al 27,8% nel 2017 a fronte del 16,5% tra i lavoratori uomini. Insomma una crisi che viene da lontano e sulla quale si è abbattuta la pandemia con tutte le sue conseguenze nel mondo del lavoro che sono andate a colpire in modo più negativo i segmenti più vulnerabili della forza lavoro: giovani, donne e lavoratori stranieri.
I lavoratori più giovani (tra i 15 e i 34 anni di età) hanno registrato il calo occupazionale più marcato nelle prime fasi della crisi, ma hanno anche “trascinato” la crescita occupazionale – trainata dal lavoro precario, a termine – nel primo semestre del 2021: il tasso di occupazione giovanile è tornato ai livelli pre-crisi già a fine giugno dello scorso anno, si sottolinea nel report. Un discorso diverso vale invece per le donne che si sono ritrovate nell’epicentro della crisi pandemica: il primo anno della pandemia si è meritato il triste appellativo di shecession o recessione al femminile. Ma la crisi da Covid-19 ha solo accentuato l’esclusione lavorativa delle donne dal momento che le disparità di genere sul mercato del lavoro nazionale sono strutturali. Il tasso di occupazione femminile si è mantenuto al di sotto del 50% (ad eccezione del 2019 e del 2021) da oltre trent’anni. Un tasso fermo al 33% tra le donne giovani e al Mezzogiorno.


«Sulle disuguaglianze reddituali di genere in Italia pesa certamente la struttura occupazionale e la segregazione delle donne nel mercato del lavoro. Quella verticale – che evidenzia l’esistenza di un vero e proprio “soffitto di cristallo”, un’immagine che ben descrive la più facile ascesa degli uomini verso posizioni apicali e gli ostacoli al percorso di carriera delle donne» commenta Linda Laura Sabbadini direttrice del Dipartimento per lo sviluppo di metodi e tecnologie per la produzione e diffusione dell’informazione statistica dell’Istat. Che aggiunge, nel suo intervento all’interno del report: «Sul gender pay gap incide anche la rigida segregazione orizzontale, riconducibile a stereotipi sociali di genere che perimetrano le “occupazioni femminili” e contribuiscono alla sovra-rappresentazione delle donne in specifici settori dell’economia, mansioni e professioni, generalmente a bassa retribuzione».

Misha Maslennikov, policy advisor di Oxfam nel commentare i dati sottolinea come non ci sia da gioire se ora il tasso di occupazione femminile è tornato ai dati pre-pandemia dal momento che lo status quo ovvero il 50% di tasso di occupazione femminile continua a essere ben al di sotto della media europea «le cause strutturali permangono. Nelle nostre raccomandazioni cerchiamo di capire se le scelte di policy del Pnrr per ridurre le disuguaglianze possono essere efficaci». Riferendosi al vincolo di destinare ai giovani sotto i 36 anni e alle donne almeno il 30% dell’occupazione aggiuntiva oltre alla necessità di limitare le deroghe sottolinea come uno dei problemi sia riferito alla «qualità dell’occupazione e alle mansioni, il soffitto di cristallo va sfondato anche durante il percorso aspirazionale dal momento che gli stereotipi di genere persistono nella formazione». Per non parlare della cornice generale «se non si investe a lungo termine nel welfare le donne vengono lasciate indietro, da una parte perché la cura ricade sulla famiglia e quindi su di loro e dall’altra perché il non investimento non permette di creare posti di lavoro a cui le donne guardano».

Accanto ai numeri il report presenta anche un’indagine qualitativa condotta tra novembre e dicembre 2021 tra gli operatori dei community center di Torino, Milano, Bologna, Empoli, Prato, Firenze, Campi Bisenzio, Arezzo, Napoli e Catania. Centri gestiti da Oxfam con partner locali e la Diaconia Valdese con le testimonianze e i racconti di esperienze deli operatori sul campo. «La ripartenza del 2021 ha visto una maggiore propensione, rispetto al periodo pre-pandemico, dell’utenza dei nostri centri ad accettare qualsiasi lavoro. Prevalgono occupazioni deboli e saltuarie: riscontriamo con maggior frequenza casi di concatenazione di impieghi di breve durata e di sovrapposizione di più contratti intermittenti. Non mancano le irregolarità – da lavoro nero a diverse fattispecie di lavoro grigio – e gli abusi subiti da soggetti più fragili e più facilmente ricattabili, in posizione di debolezza rispetto ai datori di lavoro o scarsamente consapevoli dei propri diritti”, commenta Roberto Barbieri, direttore generale di Oxfam Italia.

Il report e le raccomandazioni di policy di Oxfam sono al centro dell’incontro che ha inaugurato l’Oxfam Festival con il ministro del Lavoro e delle Politiche Sociali Andrea Orlando, esperti quali la direttrice centrale dell’Istat Linda Laura Sabbadini, l’economista Vittorio Pelligra (un suo intervento sul senso del lavoro è sul numero di maggio di Vita-ndr) e il demografo Alessandro Rosina, la vice segretaria generale della Cgil, Gianna Fracassi, Gianluca Barbanotti, segretario esecutivo della Diaconia Valdese, Nadin Hammani, socio fondatore di Robin Hood, Yvan Sagnet, Fondatore dell'Associazione No Cap.

«Il lavoro, pilastro fondativo del nostro patto di cittadinanza, rappresenta la base per la dignità e la libertà dell’individuo. Con il proprio lavoro ognuno è chiamato a concorrere al progresso materiale e spirituale della società», commenta Barbieri. «Oggi però il lavoro è troppo spesso leso nella sua dignità, per troppe persone non basta a soddisfare i bisogni del proprio nucleo familiare e avere prospettive di un futuro dignitoso. Il dettato costituzionale rischia di subire una pericolosa rilettura con la povertà lavorativa assurta nei fatti a fondamento della Repubblica». Barbieri osserva anche che: «La strategia competitiva di molte imprese si basa cronicamente sulla compressione del costo del lavoro, favorita dalle politiche di flessibilizzazione che hanno visto la moltiplicazione delle tipologie contrattuali atipiche e una progressiva riduzione dei vincoli per i datori di lavoro ad assumere lavoratori con contratti a termine o a esternalizzare attività o parti del ciclo produttivo. La proliferazione dei contratti collettivi nazionali di lavoro (Ccnl) riduce, inoltre, la capacità della contrattazione di garantire minimi salariali adeguati».

Tra le raccomandazioni di Oxfam per cercare di colmare gli storici ritardi accumulati vi è una limitazione dell’uso delle deroghe da parte delle strutture appaltanti che struttureranno i bandi del Pnrr; garantire un robusto monitoraggio del rispetto della clausola occupazionale prevedendo flag specifici per le nuove assunzioni da parte degli aggiudicatori dei bandi del Pnrr e del Pnc-Piano nazionale degli investimenti complementari all’interno del sistema delle comunicazioni obbligatorie; disincentivare l’utilizzo dei contratti a termine, con previsione di causali stringenti e circoscritte e introdurre limitazioni all’esternalizzazione del lavoro mediante appalti a imprese multi servizi.
Tra le raccomandazioni spicca poi quella relativa all’introduzione del salario minimo legale, per colmare gli ambiti di attività non coperti dai contratti collettivi e rafforzare il potere negoziale dei lavoratori autonomi che condividono alcune caratteristiche con i lavoratori subordinati. Per stabilire la definizione della retribuzione da assumere come soglia e l’ammontare della soglia stessa -viene precisato -, è necessaria l’istituzione di un organo collegiale (con rappresentanza paritetica delle parti sociali), titolare anche della verifica e della definizione di criteri di aggiornamento periodico dell’ammontare della misura da attuare tenendo conto della congiuntura economica, dell’andamento dei salari contrattuali e dell’evoluzione del sistema tax-benefit.

IN apertura foto di Kay Pilger/Unsplash


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