Welfare & Lavoro

Moratti: “Valorizzare i lavoratori sociali si deve. Investendo di più”

La vicepresidente di Regione Lombardia, intervistata sulla crisi del lavoro di cura, dice no alle gare al massimo ribasso nei servizi pubblici ma anche che serve una svolta culturale: pubblico, profit e non profit lavorino di più assieme

di Giampaolo Cerri

Nel numero di VITA maggio, in edicola e acquistabile QUI, la vicepresidente della Regione Lombardia interviente sul tema del lavoro sociale, delle sue difficoltà, delle sue risorse, e sul lavoro da fare che è politico e culturale.

Letizia Moratti è un interlocutore giusto per parlare del lavoro sociale e della difficoltà che attraversa. È la vicepresidente della regione più grande d’Italia, fa l’assessore al Welfare e quindi, per l’area socio-sanitaria, è l’interlocutore di tante realtà non profit, ha un lungo background politico (ministro dell’Istruzione, sindaco di Milano) e manageriale. In più, per alcuni anni, ha lavorato, col marito Gian Marco, nel cuore di una delle più grandi comunità terapeutiche italiane: San Patrignano.

Una domanda alla donna impegnata in politica, prima che all’assessore al Welfare: da che parte si può cominciare per rivalutare il lavoro sociale?

Credo si debba iniziare a riconoscere che il lavoro sociale gioca un ruolo fondamentale nel sostenere il lavoro sanitario: è in quell’area che sono possibili la prevenzione e la cura del disagio ma anche l’intercettamento precoce di malattie. Un riconoscimento fondamentale. Nella riforma che abbiamo appena varato, che interviene nella sanità di prossimità, è proprio prevista un’integrazione fra lavoro sanitario e sociale: nelle case di comunità, il sociale ha un ruolo estrema- mente importante, è quello che ci permette di prendere in carico la persona e non la malattia, con un accompagnamento sia del paziente sia della famiglia. Si tratta di un sostegno sociale che è altrettanto fondamentale rispetto alla presa in carico del malato, del paziente. Faccio un altro esempio?

Prego…

Come Regione abbiamo elaboratore e realizzato il primo Piano regionale autismo che abbiamo scritto come Welfare insieme all’assessorato alla Famiglia, all’Anci e alle organizzazioni del Terzo settore e alle associazioni dei familiari: un intervento in cui si integrano l’ambito sociale e quello sanitario e riabilitativo. Ed è stato importante che questo sia diventato un modello. Il riconoscimento, dunque, e la messa a terra concreta di esperienze che valorizzino il lavoro sociale.

Le organizzazioni sociali lavorano quasi esclusivamente su commesse pubbliche spesso affidate secondo logiche di massimo ribasso. Come uscirne?

È sbagliato remunerare partendo dal massimo ribasso, perché la qualità dei servizi è importante anche nel sociale. Avere standard che premiano la qualità è decisivo. Va invertita una tendenza così come, per fortuna, è stata invertita nell’ambito sanitario. È un problema di standard qualitativi che vanno mantenuti e tenuti alti, e quindi è anche per il sociale un problema di investimenti.

Assistenti sociali, operatori socio-sanitari sono figure centrali nelle realtà di Terzo settore che lavorano nelle Rsa, nella psichiatria, aree di sua competenza. Si potrebbe ipotizzare una valorizzazione, se non economica, almeno culturale del loro ruolo?

È indispensabile, perché le responsabilità che questi lavoratori hanno sono enormi: penso agli assistenti sociali e al ruolo, delicatissimo, che svolgono nella tutela minori, ossia della parte più fragile del nostro tessuto sociale. Penso ai programmi di misure alternative alla detenzione che queste figure elaborano per accompagnare dal carcere alla comunità dei giovani tossicodipendenti, penso a tutti i percorsi di accompagnamento per i ragazzi con disabilità. L’accompagnamento sociale, in questi casi, è altrettanto importante della cura: aiutare un ragazzo autistico a fare piccoli passi nella vita autonoma o nel percorso lavorativo, è importante quanto una terapia. Un lavoro di grande responsabilità e di grande valore sociale. Quindi che abbiano un trattamento economico equo e una valorizzazione delle persone che lavorano in questi ambiti è, lo ripeto, fondamentale, per avere una società più inclusiva e più giusta e sicura. Ci vuole una valorizzazione culturale che si accompagni a un trattamento coerente con le responsabilità e gli impegni che i lavoratori sociali sostengono.

Leggi l'intervista integrale sul numero di VITA magazine.


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