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Un nuovo mutualismo per le imprese sociali

Sintesi dell'intervento a doppia firma del direttore di Aiccon e dell'Innovation manager di Cgm che pubblichiamo nel numero di VITA magazine di maggio ("lavoro sociale, lavoro da cambiare") insieme a quelli di Patrizia Luongo, Andrea Morniroli e Marco Rossi-Doria; Roberto Camarlinghi e Francesco D'Angella; Marco Bentivogli; Chiara Saraceno, Eraldo Affinati; Giovanni Quaglia; Vittorio Pelligra e Carlo Borzaga

di Paolo Venturi e Flaviano Zandonai

A cosa facciamo riferimento quando parliamo di “lavoro sociale”? A una scelta di campo dagli accentuati tratti politici e valoriali che si alimenta guardando soprattutto a un passato ricco e ingombrante fatto di pionierismo e riforme nel campo del welfare? Oppure a un insieme di organizzazioni e professioni strutturato in modo sempre più stringente attraverso modelli di servizio, standard prestazionali e vincoli di spesa? O addirittura a un nuovo modo di “stare al mondo” come individui e comunità?
Porsi domande come queste è necessario al fine di ricostruire una rappresentazione condivisa del lavoro sociale e, intorno a questa, strutturare politiche e interventi che ne sappiano riconoscere il valore. Tra i vari collanti di questa rinnovata rappresentazione del lavoro sociale che ne sappia riconoscere e valorizzare le sue diverse espressioni, sia quelle consolidate sia quelle emergenti, uno in particolare sembra rilevante soprattutto in termini di potenzialità, e consiste nella ridefinizione di un meccanismo sociale dal glorioso passato ma anche dal futuro promettente ovvero il mutualismo. Attraverso questo meccanismo sociale è possibile infatti riprendere il controllo sulle interdipendenze che in modo sempre più pervasivo caratterizzano le relazioni interpersonali e inter-organizzative.

Un sistema di connessioni che la trasformazione digitale ha esteso e reso più immersivo, non solo per “fare” ma sempre più per “essere”. Un vissuto che muove su registri diversissimi: dalla sensazione di onnipotenza nel poter agire leve relazionali inimmaginabili in contesti fin qui limitati dal corto raggio territoriale e dalla relativa omogeneità di interessi e aspettative, fino a sentimenti di oppressione, alienazione e inquietudine nel sentirsi sempre più “al soldo” di tecnostrutture che in modo sempre più efficiente estraggono valore dalle relazioni. In questo senso il mutualismo si pone come agente di trasformazione dei modelli dominanti sia della burocrazia sia del mercato misurandosi non sulla costruzione di nicchie alternative che vivono dei fallimenti altrui ma sulla capacità di elaborare nuovi paradigmi il cui avvento è sempre più urgente.

Ma oltre a fare da “base culturale” del lavoro sociale il neomutualismo può fungere anche da principio di azione, organizzazione e strategia, dimostrando, o riconfermando, una notevole plasticità rispetto alle sue diverse “forme d’uso”. Rispetto a queste ultime si possono individuare tre possibili declinazioni. La prima consiste nel riformare la principale forma organizzativa e di governance attuale, cioè quella delle piattaforme, trasformandola da un business model che ne sta progressivamente inaridendo il potenziale, a modalità in grado di fare quello per cui sono nate, ovvero abilitare apporti e risorse che in gran parte sono ancora oggi latenti incrementando così il loro impatto sociale. Ci troviamo di fronte alla più grande operazione di change management nella storia delle organizzazioni e non possiamo perdere l’opportunità di rendere più “sociali e inclusive” le imprese. Serve quindi il coraggio, oltre che l’intelligenza, di andare oltre PER CONTINUARE A LEGGERE ABBONATI O ACQUISTA IL SINGOLO NUMERO CLICCANDO QUI.


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