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Franco Taverna: «Educatori, dobbiamo scendere dal piedistallo»

«Tutte le manifestazioni di disagio delle ragazze e dei ragazzi sono provocazioni nel senso letterale di forte chiamata che ci viene buttata in faccia», dice Francio Taverna, responsabile area adolescenza di Fondazione Exodus che ha curato il libro “Provocazioni”. «Noi adulti e in primis noi educatori dobbiamo uscire dal nostro recinto. Dobbiamo reinterpretare il nostro compito alla luce di due grandi rivoluzioni accadute in questi ultimi anni, la prima quella digitale»

di Anna Spena

“Questi dati non possono essere ignorati, anzi devono essere utilizzati per diffondere consapevolezza su tali problematiche e cercare di offrire un aiuto e un conforto a tutti quei ragazzi che non riescono a sentirsi a proprio agio con se stessi e con un qualsiasi contesto di gruppo”, Anna che frequenta il quinto anno di liceo scientifico. Parte così, con le sue parole, il libro “Provocazioni – La voce delle ragazze e dei ragazzi alla fine dell’inverno”, nato all’interno del progetto Selfie, edito da Terra Santa Edizioni e dal 2 giugno disponibile su tutti gli store on line, curato da Franco Taverna, responsabile area adolescenza della Fondazione Exodus di don Mazzi, con gli interventi di don Antonio Mazzi, Ilaria Albertin, Chiara Bardelli Silvia Bianchi, Alessandra Crippa, Anna Doneda, Miriam Chiara Feder, Simone Feder, Anna Polgatti Camilla Ponti e Rete Relè Legnano.
Una ricerca dove al centro ci sono le risposte dei ragazzi. L’indagine ha coinvolto 11 scuole, 7 superiori e 4 medie, di Varese e provincia, con 6119 questionari completati dagli studenti. Il 58% dei ragazzi intervistati dichiara di essere, o essere stato in terapia da uno psicologo. L’81% dei ragazzi è o è stato a dieta. Il 26% dei ragazzi alle scuole medie e il 30% degli studenti delle superiori dicono di essersi procurati dolore fisico volontariamente, il 49% dei ragazzi delle scuole superiori dice di non accettarsi così com’è. Il 48% dei giovani del campione delle scuole superiori dichiara di essersi già ubriacato e il 6.4% di loro lo fa settimanalmente nel fine settimana. «Ma dobbiamo andare oltre i dati», spiega Taverna a Vita.it.

Com’è nato provocazioni?
Questa è la terza pubblicazione del Centro di formazione e ricerca Semi di Melo. A partire dal 2017, ogni due anni insieme ai collaboratori ed esperti del Centro abbiamo voluto raccogliere alcune riflessioni e spunti che emergevano dai dati e dal lavoro fatto con le migliaia di studenti incontrati. Con questo progetto “Selfie”, Semi di Melo si è posto l’obiettivo di dare uno strumento di lettura in più, riguardo ai comportamenti e ai desideri dei preadolescenti e adolescenti, a tutti gli adulti che fossero in relazione con loro. Questo resta ancora il principale obiettivo che si traduce in una fitta serie di rapporti e incontri dentro e fuori dalle scuole di tante parti d’Italia. Poi però periodicamente ci sembra doveroso tentare di abbozzare una riflessione più generale: con questo scopo, a distanza appunto di circa due anni dalla precedente, nasce questa nuova con il titolo “Provocazioni”.

Perché questo titolo?
Perché secondo noi tutte le manifestazioni di disagio delle ragazze e dei ragazzi sono “provocazioni” nel senso letterale di forte chiamata che ci viene buttata in faccia. Anche con quella tipica posa di sfida tanto caratteristica della adolescenza. E dico questo tanto delle provocazioni violente e chiassose di piazza delle bande, degli atti di bullismo diffusi nei social, quanto di quelle nascoste, le provocazioni di chi si chiude in camera o sta zitto in un angolo.

Il sottotitolo del libro è “La voce delle ragazze e dei ragazzi alla fine dell’inverno”, ma quando insegnanti, educatori, genitori, hanno iniziato a non ascoltare più la voce dei ragazzi?
Io credo che molta parte degli adulti abbia una specie di paura di fronte ai ragazzi. Paura ad essere interpellati, ad entrare in una relazione non formale, a dover rendere conto della loro stessa insicurezza. E di fronte a questa paura ci si nasconde dietro al ruolo. Per esempio quando un adolescente a scuola è agitato, magari risponde male e magari anche si rivolta contro un compagno e addirittura contro l’insegnante o compie un’azione chiaramente sbagliata, l’adulto difficilmente lo prende in disparte, lo mette seduto e a tu per tu gli chiede che cosa succede, lo ascolta cercando di comprenderlo. Più facilmente reagisce senza nemmeno guardarlo in volto, con una nota, una sospensione. Invece c’è proprio tanto bisogno di mettersi in ascolto della voce dei ragazzi e delle ragazze. Di stare lì accanto a loro, anche senza parole, in silenzio, per tentare di sintonizzarsi sulla loro frequenza. E quando loro intenderanno il nostro sforzo, quando percepiranno di essere guardati ecco, allora lì si sarà creata una nuova relazione e potrà partire un cammino.

É un libro anche ricco di dati, quali secondo te sono i più significativi? Su quali riflettere?
C’è una grande mole di dati dentro a queste ricerche e molti sono veramente interessanti. Ma direi che la cosa più importante di questa pubblicazione non è tanto questo o quel numero che possa destare una onesta curiosità ma piuttosto il richiamo alla necessità della osservazione non banale. Ogni ragazzo è diverso da un altro ed è un universo fatto da mille aspetti, mille link. Ci vuole rispetto, delicatezza, un ragazzo non è un voto e nemmeno il suo rendimento scolastico.

Come deve cambiare il lavoro degli educatori?
Penso che noi adulti e in primis noi educatori dobbiamo scendere dal piedistallo, uscire dal nostro recinto e rompere i vecchi schemi. Dobbiamo reinterpretare il nostro compito alla luce di due grandi rivoluzioni accadute in questi ultimi anni. La prima è la rivoluzione digitale davanti alla quale, al di là dei fiumi di parole finora spese da cosiddetti “esperti”, dal punto di vista educativo siamo tutti ancora impreparati: ciò che è avvenuto e sta avvenendo anno dopo anno è un cambio radicale di paradigma di sguardo sul mondo e sul modo e senso delle relazioni, che ha riguardato prima di tutto i bambini diventati poi adolescenti. Una trasformazione violenta della comunicazione, del rapporto con il virtuale e il reale a tutti i livelli, della velocità e della immediatezza della diffusione della parola e della immagine, che richiedono un nuovo assetto rispetto a punti cardinali quali lo spazio vitale, il tempo ieri-oggi-domani, le priorità della vita… e la seconda rivoluzione è quella generata da quelle che il cardinal Zuppi ha definito le due pandemie, quella del Covid e quella della guerra. Vale a dire il clima cupo di paura, il pessimismo imperante, l’assenza di prospettive e l’incombere di sempre nuove catastrofi. Anche qui educatori e adulti in genere, credo che sempre dal punto di vista educativo, abbiamo il dovere fermarci a riflettere e non seguire acriticamente la piena del fiume che vede tutto scuro, a non fare da ulteriore cassa di risonanza alla informazione main stream che cerca ogni giorno una nuova tragedia da sbattere in prima pagina. Perché c’è ogni giorno una nuova tragedia, come ogni giorno ci sarebbe una nuova bella notizia! Dunque l’educatore deve saper mettere in luce proprio i segni di bene, dentro alle persone più prossime ovviamente, ma ora serve che questo suo compito lo svolga anche fuori dal suo contesto “professionale”. È urgente una controrivoluzione.


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