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Cooperazione & Relazioni internazionali

Ucraina, la mappa dell’aiuto umanitario a 100 giorni dall’inizio della guerra

100 giorni di guerra, quasi sette milioni di profughi, 8 milioni di sfollati interni. Si stima che 15,7 milioni di persone abbiano urgente bisogno di protezione e assistenza umanitaria. La risposta della società civile italiana è stata straordinaria: accoglienza, distribuzione di beni di prima necessità, supporto psicosociale, evacuazione dei feriti e dei più fragili. Oltre 70 le città dove, in Ucraina e nei Paesi confinanti, sono partiti nuovi progetti

di Anna Spena

«Ci siamo abituati alla guerra», ci aveva raccontato padre Ihor Boyko, rettore del seminario di Leopoli, l’ultima volta che siamo stati in Ucraina all’inizio di maggio. «Ci siamo abituati alle sirene. Alla vita che adesso va così». Quell’abitudine lì, l’abitudine che racconta Ihor, è l’istinto di sopravvivenza che supera l’orrore. Non è cinismo ma una lotta per rimanere aggrappati con le unghie ad una quotidianità che la guerra cerca di strappare via, è la consapevolezza che bisogna rimanere saldi. Ma al di là dei confini ucraini alla guerra non ci dobbiamo abituare noi.

Eppure “Dopo 100 giorni abbiamo girato la testa altrove”, ha scritto Riccardo Bonacina: «Ci siamo ormai assuefatti all’orrore quotidiano che si consuma sul corpo e nell’anima dell’Ucraina, arrivati ormai al 100° giorno di guerra, dobbiamo dircelo, abbiamo voltato la testa da un’altra parte, stufi, impotenti, confusi. Ormai anche per noi, la crudelissima e oscena invasione russa dell’Ucraina è diventata un’Operazione speciale di cui seguiamo avanzamenti e arretramenti sulle cartine nel web e che affoghiamo nelle altrettanto oscene chiacchiere dei talk show nostrani che scandalizzano mezza Europa».

Ed è vero. Sono passati 100 giorni dallo sorso 24 febbraio, 100 giorni dall’inizio dell’invasione russa. 100 giorni che hanno fatto quasi sette milioni di profughi, 8 milioni di sfollati interni. Si stima che 15,7 milioni di persone abbiano urgente bisogno di protezione e assistenza umanitaria. Più di sette milioni di minori sono rimasti senza istruzione: 18 scuole al giorno sono state distrutte o danneggiate. E ancora dallo scorso 24 febbraio almeno 262 bambini sono stati uccisi e 415 feriti negli attacchi, due su tre sono sfollati. Anche le strutture sanitarie sono diventate un bersaglio, almeno 256 sono state distrutte. Questo è un bilancio drammatico, ma i numeri comunque non restituiscono neanche lontanamente l’orrore e la tragedia delle vite dei cittadini ucraini. Persone che com’era la vita prima della guerra non se lo ricordano quasi più. Perché in guerra il tempo è un tempo fermo e inamovibile.

Le nuove generazioni una guerra così vicina non se la ricordano, e in questi mesi abbiamo imparato i nomi delle città e dei villaggi, quelli sotto assedio, quelli dove avanzavano i russi, e i territorio che poi venivano liberati. Anche da fuori abbiamo preso dimestichezza con “la mappa della guerra”. Ma quella che proviamo a far vedere oggi è un’altra mappa, dell’Ucraina e i suoi confini, dove la società civile, le organizzazioni, le ong, non si sono girate dall’altra parte. Una mappa che non riesce a contenerle tutte, ma dà l’idea di questo movimento umanitario che ha provato, anche in mezzo alla tragedia, a non lasciare, per quanto possibile, nessuno indietro. Una mappa che è cambiata in 100 giorni e ha visto moltiplicarsi le città coinvolte, gli interventi e le organizzazioni.

La mappa si concentra sulle realtà italiane che su diversi fronti – dall’assistenza sanitaria alla distribuzione di kit alimentari e igienici, dagli interventi educativi a quelli di ricostruzione fino all’organizzazione delle evacuazioni dei civili – hanno raggiunto l’Ucraina e i Paesi confinati per mettere in campo i loro interventi.

Fondazione Avsi per esempio ha assistito 40mila persone tra Ucraina, Polonia, Moldavia e Romania con fornitura e trasporto di beni, all'interno della Polonia e dalla Polonia all'Ucraina: prodotti alimentari e non alimentari salvavita; ha tarsportato gli sfollati dal confine ai centri di transito e accoglienza, ha allestito spazi a misura di bambino all'interno dei centri di accoglienza temporanea e a breve/medio termine per i rifugiati. E sui minori sta lavorando moltissimo anche l’ong WeWorld che ha aperto quattro Child-Friendly Safe Spaces a Leopoli, e qui ha incontrato oltre 1600 i minori e oltre 800 le mamme e ha aperto quattro Child-Friendly Safe Spaces e nel distretto di Criuleni in Moldavia. O Sos Villaggi dei bambini che si sta accogliendo 1.228 persone nei suoi villaggi nei Paesi confinanti e in Europa. Save the Children e Ai.Bi. che garantisocno supporto psicologico ai minori per aiutarli ad affrontare il trauma che stanno vivendo.O ancora ActionAid che ha organizzato la fornitura di aiuti umanitari immediati e la creazione di spazi sicuri per prevenire episodi di violenza di genere.

L'ong Intersos a Leopoli assiste gli sfollati interni e sostiene le strutture sanitarie locali. I team dell’organizzazione hanno anche raggiunto Odessa, Dnipro, Zaporizhzhia, Kryvyi Rih e Poltava, dove sono stati distribuiti kit di emergenza sanitaria, igienici e beni di prima necessità. L’organizzazione è presente, e si occupa semore di assistenza sanitaria, anche in Moldavia e Polonia. Tra le altre che gestiscono interventi sanitari Moas, che sposta i pazienti fragili all’interno del Paese, ma anche Medici con l’Africa Cuamm, Emergency che ha un ambulatorio mobile in Moldavia e organizza l’acquisto di forniture mediche e materiale medicosanitario per le strutture in Ucraina, e Medici Senza Frontiere che ha trasformato, in collaborazione con le ferrovie ucraine e il Ministero della Salute, un treno in una clinica d’urgenza che trasporta i pazienti dalle linee del fronte agli ospedali più sicuri. O Terre des Hommes che, tra le varia attività, sulla frontiera a Cieszanow in Polonia supporta l’ong locale Polish Medical Mission. E la Croce Rossa Italiana che sta organizzando moduli abitativi provvisori per gli sfollati interni per ospiatre le famiglia che non hanno più una casa a nord di Kiev e a Suaceva, in Romania, ha aperto un hub logistico di 1000 mq per lo stoccaggio degli aiuti umanitari verso l’Ucraina, composto da 5 hangar da 200 mq ciascuno in cui potranno essere stoccati 600 pallet di aiuti umanitari.

O Fondazione Cesvi che in Polonia, a Chelm, ha aperto l'hotel dell'accoglienza per i profughi ucraini, in Ungheria, invece, un entry Point hub a due chilometri dal confine. L'organizzazione ha incontrato le autorità dell'oblast di Kiev per paralre dei progetti di ricostruzione per Buča, Irpin’ e Borodyanka.

Ma in Italia sono nate anche altre iniziative bellissime che poi hanno raggiunto il Paese. La prima in ordine di tempo “stop the war now” promossa tra gli altri dalla Comunità Papa Giovanni XXIII, AOI, Rete Disarmo, Focsiv, Arcs, Pax Christi (sono state superate le mille adesioni). Lo scoro aprile ha scaricato a Leopoli 32 tollerante di aiuti umanitari ed è tornata in Italia con 65 mezzi e 300 rifugiati ucraini proveniente da tutto il Paese. Nell’ultima missione di maggio la rete ha trasferito 63 bambini orfani degli istituiti di Mariupol e Kramatorsk. E ancora Mean – Movimento Europeo di Azione non violenta, un progetto promosso da trentacinque soggetti nazionali della Società civile, molti dei quali facenti parte dell’Alleanza “Per un Nuovo Welfare”, che si rivolge si rivolge a tutta la società civile europea perché esiste una via diversa di risoluzione del conflitto in corso. Mean è nato con l’idea di tenere viva la forza trasformatrice della nonviolenza attiva dentro lo scenario del conflitto, non solo idealmente, ma concretamente, attraverso una mobilitazione di civili europei in Ucraina prevista per il prossimo undici luglio. Una delegazione del movimento è già stata in Ucraina per incontrare gli esponenti della società civile e le autorità del Paese, raccogliere i bisogni più urgenti i e lavorare per un piano di evacuazione dei soggetti più fragili.


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